«Dormirò sonni più tranquilli sapendo che non riesce a chiudere occhio.»
King ripeté in tono offeso: «“Vaffanculo, Sean?”».
«Scusa. Ero fuori di me. Ma non si può sempre offrire l’altra guancia.»
«In effetti mi sono sentito fiero di te.»
«Bene. Comunque nessuna minaccia da parte mia migliorerà la situazione di quella poveretta. Non si può mai sapere cosa può combinare un tipo come quello. Probabilmente avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa.»
«Però intendi tornare a controllare sua moglie, vero?»
«Ci puoi scommettere.»
«Quando pensi di fargli di nuovo visita fammelo sapere.»
«Perché? Per convincermi a rinunciare?»
«No. Per tener fermo quel bastardo mentre lo gonfi di sberle.»
Aveva seguito King e Michelle fino alla casa dei Pembroke, e ora stava loro dietro a distanza di sicurezza mentre attraversavano la città, diretti a casa di Roger Canney. Quel giorno non era al volante della Volkswagen azzurra; aveva optato per un vecchio pickup. Un cappello da cowboy segnato da aloni di sudore, occhiali da sole, baffi e barba posticcia fornivano un travestimento soddisfacente. La coppia di investigatori cominciava a diventare un vero problema, e non sapeva di preciso cosa fare con loro. I Pembroke non potevano portarli da nessuna parte nell’indagine; né poteva farlo la morte di Diane Hinson. E anche l’omicidio di Rhonda Tyler era un vicolo cieco. Però Steve Canney era tutta un’altra faccenda. Il ragazzo era la chiave di volta capace di far crollare tutto il castello di carte.
Non aveva tempo di uccidere Roger Canney, e comunque questo avrebbe sollevato altri sospetti sul perché il campione di football del liceo dovesse morire. Non aveva altra scelta se non lasciare che il colloquio avesse luogo, analizzare quali informazioni aveva fatto emergere e studiare la linea di intervento adatta. Era una fortuna che avesse avuto la lungimiranza di installare una microspia nella casa di Roger Canney prima di uccidere suo figlio. Tattica. Era tutta una questione di tattica.
Si massaggiò la schiena nel punto in cui si era fatto male durante la colluttazione con Junior Deaver. Non poteva permettersi un altro scontro fisico come quello. Aveva assistito all’esibizione di forza di Michelle Maxwell che spaccava a metà il paletto con una spinta poderosa della gamba, e apparentemente senza sforzo. Era una donna pericolosa. E King, a modo suo, era perfino più pericoloso. Anzi, Sean King era l’unica persona che temeva veramente potesse batterlo. Forse avrebbe dovuto prendere provvedimenti a quel riguardo. E poi forse avrebbe dovuto eliminare anche Michelle Maxwell. Non voleva che quella donna gli desse la caccia, in cerca di vendetta per la morte del suo socio.
Quando l’auto davanti alla sua imboccò un lungo viale d’accesso diretta a un’imponente casa di mattoni in stile coloniale, svoltò in una via secondaria, parcheggiò il camioncino e si calò sugli orecchi un paio di auricolari che fino a quel momento erano rimasti nascosti sotto il cappello da cowboy. Armeggiò con una ricetrasmittente sistemata sul sedile anteriore, trovò la frequenza giusta del trasmettitore nascosto in casa Canney, si appoggiò comodamente allo schienale del sedile e aspettò che iniziasse lo spettacolo.
«Di che cosa si occupa Roger Canney?» domandò Michelle ammirando l’impressionante dimora. Una governante li aveva fatti accomodare ed era andata in cerca del padrone di casa.
«Non ne ho idea, ma di qualsiasi cosa si tratti, se ne occupa egregiamente» rispose King.
«Di che cosa è morta sua moglie?»
«Non so neanche quello. Non appartengo alla loro cerchia di amicizie.»
Michelle continuò a guardarsi intorno. «Sai cosa c’è che manca?»
King annuì. «Non ci sono foto di famiglia.»
«Questo cosa ti fa pensare?»
«Che siano state riposte nei cassetti di recente per l’opprimente sofferenza del padre, o che non ci siano mai state.»
«Opprimente sofferenza? Ha fatto cremare il suo unico figlio praticamente di nascosto.»
«Ognuno manifesta le proprie emozioni in maniera differente, Michelle. Certe persone, per esempio, quando sono in preda all’ira spaccano a metà i paletti dei lampioncini.»
Roger comparve un minuto dopo, uno spilungone dalle spalle curve e l’espressione infelice e smorta. Con un cenno della mano li invitò ad accomodarsi sul divano del salotto, e si mise a sedere di fronte a loro. Quando parlò non si preoccupò di guardarli in faccia, preferendo soffermare lo sguardo sulle travi del soffitto.
«Non capisco perché sia necessario un altro interrogatorio» esordì.
King ribatté: «So che è un momento terribile per lei…».
Canney lo interruppe. «Va bene, va bene, passiamo ad altro.»
Gli fecero le domande di rito, alle quali Canney rispose a monosillabi del tutto inutili.
Frustrato, King domandò: «Perciò suo figlio non aveva inimicizie a scuola di cui lei sia a conoscenza? O alle quali potrebbe aver accennato qualche volta?».
«Steve era molto popolare. Gli volevano bene tutti. Non faceva mai errori.»
Il tono della dichiarazione non fu quello di un padre orgoglioso, bensì quello beffardo di un padre amareggiato. King e Michelle si scambiarono un’occhiata perplessa.
«Ha mai menzionato il fatto che stesse frequentando Janice Pembroke?» domandò Michelle.
«Steve non si confidava mai con me. Se scopava in giro con qualche puttanella erano affari suoi. Aveva diciassette anni e scoppiava di ormoni. Ma se avesse messo incinta una ragazza, mi sarei irritato moltissimo.»
«Da quanto tempo è vedovo?» domandò Michelle.
Lo sguardo di Canney si portò di colpo dal soffitto a lei. «Che importanza ha?»
«È una semplice curiosità.»
«Be’, limiti la sua curiosità alla questione per cui è qui.»
«D’accordo, le viene in mente niente che Steve potrebbe averle detto o che potrebbe casualmente avergli sentito dire senza volerlo, o a cui potrebbe aver accennato uno dei suoi amici un giorno in grado di far luce sull’omicidio?» insistette Michelle.
«Senta, le ho già detto che non eravamo proprio in buoni rapporti. Abitavamo nella stessa casa, ma la cosa finiva qui.»
«C’è un motivo specifico per cui lei e suo figlio non andavate d’accordo?» interloquì King.
«Ognuno aveva le sue ragioni, e non riguardano la sua morte.»
«Temo che tocchi a noi deciderlo. Perciò se vuole avere la cortesia di rispondere alla domanda…»
«E io temo di dover rifiutare» ribatté Canney in tono acido.
«Be’, è una sua scelta. Rivediamo quello che ci ha detto finora. Lei e suo figlio avevate quello che ragionevolmente può essere definito un rapporto apertamente ostile. Può darsi che lei fosse irritato per il fatto che stesse frequentando una puttanella, come l’ha definita lei stesso, ed era preoccupato di dover pagare a un certo punto per un bimbo indesiderato. E poi Steve e questa “puttanella” sono stati uccisi a fucilate. Possiede un fucile, signore?»
Canney si alzò di scatto: il suo volto esangue adesso era paonazzo. «Cosa diavolo vuole insinuare? Come osa! Ha completamente frainteso le mie parole.»
King restò impassibile. «No. Sto semplicemente arrivando alle stesse conclusioni di un qualsiasi giudice che abbia un minimo di competenza. Quello che ci ha detto finora la rende un possibile sospetto nell’omicidio di suo figlio. Sono sicuro che le hanno chiesto dove si trovava quando è stato ucciso. Gradirei che lo dicesse anche a noi.»
«Ero a casa, e stavo dormendo.»
«Da solo?»
«Sì!»
«Perciò non ha un alibi» concluse King. «Be’» disse rivolto a Michelle «torniamo alla stazione di polizia a fare rapporto. Se non altro è un’altra pista investigativa che l’FBI può seguire attivamente.» King riportò lo sguardo su Roger Canney. «Sono certo che il Bureau la contatterà al più presto. La preghiamo di non lasciare la città nell’immediato futuro e di tenersi a disposizione.» King fece per alzarsi dal divano.
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