Era seduto a meditare a un tavolaccio, grezzamente intagliato con l’accetta, in mezzo alla caverna. Questa era stata equipaggiata con scorte e viveri sufficienti a renderla abitabile per lunghi periodi di tempo. L’unica illuminazione proveniva da una lanterna alimentata a pile. L’uomo sollevò il cappuccio nero che indossava quando aveva ucciso quattro persone. Tastò leggermente il tessuto. Un boia, ecco cos’era, puro e semplice. Eppure i boia eseguivano solo sentenze imposte dalla giustizia. Abbassò lo sguardo sul quotidiano. Una foto sgranata di Robert Battle, scartata anni prima, sembrava fissarlo. Il titolo diceva L’IMPRENDITORE MILIONARIO E FILANTROPO ROBERT E. LEE BATTLE ASSASSINATO IN OSPEDALE. SI SOSPETTA DEL SERIAL KILLER.
Il serial killer! Quelle due parole gli batterono e ribatterono nel cervello finché non appallottolò il giornale e non lo scaraventò lontano da sé. Travolto dalla collera, afferrò la lanterna a pile e la scagliò contro la parete di roccia della grotta, ritrovandosi così al buio. Si alzò dalla sedia e gironzolò a tentoni, urtando vari oggetti, cadendo per terra, rialzandosi e battendo i pugni serrati sulle pareti di roccia e terra fino a perderne la sensibilità. Finalmente esausto, si lasciò scivolare sul freddo pavimento.
A un tratto si mise a urlare così forte che ebbe la sensazione che il cuore gli scoppiasse. Alla fine, madido di sudore, riportò il respiro alla normalità e finalmente si calmò. Strisciò carponi fino a un baule posto a ridosso di una parete, trovò il chiavistello, lo aprì e tirò fuori un’altra lanterna, stavolta a petrolio. Annaspò cercando un cerino in tasca, accese lo stoppino, girò la rotellina per aumentare la fiamma, si guardò intorno e trovò il giornale appallottolato. Si sedette di nuovo al tavolo e rilesse attentamente l’articolo, evitando di guardare anche solo per sbaglio la foto sgranata dell’uomo morto.
Era un bell’imprevisto — un grosso imprevisto, doveva ammetterlo — ma la vita era piena di delusioni. Avrebbe fatto semplicemente come sempre: aggirare un ostacolo trasformandolo a suo completo vantaggio. Il grande Bobby Battle poteva anche essere morto stecchito, ma c’era ancora dell’altro da fare. C’erano altre persone da ammazzare… no, da giustiziare , si corresse rapidamente.
Fissò il titolo, o almeno l’ultima parte del titolo. SI SOSPETTA DEL SERIAL KILLER. Quell’imitatore lo aveva messo in ombra nel peggior modo possibile. Lo aveva oscurato e poi aveva fatto ricadere la colpa dell’omicidio su di lui. In un certo qual modo era costretto suo malgrado ad ammirare la professionalità di quel bastardo. Ammirare sì, perdonare no.
Tirò fuori un foglio di carta su cui aveva scritto, in codice, l’elenco delle sue vittime, quelle già morte e quelle che avrebbe ucciso in futuro. Prese una matita e segnò un punto di domanda sull’ultima riga del foglio. Avrebbe scovato quel suo imitatore prima della polizia e lo avrebbe ucciso. Lo esigeva la giustizia.
«Kyle, cosa stai facendo?» chiese Sylvia entrando nell’ufficio amministrativo del suo studio medico e vedendo Kyle seduto davanti al computer.
Kyle si voltò di scatto sulla poltroncina girevole. «Oh, dottoressa… non pensavo che sarebbe arrivata così presto.»
«A quanto pare no. Dunque, cosa stai facendo di preciso?»
«Sto solo navigando un po’ in Internet.»
«Mi sembrava di averti già detto che non puoi usare questo computer per questioni personali.»
«Infatti non lo stavo facendo. Stavo ordinando un po’ di guanti e mascherine nuove che ci servono sia per l’obitorio sia per l’ambulatorio. In rete ho trovato articoli più a buon mercato di quelli del nostro attuale fornitore.»
«Kyle, questo va bene per il mio studio medico, ma l’obitorio è un’istituzione governativa. Ci sono delle procedure di approvvigionamento prestabilite, rigidissime. Non puoi semplicemente ordinare qualcosa di testa tua e pretendere l’emissione di un assegno del governo per pagare.»
«Cristo santo, dottoressa, sto solo cercando di risparmiare un bel po’ di bigliettoni.»
«Apprezzo l’iniziativa. Ti sto solo dicendo che ci sono certi canali dai quali siamo costretti a passare.»
«A volte mi chiedo perché mi prendo la briga. Con tante porte sprangate…»
«Pensi che a me piaccia la situazione? Senti, mandami una e-mail su questi articoli, compresi i costi comparati, e proverò a trasmetterla a chi di dovere. Se l’affare è davvero conveniente lo concluderemo, sia per lo studio sia per l’obitorio.»
Kyle si animò. «Okay, dottoressa. Figo!»
Sylvia incrociò le braccia sul petto e lo fissò. «Hai l’aria di esserti completamente rimesso. Un’indisposizione a rapidissimo corso!»
«Difatti. E lei come sta? Si sente meglio?»
«No» rispose Sylvia con estrema franchezza. «Ma non avevo altra scelta, se non quella di essere presente.»
«Suvvia, dottoressa, non è che i morti avranno da ridire se lei è un po’ in ritardo.»
«Gli obitori in tutto il paese hanno cadaveri su cadaveri, e ogni minuto che passa le vittime si alterano sempre di più, le prove di importanza vitale si perdono e aumentano vertiginosamente le probabilità che un criminale la faccia franca. Mi rifiuto di lasciare che accada anche qui.»
«Ho capito, dottoressa. Lei è la migliore.»
«Mah! Sbrigati. Dobbiamo completare i referti delle autopsie Hinson e Battle, e oggi abbiamo una camionata di pazienti in nota.»
«Ha ragione.»
Dopo che Sylvia se ne fu andata, Kyle concluse rapidamente quello che stava facendo in realtà: alterare le registrazioni di carico e scarico dell’inventario farmaceutico per coprire i suoi furti. Quando ebbe finito, si annotò mentalmente di ricordarsi di trovare su Internet una ditta di forniture sanitarie a buon mercato da sottoporre a Sylvia. Una cosa che aveva imparato di quella donna era che non dimenticava mai niente. Se non le avesse presentato un preventivo vantaggioso, glielo avrebbe chiesto, e se non avesse saputo risponderle, si sarebbe insospettita. Non era previsto che lui disponesse della password per accedere a quei file, ma l’aveva carpita alla segretaria che si occupava dell’amministrazione. La donna veniva solo tre giorni a settimana, il che gli garantiva un sacco di opportunità di coprire le proprie tracce ogni volta che effettuava un “prelievo” dalla farmacia dell’ambulatorio.
Tuttavia Kyle aveva sottovalutato Sylvia Diaz. La dottoressa sospettava già di lui. E i sospetti sarebbero solo aumentati con il passare del tempo.
Mentre si alzava per andare a raggiungerla, lo sguardo di Kyle cadde sul giornale che giaceva sulla scrivania vicino al computer. Il titolo era lo stesso contro cui aveva tuonato l’uomo nella grotta: l’assassinio di Battle e la responsabilità attribuita al serial killer. Kyle diede una lettura veloce all’articolo. Era accaduto la stessa notte che aveva portato le pastigliette alla donna all’Aphrodisiac. Anzi, secondo l’articolo, era avvenuto nello stesso orario in cui era passato davanti all’ospedale sulla sua auto, diretto al club. Strada facendo poteva aver incrociato l’assassino, una consapevolezza che lo fece trasalire. Mentre andava con il pensiero a quella notte, a un tratto gli tornò in mente ciò che aveva visto. E com’era sua abitudine da sempre, Kyle cominciò a chiedersi come quell’informazione potesse fruttargli del denaro.
Junior Deaver scaricò a fatica dal suo camioncino una grossa catasta di assi catramate, che cadde a terra fragorosamente nella quiete del mattino. Poi si concesse un istante per rimirare la casa che stava costruendo per la sua famiglia. La struttura in legno era completa, il tetto era finito e presto sarebbe stato coperto dalle assi catramate. Però i lavori procedevano a rilento, pensò. Aveva fatto lui stesso gran parte dell’opera, chiedendo qualche favore ai suoi amici di tanto in tanto. Non era una casa grande, ma era di gran lunga più ampia della roulotte in cui abitavano. Prese la cintura degli attrezzi dal camioncino, se la allacciò in vita e andò ad accendere il generatore a batteria che avrebbe fornito energia alla pistola sparachiodi per fissare le assi sul tetto.
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