«Che sta facendo?» chiese lei. «È pericoloso, laggiù.»
Corky sorrise. «Magari fa pipì. Andiamo a dargli una spinta.»
Rachel e Corky attraversarono lo spazio buio. Mentre si avvicinavano, Corky gridò: «Ehi, uomo degli abissi! Hai dimenticato il costume da bagno?».
Tolland si voltò. Anche nella penombra, Rachel si accorse che aveva un'espressione insolitamente grave. Il viso appariva come illuminato dal basso. «Tutto bene, Mike?» gli chiese.
«Non proprio.» Tolland indicò l'acqua.
Corky passò oltre i coni e raggiunse Tolland al bordo del pozzo. Il suo buonumore sembrò raffreddarsi di colpo quando vide l'acqua. Rachel li raggiunse. La sorprese notare corpuscoli luminosi azzurro verdastri sulla superficie, come pulviscolo di neon che fluttuava sull'acqua. L'effetto era magnifico.
Tolland prese una scheggia di ghiaccio dal pavimento e la gettò nel buco. L'acqua divenne fosforescente nel punto di impatto, accendendosi di un improvviso bagliore verdastro.
«Mike» disse Corky, improvvisamente a disagio «ti prego, dimmi cos'è.»
Tolland aggrottò la fronte. «So esattamente cos'è, ma non so cosa diavolo ci faccia qui.»
«Flagellati» disse Tolland, fissando l'acqua luminescente.
«Flatulenza? Parla per te» lo rimbeccò Corky.
Rachel si accorse che Michael Tolland non era in vena di scherzi.
«Non so come possa essere accaduto, ma quest'acqua contiene dinoflagellati bioluminescenti.»
«Dino… che?» chiese Rachel. "Parla chiaro."
«Plancton unicellulare in grado di ossidare un catalizzatore luminescente, detto luciferina.»
"E questo sarebbe parlare chiaro?"
Con un sospiro, Tolland si volse verso l'amico. «Corky, è ipotizzabile che sul meteorite estratto da quel buco ci fosse qualche organismo vivente?»
Corky scoppiò in una risata. «Mike, sii serio!»
« Sono serio.»
«È assolutamente impossibile! Credimi, se la NASA avesse avuto sentore della presenza di organismi viventi extraterrestri su quella roccia, puoi scommettere qualsiasi cosa che per niente al mondo l'avrebbe esposta all'aria.»
Il sollievo di Tolland parve solo parziale, come se un mistero più profondo lo angosciasse. «Non posso esserne certo senza un microscopio, ma a me sembra che questo sia plancton bioluminescente del phylum pirrofita. Il termine significa "pianta del fuoco". Il mare Artico ne è pieno.»
Corky si strinse nelle spalle. «Perché, dunque, mi hai chiesto se venivano dallo spazio?»
«Perché il meteorite era sepolto nel ghiaccio, che si è formato con la neve. L'acqua in quel pozzo deriva dalla fusione del ghiaccio ed è congelata da tre secoli. Com'è possibile che vi siano presenti creature marine?»
L'interrogativo di Tolland causò un prolungato silenzio.
Rachel cercava di comprendere. "Plancton bioluminescente nel pozzo di estrazione? Che significa?"
«Dev'esserci una crepa qua sotto» concluse Tolland. «È l'unica spiegazione. Il plancton è penetrato nel pozzo attraverso una fessura nel ghiaccio che ha lasciato filtrare l'acqua marina.»
Rachel non comprendeva. «E da dove sarebbe filtrata?» Ricordò il lungo tragitto percorso in IceRover. «La costa dista almeno tre chilometri da qui.»
Corky e Tolland le rivolsero un'occhiata perplessa. «Per la verità» spiegò Corky «il mare si trova anche sotto di noi. Questa è una banchisa galleggiante.»
Rachel parve smarrita. «Galleggiante? Ma… non siamo su un ghiacciaio?»
«È vero» intervenne Tolland «ma non poggia sulla terra. I ghiacciai talvolta scivolano giù dalla terraferma e finiscono in mare. Poiché il ghiaccio è più leggero dell'acqua, continua a fluttuare sull'oceano come un'enorme zattera. È proprio questa la definizione di piattaforma artica: sezione galleggiante di un ghiacciaio.» Fece una breve pausa. «In questo momento siamo a circa un chilometro e mezzo dalla terraferma.»
Rachel entrò in tensione. Mentre cercava di farsi un quadro mentale della situazione, l'idea di trovarsi sopra il mare Artico le infuse un senso di terrore.
Tolland percepì il suo disagio e pestò il piede con forza. «Non preoccuparti. Ha uno spessore di quasi cento metri e, di questi, settanta sono sommersi come un cubetto di ghiaccio in un bicchiere. È molto stabile, dunque. Ci si potrebbe costruire sopra un grattacielo.»
Rachel assentì con poca convinzione. Apprensione a parte, comprendeva la teoria di Tolland sull'origine del plancton. "Pensa che ci sia una crepa che corre fino al mare, permettendo al plancton di risalire il pozzo di estrazione." Era possibile, pensò, eppure implicava un paradosso che la metteva a disagio. Norah Mangor si era mostrata assolutamente convinta dell'integrità del ghiacciaio, avendo effettuato decine di carotaggi per saggiarne la solidità.
Rachel guardò Tolland. «Credevo che la coesione del ghiacciaio fosse fondamentale per stabilire la datazione degli strati. La dottoressa Mangor sostiene che non ci sono crepe né fessure, mi pare.»
Corky si accigliò. «A quanto pare la regina dei ghiacci ha preso un granchio.»
"Non dirlo troppo forte, o ti troverai una scheggia gelata conficcata nella schiena" pensò Rachel.
Tolland si fregò il mento, gli occhi fissi sulle creature fosforescenti. «Non può esserci altra spiegazione. Si tratta per forza di una crepa. Il peso della banchisa sul mare spinge acqua salata ricca di plancton su per il pozzo.»
"Alla faccia della crepa" pensò Rachel. Se il ghiaccio aveva uno spessore di cento metri e il pozzo era profondo settanta, l'ipotetica crepa doveva attraversare trenta metri di ghiaccio solido. "Ma i carotaggi di Norah Mangor non hanno rilevato fenditure."
«Fammi un favore» disse Tolland a Corky. «Va' a cercare Norah. Speriamo che sappia qualcosa che non ha rivelato. E trova anche Ming. Forse lui saprà dirci che cosa sono queste creature.»
Corky si allontanò.
«Fai in fretta» gli gridò dietro Tolland, tornando a guardare nel pozzo. «Giurerei che la bioluminescenza si sta attenuando.»
Anche Rachel guardò. Era vero, il verde appariva meno brillante di prima.
Tolland si sfilò il parka e lo posò sul ghiaccio, vicino al buco.
Rachel lo guardò sorpresa. «Mike?»
«Voglio scoprire se entra acqua marina.»
«E ti sdrai sul ghiaccio senza giacca?»
«Sì.» Tolland si distese sulla pancia. Tenendo la giacca per una manica, lasciò penzolare l'altra nel pozzo finché il polsino sfiorò l'acqua. «Questo è un test di salinità molto preciso usato dai migliori oceanografi. Si chiama "leccare una manica bagnata".»
Fuori, sulla banchisa, Delta-Uno stringeva il joystick faticando a tenere in volo il microbot danneggiato sopra il gruppo riunito intorno al pozzo. Dalle conversazioni in corso, comprese che le cose stavano precipitando.
«Chiama il capo» ordinò. «La situazione è grave.»
Gabrielle Ashe aveva fatto più volte la visita guidata della Casa Bianca, in gioventù, col sogno segreto di lavorare un giorno nella residenza presidenziale e diventare parte di quella squadra di élite che decideva il futuro della nazione. In quel momento, tuttavia, avrebbe preferito trovarsi in qualunque altro posto sulla terra.
Mentre l'agente della sicurezza dell'East Gate la guidava nell'elegante sala d'ingresso, si chiese che cosa diavolo volesse dimostrare il suo informatore anonimo. Pazzesco invitarla alla Casa Bianca. "E se mi vedono?" Nella sua veste di braccio destro del senatore Sexton, Gabrielle aveva acquisito una certa notorietà, negli ultimi tempi. Qualcuno avrebbe potuto riconoscerla.
«Signora Ashe?»
Lei alzò la testa. Una guardia dall'aria cortese le rivolse un cordiale sorriso. «Guardi là, prego.» Indicò un punto.
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