Per accrescere il proprio valore agli occhi del senatore, Gabrielle si era ben guardata dal rivelargli che riceveva e-mail non richieste dalla Casa Bianca, limitandosi invece ad accennare a una "fonte" non meglio precisata. Sexton si complimentava regolarmente con lei ed evitava con cura di chiederle ulteriori dettagli. Gabrielle aveva l'impressione che fosse convinto che lei concedesse i suoi favori sessuali per raggiungere lo scopo e la cosa, purtroppo, non pareva turbarlo affatto.
Si fermò per leggere il messaggio appena arrivato. La finalità di quelle e-mail era chiara: qualcuno, dentro la Casa Bianca, voleva che fosse il senatore Sexton a vincere quell'elezione e lo aiutava facilitando i suoi attacchi alla NASA.
Ma chi era? E cosa lo motivava?
"Un topo che scappa dalla nave che affonda" si disse Gabrielle. A Washington non era affatto insolito che un dipendente della Casa Bianca, temendo che il presidente non fosse riconfermato, offrisse sottobanco favori al probabile successore nella speranza di assicurarsi vantaggi o un posto di lavoro dopo il passaggio di poteri. Evidentemente qualcuno annusava la vittoria di Sexton e comprava già le azioni.
Ma il messaggio che si leggeva in quel momento sullo schermo la innervosì. Era completamente diverso dai precedenti. Non erano le prime due righe, ma le ultime a impensierirla.
EAST APPOINTMENT GATE, ORE 16.30
VIENI SOLA
Il suo informatore non le aveva mai chiesto di incontrarla di persona e, comunque, Gabrielle avrebbe immaginato un luogo più discreto per un faccia a faccia. "East Appointment Gate?" A quanto le risultava, ne esisteva soltanto uno, a Washington, il cancello all'esterno della Casa Bianca. "Sarà uno scherzo?"
Sapeva di non poter rispondere per e-mail, perché i suoi messaggi venivano sempre respinti come impossibili da recapitare. L'account del suo corrispondente era anonimo, come prevedibile.
"Devo consultare Sexton?" Meglio di no. Lui era impegnato in una riunione e poi, se gli avesse parlato di quella e-mail, avrebbe dovuto raccontargli anche delle altre. Inoltre, la proposta dell'informatore di incontrarsi in un luogo pubblico e alla luce del giorno la rassicurava. Dopotutto, da due settimane quella persona non faceva che aiutarla e si dimostrava affidabile, uomo o donna che fosse.
Leggendo la e-mail un'ultima volta, Gabrielle controllò l'orologio. Aveva un'ora di tempo.
Il direttore della NASA si sentiva più tranquillo ora che il meteorite era finalmente uscito dal ghiaccio. "Tutto sta andando per il meglio" si disse, incamminandosi verso la postazione di lavoro di Michael Tolland. "Niente ci fermerà, adesso."
«Come sta venendo?» chiese, mettendosi alle spalle del famoso divulgatore scientifico.
Tolland alzò lo sguardo dal computer con aria stanca ma entusiasta. «Il montaggio è quasi ultimato. Sto inserendo il pezzo sull'estrazione girato dai suoi uomini. Dovrei finire tra poco.»
«Ottimo.» Il presidente aveva chiesto a Ekstrom di inviare il documentario di Tolland alla Casa Bianca appena possibile.
E lui, che sul principio non aveva visto di buon occhio l'idea del presidente di coinvolgere Michael Tolland in quel progetto, aveva cambiato opinione dopo avere guardato alcune sequenze del documentario. La parte introduttiva, presentata con vivacità dalla stella televisiva, e le interviste agli scienziati civili si erano fuse in un programma di quindici minuti emozionante e comprensibile per tutti. Tolland aveva fatto con successo quello che spesso alla NASA non riusciva: descrivere una scoperta scientifica con parole chiare e semplici al vasto pubblico senza indulgere in atteggiamenti paternalistici.
«Quando ha finito» disse Ekstrom «porti il tutto nell'area stampa. Provvederò all'invio di una copia digitale alla Casa Bianca.»
«D'accordo, signore.» Tolland si rimise al lavoro.
Ekstrom si allontanò, diretto alla parete settentrionale. Si compiacque nel vedere che l'"area stampa" era ben sistemata. Sul ghiaccio era stato disteso un grande tappeto azzurro, al centro del quale troneggiava un lungo tavolo da conferenza con parecchi microfoni e lo stemma della NASA; un'enorme bandiera americana fungeva da fondale. Per completare l'effetto, il meteorite era stato trasportato su un pallet e sistemato al posto d'onore, davanti al tavolo.
Notò con soddisfazione che l'atmosfera era molto festosa. Quasi tutti i membri dello staff erano radunati intorno al meteorite ancora caldo, e vi tendevano le mani come campeggiatori vicino a un falò.
Si disse che quello era il momento giusto. Marciò deciso verso parecchi scatoloni di cartone poggiati sul ghiaccio dietro l'area stampa. Se li era fatti portare quel mattino dalla Groenlandia.
«Offro da bere!» gridò, porgendo lattine di birra ai suoi uomini esultanti.
«Ehi, capo!» gridò uno. «Grazie! È anche fresca!»
Ekstrom gli rivolse uno dei suoi rari sorrisi. «L'ho tenuta in ghiaccio!»
Tutti risero.
«Aspetti un momento!» urlò un altro, fissando la lattina con aria fintamente seria. «Questa è roba canadese! Dov'è finito il suo patriottismo?»
«Qui abbiamo un bilancio limitato, gente. È la roba più economica che sono riuscito a trovare.»
Altre risate.
«Si avvisa la gentile clientela che stiamo per accendere i riflettori» gridò al megafono uno della troupe televisiva della NASA. «Potreste accusare una momentanea cecità.»
«E niente sbaciucchiamenti al buio» gridò un altro. «Questo è un programma per famiglie!»
Ekstrom ridacchiò, felice dell'entusiasmo generale, mentre la troupe apportava gli ultimi ritocchi ai riflettori e alle luci.
«Si passa all'illuminazione per la trasmissione tra cinque, quattro, tre, due…»
Le alogene all'interno della cupola diminuirono di intensità fino a spegnersi completamente. Un'impenetrabile oscurità avvolse l'habisfera.
«Chi mi ha toccato il culo?» gridò qualcuno.
Qualche secondo dopo, l'intensa luce dei riflettori costrinse tutti a socchiudere gli occhi. La trasformazione era ormai completa. Il quadrante nord dell'habisfera era diventato uno studio televisivo, mentre il resto della cupola sembrava un granaio vuoto in piena notte. La sola luce nelle altre sezioni era data dal riverbero dei riflettori sul soffitto arcuato, che proiettava lunghe ombre sulle postazioni di lavoro deserte.
Ekstrom si ritirò in secondo piano, felice di vedere i suoi uomini fare baldoria vicino al meteorite. Si sentiva come un padre che a Natale guarda i suoi bambini radunati intorno all'albero.
"Se lo meritano proprio" si disse, senza sospettare quale calamità si stava per abbattere su tutti loro.
Il tempo stava cambiando.
Come un sinistro presagio di un'imminente sciagura, il vento catabatico ululava tristemente mentre investiva con raffiche violente il rifugio della Delta Force. Delta-Uno finì di sistemare la copertura da burrasca e raggiunse i compagni all'interno. Sapeva per esperienza che non sarebbe durata a lungo.
Delta-Due fissava il video che trasmetteva le immagini in tempo reale inviate dal microbot. «Dai un'occhiata qui» disse.
Delta-Uno si avvicinò. L'interno dell'habisfera era immerso nel buio, tranne la parte settentrionale della cupola, vicino al palco, illuminata da potenti riflettori. «Non è nulla. Stanno semplicemente provando le luci per questa sera.»
«Non mi riferisco alle luci.» Delta-Due indicò la macchia scura in mezzo al ghiaccio, il buco pieno d'acqua da cui era stato estratto il meteorite. « Quello è il problema.»
Delta-Uno osservò il buco, ancora circondato dai coni. La superficie dell'acqua sembrava calma. «Io non vedo niente.»
«Guarda meglio.» Manovrò il joystick in modo da abbassare il microbot sopra il buco.
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