Kate Wilhelm - La casa che uccide
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- Название:La casa che uccide
- Автор:
- Издательство:Mondadori
- Жанр:
- Год:2004
- Город:Milano
- ISBN:нет данных
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L’aria era fredda, umida e opprimente. Le luci al neon facevano assumere alle labbra un colore violaceo, e alla pelle un colore verdognolo e malsano. Constance rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo. La prima volta quel luogo non l’aveva colpita particolarmente, mentre adesso aveva la sensazione che l’aria stessa nascondesse una nuova minaccia, e questo perché ora sapeva che l’assassino si trovava in quella casa. Charlie affrettò il passo e scese velocemente le scale, attraversò la stanza fino al montavivande. Constance pensò che anche lui doveva avvertire il suo stesso senso di oppressione. Charlie esaminò la porta del montavivande, la aprì e osservò l’interno della cabina, un cubicolo di acciaio inossidabile senza alcun elemento o particolari di rilievo. Appoggiò a terra un ginocchio, passò la mano sul pavimento della cabina e sui punti di congiunzione delle pareti, poi arretrò con un’aria corrucciata.
«Cosa stai cercando?» gli domandò Constance rabbrividendo.
«Non lo so ancora con certezza. Se lo mando su la porta si blocca automaticamente. Mi chiedo se…» Prese il coltellino tascabile, lo aprì, e con una mano lo tenne premuto contro l’intelaiatura della porta mentre con l’altra schiacciò il tasto di chiusura. La porta si chiuse contro la lama del coltello e Charlie cercò di forzarla senza riuscire a farla riaprire. Borbottò qualcosa a bassa voce e si guardò intorno. «Potresti portare qui uno di quei carrelli? Penso che in questo punto ci sia il sensore.»
Constance portò il carrello. Charlie premette il pulsante di apertura, la porta si aprì senza difficoltà e Charlie tolse la lama del coltello. «Ora vediamo se riesco a ingannare il meccanismo» disse. Rovesciò il carrello sul fianco con le impugnature di acciaio posizionate all’estremità dell’intelaiatura della porta, si mise accanto al carrello e spinse con forza. «Prova a far chiudere la porta e a mandare su il montavivande, ammesso che parta.» Si puntò saldamente contro il carrello e continuò a esercitare una pressione costante. Il meccanismo scattò e il montavivande cominciò a salire. «Perfetto!» esclamò Charlie. «Appena smetto di fare forza però potrebbe tornare giù. Dobbiamo cercare di lasciare la presa e contemporaneamente spingere il carrello sotto al pavimento della cabina. Al mio tre. Uno, due, tre, ora!» Charlie lasciò la presa e Constance diede al carrello una spinta energica mandandolo nel pozzo del montavivande. La cabina non cominciò a scendere, e se lo avesse fatto il carrello non sarebbe riuscito a sostenerne il peso, ma se non altro ne avrebbe frenato la discesa, o perlomeno fu questa la conclusione a cui giunse Charlie con una certa soddisfazione. Sorrise a Constance, si frugò in tasca in cerca della torcia portabile, si chinò appoggiando nuovamente un ginocchio a terra per guardare dentro al pozzo del montavivande.
Quando esaminò le pareti laterali fu ancora più soddisfatto. Allora avanzò un poco sporgendosi ulteriormente per dare un’occhiata più da vicino al muro di fondo, quello che confinava con l’ascensore segreto. Si era convinto che quell’ascensore fosse stato realizzato in un secondo tempo, e ora ne aveva la certezza. Quel muro era stato riposizionato, rifatto. Rispetto ai muri laterali non raggiungeva la stessa perizia nella fattura e nella rifinitura, e c’era persino una sorta di buco in fondo. Insomma, era piuttosto malfatto, pensò Charlie, e là dentro faceva anche maledettamente freddo. Si rammentò quanto lo avesse colpito l’aver trovato un muro tanto freddo la prima volta che aveva ispezionato l’ascensore segreto. In una casa così ben costruita come Smart House quel particolare era incomprensibile, e lui era stato stupido a non dare seguito a quell’intuizione. "Stupido! Stupido!" ripeté silenziosamente, e si accorse che quelle che stava fissando erano le sue dita, e in quel momento parevano incapaci di reggere saldamente la torcia. Aveva la sensazione che le dita fossero disgiunte dal resto del corpo, che fossero troppo grandi. Cercò di guardare la mano per verificare se ci fosse qualcosa che non andava, ma quell’operazione sembrava richiedergli uno sforzo eccessivo. Anche i suoi occhi erano disgiunti dal resto del corpo, pensò divertito da quell’idea.
Constance si era sporta per vedere cosa stesse guardando Charlie, ma la fatica era diventata troppo grande per lei. Si accorse che la testa stava cominciando a pesarle eccessivamente ed ebbe paura che potesse diventare così pesante da trascinarla a terra. S’immaginò riversa sul pavimento della cella frigorifera, ogni minuto sempre più fredda, irrigidita dal gelo prima che qualcuno la trovasse e…
Di colpo Constance si raddrizzò e inspirò a fondo. Era stordita, gli occhi non riuscivano a mettere a fuoco gli oggetti.
«Charlie!» gridò. «Charlie!»
Com’era strana quella piccola luce che si muoveva qua e là senza riuscire a fermarsi, stava pensando Charlie. Sentì la voce di Constance chiamarlo in lontananza e pensò che anche quello era strano. Poi la luce scese verticalmente lungo il muro e le dita gli parvero talmente distaccate dal corpo che non sarebbe più riuscito a far risalire la luce nemmeno se lo avesse voluto. In quel momento desiderava solo mettere giù la testa e dormire. Udì di nuovo il suo nome, una voce convulsa e stridula che lo chiamava, e si scosse.
Constance cercava di tirarlo indietro con degli strattoni e lui tentava di uscire dal pozzo dell’ascensore, ma si sentiva talmente pesante che ogni movimento era rallentato, un vero patimento, e il carrello lo intralciava rendendogli l’operazione ancora più difficile. Appena riuscì a uscire e a districarsi dal carrello, Constance cercò di tirarlo su e metterlo in piedi. Charlie barcollava e la stanza sembrava ondeggiare, ma dopo un paio di profondi respiri cominciarono a trascinarsi l’un l’altro su per le scale. A ogni gradino l’aria migliorava. Arrivati in cima, inspirarono profondamente scossi da tremiti, spaventati e pallidi per lo scampato pericolo, cercarono di inspirare a fondo.
Constance cercò di girare il pomo della porta ma non accadde nulla. Tentò di nuovo, e poi ancora con tutte e due le mani. Charlie la scavalcò e ci provò lui.
«Siamo chiusi dentro» sussurrò Constance. «Mio Dio, siamo chiusi dentro!»
«Sh, sh.» Charlie guardò la porta alle spalle di Constance. Era solida e aveva un pomo di ottone solo dall’interno. Dall’esterno invece c’era un chiavistello per evitare che qualcuno aprisse accidentalmente la porta mentre dentro purificavano l’aria. Charlie non perse tempo a tentare di forzarla ma si voltò a guardare la stanza. Pareti di acciaio inossidabile, ripiani, bidoni, un bancone, il carrello rovesciato a terra e quello in fondo alla parete, la porta aperta del montavivande con dietro il pozzo e il montavivande al piano superiore. Anche se avesse saputo quale dei tubi stesse immettendo l’ossido di carbonio, non avrebbe comunque avuto la possibilità di fermarne l’erogazione.
«Non muoverti» le disse. «Salgo su con il montavivande e ti vengo ad aprire. Qui in alto l’aria è respirabile perciò non muoverti.»
Constance non provò nemmeno a discutere. I suoi occhi chiari erano sgranati, il suo sguardo estremamente impaurito, era pallida come un cencio e persino le labbra avevano perso colore. Constance gli toccò la guancia e chiuse gli occhi un istante, tentando di trasferire in quella carezza tutto il suo amore. Charlie inspirò profondamente e, trattenendo il respiro, cominciò a scendere le scale. Non aveva rotto nulla, si disse, il meccanismo avrebbe funzionato perfettamente. Spinse il carrello da una parte, poi ci ripensò, lo tirò nuovamente indietro e premette il pulsante di chiamata. Si rese conto che prima doveva chiudere la porta, e si diede dell’idiota. Chiuse la porta, premette nuovamente il tasto di discesa e salì sul carrello per respirare l’aria che si trovava più in alto. Non ricordava che quell’aggeggio infernale fosse così lento, ma ora sembrava cigolare e muoversi come una lumaca. Svuotò i polmoni e fece un respiro profondo senza sapere quanto quell’aria fosse contaminata, ma con la certezza che doveva per forza respirarla, buona o cattiva che fosse. Finalmente il montavivande arrivò, Charlie premette il pulsante di apertura e, costretto ad abbandonare la postazione, scese dal carrello, si abbassò per entrare nella cabina alta un metro e mezzo e restò chinato finché il montavivande cominciò a salire lentamente.
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