Tutti rimasero a lungo in silenzio finché Eddie non esclamò: «State insinuando che mia moglie…».
Fu Williams a intervenire. «Io non sto insinuando niente. Confermo solo un dato di fatto. Però a questo punto Dorothea è sospettata.»
Eddie scosse il capo. «È una rispettabile donna d’affari.»
«Con problemi di tossicodipendenza e forse sospettata di omicidio» puntualizzò Remmy in tono tagliente.
«Taci, mamma!» urlò Eddie.
Questa reazione colse tutti alla sprovvista. Remmy lasciò andare lentamente la mano di suo figlio.
Eddie puntò un dito accusatore contro Williams. «Se pensate anche solo per un istante che Dorothea abbia narcotizzato me e poi ucciso Sally, state sprecando tempo prezioso mentre il vero assassino se la passa liscia.»
«È nostro dovere indagare su ogni possibile traccia» disse Bailey con calma.
«Comprese le più ridicole?»
«Sarà meglio che ti riposi un po’, Eddie» intervenne King in tono gentile. «Hai avuto una notte molto dura.»
«Bene, adesso vorrei chiedere a tutti di lasciarmi solo.»
Distolse lo sguardo senza salutarli e si coprì il volto con l’avambraccio.
Remmy si alzò dalla sedia e si avviò verso la porta. «Verrò più tardi a vedere come stai, figliolo.»
«Come ti pare» tagliò corto Eddie.
Remmy arrivò alla porta, poi si voltò verso Williams. «La sa una cosa? Ho l’impressione che non sia stato fatto un solo passo avanti nelle indagini e che si sia ancora al punto di partenza. Sono state uccise un mucchio di persone e non si è fatto alcun progresso.» Indirizzò a Bailey un’occhiata perfida. «Il discorso vale anche per l’illustre FBI. Mi chiedo per che diavolo pago le tasse.» E uscì dalla stanza.
Gli uomini la seguirono fuori.
Michelle indugiò un momento presso la porta e lanciò un’occhiata a Eddie dietro di sé. Era ancora immobile sul letto, con la faccia coperta. Se ne andò in silenzio.
Trascorsero due giorni senza tracce di Roger Canney, nonostante Chip Bailey e Williams avessero posto tutta la zona sotto controllo.
«È come se fosse andato a rintanarsi in qualche dannato buco chissà dove» si lagnò l’agente dell’FBI in una riunione del pool investigativo.
Con otto morti in totale e i tentati omicidi di King e Michelle, ora Wrightsburg straripava di agenti e ispettori delle forze dell’ordine che si dannavano dalla sera alla mattina per scovare indizi e prove, e soprattutto rappresentavano il modo più appropriato di saziare l’orda di giornalisti che aveva invaso la città. Era difficile trovare un solo cittadino che non fosse stato intervistato. Non si poteva più guardare i telegiornali nazionali o leggere il “Washington Post”, il “New York Times” o “USA Today” senza vedere un servizio sui cruenti fatti di sangue di Wrightsburg. Un esperto dopo l’altro proponevano soluzioni, la maggior parte delle quali non avevano niente a che fare con i fatti veri e propri del caso. La gente del posto cominciava a mettere in vendita abitazioni a prezzi stracciati, l’economia locale aveva subito un tracollo, e non sembrava più esagerato pensare che la cittadina si sarebbe spopolata e avrebbe cessato di esistere se l’assassino o gli assassini non fossero stati catturati al più presto. Eminenti membri della leadership politica ed economica della Virginia chiedevano — non certo sorprendentemente — la testa di Williams, insieme a quelle dei suoi due principali — per quanto di fresca nomina — vice: King e Maxwell. Anche Bailey era sottoposto alla pressione dei suoi superiori, ma si occupò delle sue cose come al solito, verificando con metodo qualsiasi potenziale indizio, nonostante quasi tutti finissero invariabilmente in un vicolo cieco.
Eddie fu dimesso dall’ospedale più o meno alla stessa ora in cui Sylvia completò l’autopsia di Sally; non che la causa della sua morte fosse mai stata in dubbio. Nessuna nuova pista si era materializzata, ma almeno non c’erano stati altri morti.
In mezzo a tutta questa confusione e a questo caos di esami minuziosi, quando tutta la città parve sul punto di implodere da un momento all’altro, Sean King tirò fuori due bottiglie di buon vino dal suo frigorifero portatile e andò a cena con Michelle a casa di Harry Carrick.
Quando la sua socia uscì dal cottage e salì sulla Lexus decappottabile, King spalancò tanto d’occhi a quella vista. «Sei splendida, Michelle» si complimentò, esaminando attentamente il bell’abitino aderente che arrivava più o meno a metà coscia e mostrava una dose salutare delle sue gambe da campionessa olimpionica. Sfoggiava anche un elegante scialle blu drappeggiato sulle spalle; non portava più il braccio al collo. Si era truccata e a quanto pareva si era persino lavata i capelli, tanto che nessuna delle solite ciocche ribelli le ricadeva sulla faccia. Era uno stridente contrasto con i suoi soliti jeans, giubbotti impermeabili, scarpe sportive, tute da ginnastica e trecce al vento.
Da parte sua King indossava un elegante completo con tanto di cravatta, e aveva perfino un fazzoletto nel taschino della giacca.
«Volevo solo fare buona impressione su Harry» si affrettò a dire Michelle. «Ma accidenti, da te non mi aspettavo tanti complimenti.»
«Non so proprio di che cosa stai parlando.»
«Ho di nuovo trovato nella pattumiera la colazione e il pranzo che ti avevo preparato. Se non ti va la mia cucina, non hai che da dirmelo. Non è che mi offenda.»
Nella sua migliore imitazione di Humphrey Bogart King disse: «Ehi, angelo, non dovresti sprecare il tuo tempo in cucina. Non è nel tuo stile».
Michelle sorrise e ribatté: «Ringrazia almeno Dio per i piccoli piaceri».
«Detto questo, il tonno in scatola dell’altra sera era veramente buono.»
«Se viene da te è un complimento eccezionale.»
«Ti dirò una cosa: il prossimo pasto lo cucineremo insieme. Conosco un paio di trucchi che posso anche mostrarti.»
«D’accordo, affare fatto.»
«Come va il braccio?»
«Come avevo detto io: è soltanto un graffio.»
Mentre viaggiavano con la capote abbassata lungo le tortuose strade di campagna in quella splendida serata, sotto un cielo punteggiato di stelle, Michelle gli lanciò un’occhiata ammirata e osservò: «Anche tu sei tirato a lucido».
«Come Eddie Battle, anch’io so darmi una ripulita all’occorrenza.» King sorrise per mostrarle che stava scherzando.
«Siamo gli unici ospiti?»
«Sì, dato che sono stato io a proporre di trovarci.»
«Tu? Perché?»
«È arrivato il momento di sederci tranquillamente e di discutere a fondo di questo caso, e io rifletto molto meglio davanti a una bottiglia o due di buon vino.»
«Sei sicuro di non voler soltanto scampare a un’altra cena a casa mia?»
«Lungi da me un pensiero simile.»
La casa era immensa e antica, con un interno magnificamente decorato.
Harry andò a riceverli all’ingresso e li condusse in biblioteca, dove, a dispetto della tiepida serata, un accogliente fuoco bruciava nel caminetto. L’anziano avvocato indossava un elegante completo a quadretti con tanto di gilè. Un garofano era appuntato all’occhiello della giacca. Servì loro l’aperitivo, poi si accomodarono su un morbido divano di pelle lievemente consumata di fronte al caminetto. Il divano aveva tutta l’aria di aver sorretto i posteriori di almeno cinque generazioni.
Harry levò il bicchiere. «Un brindisi ai miei due buoni amici.» Bevvero insieme, poi Harry aggiunse, dopo aver osservato Michelle: «E davvero, credo che un altro brindisi sia d’obbligo». Levò un’altra volta il bicchiere. «A una delle donne più adorabili che io abbia mai incontrato. Michelle, stasera sei straordinariamente bella.»
Michelle sorrise e lanciò un’occhiata a King. «Ah, se solo sapessi cucinare!»
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