David Baldacci - Il gioco di Zodiac

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Un uomo incappucciato scarica un sacco nella boscaglia. Dentro il sacco, un cadavere. È solo il primo di una serie di omicidi che funesterà la cittadina di Wrightsburg, in West Virginia. L’autore è un serial killer che si firma copiando i modus operandi di famosi assassini seriali. È possibile che gli omicidi abbiano una relazione con lo strano furto effettuato nella lussuosa residenza di un’aristocratica famiglia locale? Apparentemente no, ma l’istinto di Sean King e Michelle Maxwell dà spazio a entrambe le indagini. E sarà al termine di un.avventura rischiosa che Sean e Michelle arriveranno alla fine della storia. Per vedere quanto l’uomo può essere cattivo e quali cose è pronto a fare perché i suoi segreti rimangano tali.

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Canney, di nuovo pallido, disse: «Aspetti un momento, aspetti solo un dannato momento. Io non c’entro niente con l’omicidio di Steve».

«Con tutto il dovuto rispetto, signor Canney, non ho mai conosciuto un assassino che dicesse il contrario» replicò King.

Canney restò fermo in piedi, a stringere e ad allargare i pugni ripetutamente mentre King lo osservava in attesa. Finalmente si decise a sedersi nuovamente.

Dopo un minuto di silenzio, come se stesse cercando le parole giuste, disse: «Steve era, in parole povere, figlio di sua madre. La adorava, la venerava. Quando lei morì, in un modo o nell’altro mi ritenne responsabile».

«Non ricordo la causa del suo decesso» osservò King.

Canney ora si stava sfregando nervosamente le mani.

«Rimase vittima di un incidente stradale. Sono passati più di tre anni ormai. Uscì di strada e finì in una scarpata. Morì sul colpo.»

«Com’è possibile che suo figlio abbia incolpato lei dell’incidente?» volle sapere Michelle.

«Come diavolo si aspetta che lo sappia?» ruggì improvvisamente Canney. Poi si calmò con la stessa rapidità con cui si era infiammato. «Mi scusi. Sono sicuro che capisce che per me è molto difficile parlare di queste cose.» Rimasero tutti zitti per un po’. «C’entrava… c’entrava l’alcool, a quanto pare…» disse finalmente Canney, con voce quasi impercettibile.

«Sua moglie era ubriaca quando morì nell’incidente?»

«Pare di sì. Fu una sorpresa, perché non era mai stata una forte bevitrice.»

«E il vostro matrimonio era felice?» domandò Michelle.

«Era un matrimonio come tanti altri» rispose Canney, sulla difensiva.

«Cioè?» insistette Michelle.

«Cioè con i suoi alti e bassi.»

In quel momento la governante entrò in salotto e disse a Canney che lo desideravano al telefono. Roger Canney si scusò e li lasciò soli.

Michelle si voltò verso il suo socio. «Be’, non è proprio come mi aspettavo. Pensi che c’entri qualcosa con la morte di sua moglie?»

«Non posso escluderlo a priori.»

«È chiaro che nasconde qualcosa. Pensi che abbia ucciso suo figlio?»

«Figlio. È una parola interessante.»

Michelle guardò King con aria sconcertata. «Che cosa intendi dire?»

«Solo che Canney non si è mai riferito a lui chiamandolo figlio. Solo Steve.»

«Hai ragione. Anche se potrebbe essere solo perché Steve era quasi un uomo fatto e i loro rapporti erano molto tesi.»

«No, ritengo che avrebbe potuto darci una risposta più precisa.»

«Okay, Sean. Che cosa hai scoperto?»

«Ci stava spiegando perché i loro rapporti si fossero guastati. Ha detto che Steve lo riteneva responsabile della morte di sua madre.»

«E allora?»

«Be’, giusto un istante prima, ha detto…» King estrasse da una tasca il suo taccuino e lesse. «Ha detto: “Steve era, in parole povere, figlio di sua madre”.»

«Esatto, come a voler dire che preferiva sua madre a suo padre.»

«O, in senso più letterale, che lei era sua madre…» King si interruppe e fissò Michelle.

Finalmente ciò che lui intendeva le balenò in mente. «E che Roger Canney non era suo padre.»

Fuori, il motore del pickup si avviò. L’uomo al volante non aveva bisogno di sentire altro. Era arrivato il momento di agire. Ma prima doveva preparare il terreno.

48

Kyle Montgomery non aveva ancora ottenuto nessuna risposta alla sua lettera minatoria. Tempo addietro aveva preso in affitto una casella postale e aveva fornito quel recapito per la risposta. Naturalmente aveva tralasciato di indicare il mittente. La sua lettera nascondeva il fatto — in modo molto arguto, riteneva — che in effetti non ne sapeva più di tanto. Contava su una coscienza sporca per ricavare qualcosa di importante, il che, per lui, equivaleva a qualcosa di venale. Eppure cominciava a chiedersi se non avesse preso un granchio. Ma in fondo, se così fosse, non c’era di che preoccuparsi. O almeno così pensava.

Si stava dirigendo all’Aphrodisiac con un’altra consegna per la sua “cliente”. Non aveva dovuto effettuare un altro prelievo dalla farmacia dell’ambulatorio: astutamente, aveva già ritirato una quantità supplementare l’ultima volta. Non era il caso di rischiare troppo.

Posteggiò nell’affollato parcheggio e scese dall’auto. Non notò l’auto che lo aveva seguito. Assorto nel pensiero dei contanti che avrebbe intascato, Kyle era del tutto ignaro di essere stato seguito fin da quando aveva lasciato il suo appartamento.

Entrò nel club e, com’era sua abitudine, si fermò per qualche minuto a osservare le ballerine seminude che ballavano aggrappate ai pali. Ce n’era una in particolare che preferiva. Non che avesse grandi possibilità di successo con lei: non aveva né l’aspetto fisico né, fattore più importante, il denaro richiesto da quelle ragazze per dimostrargli un’attenzione speciale.

Andò di sopra, e stava per oltrepassare la tenda di velluto rosso quando una donna gli apparve accanto. Sembrava tesa e traballante sulle gambe.

«Dove stai andando?» gli domandò.

«A vedere una persona» rispose Kyle nervosamente. «Mi sta aspettando.»

«È la verità?» disse in tono strascicato la donna, evidentemente ubriaca. «Hai un documento d’identità?»

«Un documento di identità? Per quale motivo? Sono astemio e non sono venuto qui per guardare le ragazze. E ti sembro minorenne? O non hai notato i peli grigi del pizzetto?»

«Non fare il furbo con me o ti faccio sbattere fuori a calci in culo.»

«Stia a sentire, madame, che problema c’è?» disse Kyle in un tono più educato. «Non è la prima volta che ci vado» soggiunse.

«Lo so… ti ho visto» disse la donna.

«Viene spesso qui?» domandò Kyle nervosamente. D’un tratto gli era balenato in mente che farsi la fama di un visitatore regolare non era una buona cosa.

«Vengo tutti i giorni» rispose Lulu Oxley. Poi fece un vago cenno con la mano verso la tenda rossa. «Sbrigati e levati dai piedi, furbacchione.»

Lulu scese barcollando le scale mentre Kyle si affrettava a oltrepassare la tenda rossa.

Bussò alla stessa porta di sempre e ricevette la solita risposta. Entrò. La donna giaceva distesa sul letto, nascosta da una coperta. La camera era talmente buia che Kyle riusciva a malapena a distinguerne la sagoma.

Kyle alzò il sacchettino di cellophane. «Ecco qua.»

La donna gli lanciò qualcosa. Lui tese la mano, ma non riuscì ad afferrarlo al volo, e l’oggetto cadde sul pavimento. Si chinò a raccattarlo. Un rotolo di dieci biglietti da cento dollari assicurati da un elastico. Kyle depose il sacchettino trasparente sul tavolino e restò fermo là, osservando nervosamente la sua cliente. Dopo che furono trascorsi diversi secondi senza che lei dicesse niente, si voltò per andarsene. Si bloccò quando udì cigolare le molle del letto e vide accendersi la luce. Ammiccando, si guardò alle spalle e vide che la donna stava venendo verso di lui. Indossava il grande foulard a turbante e gli occhiali scuri ed era avvolta nella coperta. Man mano che si avvicinava, notò che aveva le spalle nude ed era senza scarpe, ma con le calze.

Quando gli fu vicino, la donna lasciò cadere a terra la coperta. Indossava solo un perizoma di pizzo nero, un reggiseno a balconcino, dello stesso pizzo nero, e calze autoreggenti, sempre nere. Kyle cominciò a respirare affannosamente e sentì contrarre ogni muscolo. Il corpo della sconosciuta era mozzafiato, con un ventre piatto, le morbide anche rotonde e lisce, i seni che premevano contro il leggero pizzo nero semitrasparente che li tratteneva. Kyle aveva solo voglia di strapparle di dosso quel poco che la copriva.

Come intuendo i suoi pensieri, trasparenti com’erano, la donna alzò le mani dietro la schiena, sganciò i gancetti, il reggiseno a balconcino scivolò sul pavimento e i seni schizzarono fuori liberi.

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