La Tench tossì rumorosamente. «Gabrielle, mi ascolti. Ho deciso di rivelarle questa incresciosa situazione per tre buoni motivi. Primo, per dimostrarle che Zach Herney è un uomo perbene che antepone l'interesse del governo al suo interesse personale. Secondo, per farle sapere che il suo candidato non è degno di fiducia come lei lo ritiene. E, terzo, per convincerla ad accettare l'offerta che sto per proporle.»
«E sarebbe?»
«Darle la possibilità di fare la cosa giusta per una persona che ami il proprio paese. Non so se si rende conto che lei è in una posizione unica per evitare a Washington un odioso scandalo. Se farà quello che le chiedo, potrebbe addirittura guadagnarsi un posto nella squadra del presidente.»
"Un posto nella squadra del presidente?" Gabrielle stentava a credere di avere udito quelle parole. «Signora Tench, qualunque cosa lei abbia in mente, non mi piace essere ricattata o forzata, né sentirmi trattare con un atteggiamento di superiorità. Io lavoro per la campagna del senatore perché credo nella sua politica. E se questo è indicativo di come Zach Herney esercita il proprio potere, non mi interessa avere a che fare con lui! Se lei ha da dire qualcosa sul senatore Sexton, le suggerisco di contattare la stampa. Io, in tutta sincerità, ritengo che la questione sia solo una montatura.»
La Tench sospirò con tristezza. «Gabrielle, che il suo candidato riceva finanziamenti illeciti è un dato di fatto. Mi dispiace, perché so che si fida di lui.» Abbassò la voce. «Senta, questo è il punto. Il presidente e io tireremo fuori la questione dei finanziamenti solo se costretti, ma la cosa avrebbe conseguenze molto negative. Questo scandalo travolgerebbe grandi corporazioni statunitensi, e ne pagherebbero il prezzo molti innocenti.» Aspirò una lunga boccata e soffiò fuori il fumo. «Quello che il presidente e io speriamo… è che ci sia qualche altro modo per screditare la moralità del senatore. Un modo meno dirompente… che non travolga persone perbene.» Posò la sigaretta e si strinse le mani. «In poche parole, vorremmo che lei ammettesse pubblicamente di avere avuto una relazione con il senatore.»
Gabrielle sentì il corpo irrigidirsi. La Tench sembrava assolutamente sicura di quello che sosteneva. "Impossibile" si disse Gabrielle. Non c'erano prove. Erano andati a letto insieme una sola volta, nell'ufficio senatoriale ben chiuso a chiave. "La Tench non ha in mano nulla. Sta bluffando." Gabrielle si sforzò di mantenere un tono di voce tranquillo. «Lei fa troppe supposizioni, signora Tench.»
«A proposito di cosa? Che avete avuto una relazione? O che lei sia disposta ad abbandonare il suo candidato?»
«Entrambe le cose.»
La Tench abbozzò un sorriso mentre si alzava. «Bene, tagliamo corto e chiariamo subito una questione.» Andò di nuovo alla cassaforte a parete e tornò con una cartellina rossa con il sigillo della Casa Bianca. Tolse l'elastico, la aprì e versò il contenuto sulla scrivania, davanti a Gabrielle.
Mentre decine di fotografie a colori si sparpagliavano sul piano, Gabrielle vide con i propri occhi la sua carriera andare in fumo.
Fuori dall'habisfera, il vento catabatico che soffiava impetuoso giù per il ghiacciaio non assomigliava affatto ai venti oceanici ben noti a Tolland. In mare, il vento deriva dalle maree e dai fronti di pressione e arriva a raffiche. Il catabatico, invece, è assoggettato soltanto alle leggi della fisica: forte aria fredda che scende lungo il fianco del ghiacciaio come un'onda di marea. Era il vento più teso che Tolland avesse mai sperimentato. Se avesse soffiato a venti nodi, sarebbe stato il sogno di ogni velista, ma alla velocità di ottanta nodi, come in quel momento, poteva diventare un incubo anche per chi aveva i piedi ben piantati a terra. Fermandosi inclinato all'indietro, Tolland si sentiva sollevare.
A rendere ancora più snervante quell'impetuoso fiume d'aria era la leggera inclinazione della banchisa. Il ghiacciaio digradava leggermente fino all'oceano, distante tre chilometri. Malgrado le punte aguzze dei ramponi Pitbull Rapido, Tolland aveva la fastidiosa sensazione che bastasse un passo falso per essere trascinato dalla burrasca giù per l'interminabile pendio gelato. In quel momento, i due minuti dedicati da Norah Mangor alla lezione di sicurezza sui ghiacciai sembrarono pericolosamente insufficienti.
«Piccozza da ghiaccio Piranha» aveva detto Norah, fissando un leggero attrezzo a forma di T alla cintura di ciascuno, mentre si vestivano nell'habisfera. «Lama standard, lama a banana, martello e ascia. Ricordate soltanto una cosa: se qualcuno scivola o viene colpito da una raffica, afferrate la piccozza con una mano sulla testa e una sul manico, piantate la lama a banana nel ghiaccio e lasciatevi cadere sopra, puntando i ramponi.»
Con quelle parole rassicuranti, Norah Mangor li aveva imbracati e aveva fatto indossare a tutti degli occhialini prima di portarli nel buio del pomeriggio.
In quel momento, le quattro sagome procedevano in fila indiana giù per il ghiacciaio, separate una dall'altra da dieci metri di fune di sicurezza. Norah guidava la cordata, seguita da Corky, Rachel e poi Tolland, che fungeva da ancora.
Allontanandosi dall'habisfera, Tolland avvertì una crescente apprensione. Dentro la tuta gonfiata e calda, si sentiva una sorta di cosmonauta dai movimenti scoordinati che camminasse su un lontano pianeta. La luna era scomparsa dietro pesanti nuvole temporalesche, immergendo la lastra di ghiaccio in un'impenetrabile oscurità. Il vento catabatico sembrava rinforzare di minuto in minuto, esercitando una costante pressione sulla sua schiena. Mentre sforzava gli occhi per vedere la grande distesa deserta attorno a sé, cominciò a percepire la pericolosità del luogo. Quali che fossero le normative di sicurezza della NASA, non si capacitava che il direttore avesse messo a rischio quattro vite anziché due, tanto più che erano coinvolti la figlia di un senatore e un famoso astrofisico. Non fu sorpreso di provare quell'ansia protettiva nei confronti di Rachel e Corky. Abituato a essere il capitano della nave, si sentiva responsabile per chi aveva intorno.
«State dietro di me» gridò Norah, ma la sua voce venne inghiottita dal vento. «Fatevi guidare dalla slitta.»
La slitta di alluminio su cui Norah trasportava l'attrezzatura assomigliava a una gigantesca slitta per bambini. Conteneva gli strumenti diagnostici e gli accessori di sicurezza da lei usati sul ghiacciaio nei giorni precedenti, il tutto — batterie, torce di segnalazione e un potente riflettore montato sul davanti — assicurato sotto un'incerata. Malgrado il peso, la slitta scivolava senza sforzo in avanti, per tratti lunghi e dritti. Anche su inclinazioni quasi impercettibili, continuava a scendere, e Norah la teneva senza rallentarla troppo, quasi permettendole di guidarli sulla strada.
Tolland si guardò alle spalle, percependo la distanza crescente tra il gruppo e l'habisfera. La pallida cupola arcuata era stata inghiottita dal buio, malgrado si trovasse soltanto a una quarantina di metri da loro.
«Non ti preoccupa come faremo a ritrovare la strada del ritorno?» gridò Tolland. «L'habisfera è quasi invi…» Le sue parole furono interrotte dal forte sibilo di una torcia accesa nella mano di Norah. L'improvvisa luce bianca e rossa illuminò la banchisa per un raggio di dieci metri. Con il tallone, Norah scavò un piccolo buco nella neve, formò una barriera di protezione sul lato controvento e piantò la torcia nella rientranza.
«Briciole di pane ad alta tecnologia» gridò.
«Briciole di pane?» chiese Rachel riparandosi gli occhi dall'improvviso chiarore.
«Hansel e Gretel» urlò Norah. «Queste torce resteranno accese un'ora, tutto il tempo per ritrovare la strada del ritorno.»
Detto questo, riprese a guidarli sul ghiacciaio, di nuovo nel buio.
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