Mo Hayder - Birdman

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In un'area industriale semiabbandonata della periferia londinese vengono scoperti i cadaveri di cinque donne mutilate e seviziate. Scattano immediatamente le indagini che vengono affidate al giovane ispettore Jack Caffery. Egli comprende all'istante che i delitti sono opera di un maniaco: le vittime sono state infatti sottoposte a procedure chirurgiche amatoriali per la riduzione del seno e sono state pettinate e truccate in modo da ricordare delle bambole. La morte tuttavia non è stata causata dalle orrende ferite, bensì da un'iniezione letale; inoltre il killer ha inserito nel petto delle vittime e cucito accanto al cuore un uccellino vivo, simbolo e firma del suo macabro operato.

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La donna annuì, con sguardo vitreo, e si premette un fazzolettino sulla bocca. Il suo volto era spento, inespressivo. I jeans che portava erano aderenti, e sulle caviglie si scorgevano i lievi segni di sfregamento dei sandali.

Rebecca guardò quelle due donne e capì, senza sapere come, che erano le parenti di un'altra vittima. Jack rimase in silenzio. Lui sapeva di più. Sapeva i dettagli. Sapeva che erano la madre e la zia di Kayleigh Hatch.

La zia aveva lo sguardo assente. Poi si agitò sulla sedia e sospirò. Quindi posò una mano sulle spalle dell'altra donna, facendo scricchiolare la pelle morbida della giacca. «Potrebbe non essere lei. Questo devi ripeterti, Dor.»

«Ma potrebbe anche esserlo, non ti pare?» Poi, spostando lo sguardo sulla finestra, chiese: «Credi che si possa fumare, qui dentro?»

Le porte di vetro si aprirono e un agente della squadra F entrò nell'atrio fresco con un mezzo sorriso sul volto, seguito dal detective Diamond che, ridendo, si tolse gli occhiali da sole. Diamond lanciò un'occhiata a Rebecca e, mentre si avviava col collega verso lo studio del coroner, il suo riso si tramutò in lieve sogghigno. Quando i due uomini svoltarono l'angolo, le risate continuarono.

«E che dici di questa, eh?» chiese Diamond. «Ascolta! Qual è la differenza fra una puttana e una cipolla?»

«Va' avanti. Qual è?»

«Dai, una puttana e una cipolla!»

«Sì, qual è? Ci rinuncio.»

«D'accordo.» Diamond tacque per un istante e, dallo scricchiolio delle scarpe di pelle sul linoleum, Jack capì che si era fermato, probabilmente per girarsi verso l'altro detective. «Che la puttana puoi affettarla senza piangere.»

Nell'atrio, quattro persone fissarono il pavimento. Jack balzò in piedi e girò l'angolo. «Ehi!»

Diamond gli lanciò uno sguardo vagamente sorpreso. «Va tutto bene?»

«Abbi un po' di decenza, cazzo», sibilò Jack. «Ma lo sai dove ti trovi?»

«Scusa», rispose Diamond, alzando una mano. «Non succederà più.» Si voltò, e i due uomini continuarono a camminare in direzione dello studio del coroner, ridacchiando in sordina, le spalle ravvicinate, come se l'intervento di Jack avesse reso la freddura ancor più gustosa. Jack espirò lentamente e tornò all'ingresso. Ma il danno era stato fatto. La madre di Kayleigh aveva di nuovo il volto rigato di lacrime.

«Oh, Doreen, oh, Dor.» L'altra donna nascose il viso sul petto della sorella. «Non piangere, Doreen.»

«E se là dentro c'è la mia bambina, la mia piccola, la mia piccola, piccola bambina? E se è lei?»

11

Kayleigh Hatch venne identificata dalla zia. «Si è tagliata i capelli, ma è sempre lei. Ne sono sicura.»

E così l'AMIP aveva identificato quattro corpi su cinque. Il commissario capo aveva deciso d'interrompere il silenzio stampa quella sera, perciò Maddox fu d'accordo a rischiare un sopralluogo al pub.

A Londra era ormai arrivata, com'era triste consuetudine, la pioggia. Era una pioggia fresca, acre, scintillante come la primavera, rispetto alla solita acquerugiola sporca, però restava sempre pioggia. Sette agenti, tutti con indosso l'impermeabile, presero posto in due auto. Diamond portò due uomini della squadra F nella Sierra. Jack prese la Ja guar, su cui caricò Maddox, Essex e Logan.

Il Dog and Bell, tutto vernice scrostata e sudiciume, occupava un'area compresa tra un'agenzia di viaggi fatiscente e una lavanderia a gettone, la Kleenezie. Dentro puzzava di tabacco e di disinfettante. Tutte le conversazioni s'interruppero all'istante e, nella cappa di fumo azzurrognolo, i clienti abituali, intenti a godersi le loro pinte di birra, si voltarono a guardare con occhi inespressivi i sette detective. Diamond si diresse verso l'uscita più lontana, Logan si posizionò sotto la grossa scala curva dalla lucida ringhiera vittoriana. Maddox chiuse la porta alle sue spalle col piede. La barista, una donna sulla sessantina, magra come una stringa, ombretto blu intenso e capelli neri tinti, fumava dietro il banco, osservandoli coi suoi grandi occhi da ipertiroidea.

«Bene, signori.» Mostrando il distintivo, Maddox annunciò: «Niente panico, è solo un controllo di routine».

Jack si allontanò dal banco e, nell'arco di dieci minuti, aveva identificato due delle persone citate da Harrison. La barista si chiamava Betty e la ballerina di quel giorno, una bionda alta e irritabile originaria del Nord, gli occhi azzurri ravvicinati, le mani e i piedi così piccoli da sembrare quelli di una ragazzina, si chiamava Lacey.

Indossava un paio di collant e un maglione largo rosso che le arrivava ai fianchi. Era nella toilette del piano di sopra, intenta a mettersi un po' di glitter argenteo sulle guance, quando Jack bussò alla porta. In osservanza alle regole fondamentali di ogni trattativa, aveva con sé una vodka doppia con succo d'arancia.

«Chiuda la porta», borbottò lei, prendendo il drink. «Qui dentro fa un freddo dell'accidente. E dovrebbe essere estate.»

Lui chiuse la porta e si sedette su un piccolo sgabello nell'angolo. Lacey diede un tiro alla sigaretta, inalando avidamente il fumo. Poi si appoggiò al lavandino, lo sguardo fisso su Jack che le riferiva la notizia.

La prese stoicamente. «Capita, a quei tipi», commentò, stringendosi nelle spalle e voltandosi verso lo specchio. «Ma la cosa non mi preoccupa. Io sto molto attenta.»

«Sappiamo che conosceva Shellene.»

«Le conoscevo tutte. Ma non significa che mi fidassi di tutte. O che mi piacessero.» Posò la sigaretta sul bordo del lavandino, e quella si consumò lentamente, lasciandovi l'ennesimo segno marrone di nicotina. «Non potevi lasciare i vestiti nello spogliatoio quand'erano in giro. Ecco il problema con chi si fa di eroina. Se proprio lo vuol sapere, avranno avuto un bisogno matto di procurarsi una dose e saranno andate a fare un lavoretto per qualche porco maniaco.»

«E Petra?»

«Non era una tossica, perciò non lo faceva per la roba. Ma ciò non significa che non facesse qualche lavoretto, non le pare?»

«Conosce i clienti abituali di questo posto?»

«Non ci vengo molto spesso.» Diede un ultimo tiro alla sigaretta e gettò il mozzicone sotto il rubinetto. «Lo chieda a Pussy Willow: fa quasi tutti gli spettacoli. Oggi è vuoto, ma, quando c'è lei, fanno a botte per entrare. Vanno tutti matti per le sue tette gonfiate.»

«Qualche cliente lavora in ospedale?»

«Sono avvocati, impiegati statali, studenti. Sa, questo posto non è solo per la feccia.» Sorseggiando la vodka, aggiunse: «E poi ci sono un paio di tipi che arrivano tutti in tiro, con gli stivali, credo siano medici o qualcosa del genere».

Jack prese un po' di tabacco dalla tasca e lo mise in una Rizla. «Da dove vengono?»

«Dal St. Dunstan's.»

«Ricorda i nomi?»

«No.»

«Sono di sotto in questo momento?»

Lei rifletté per un istante. «No, quand'ho guardato l'ultima volta non c'erano.»

Lui chinò il capo e arrotolò la sigaretta. «Grazie per l'aiuto, Lacey, grazie mille.»

Ai piedi della scala vittoriana, Jack si fermò, il braccio appoggiato alla ringhiera consumata.

Maddox si trovava a meno di mezzo metro da lui, scrutava il locale, le braccia conserte. Gli agenti erano sparpagliati, gli impermeabili buttati sugli sgabelli accanto a loro. Su ogni tavolo le foto delle ragazze trovavano a malapena posto tra i bicchieri e i posacenere, e già avevano alcune macchie circolari di birra. Diamond aveva la giacca sbottonata e i pantaloni sollevati quel tanto da mostrare un paio di calzini della Warner Bros., quelli con la figurina di Taz. Di fronte a lui una coppia di operai sedeva, accigliata, davanti alle sue birre.

La porta si aprì e un giovane di colore sulla ventina s'infilò nel locale, riparandosi dalla pioggia. Portava un cappellino grigio da baseball di Tommy Hilfiger e un paio di Nike alte alla caviglia; era piccolo ma muscoloso. Aveva il canino destro ricoperto da una capsula d'oro. Arrivò quasi al banco prima di accorgersi che tutti lo stavano osservando.

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