«Non so proprio niente di niente, Sean, veramente.»
«Okay. Hai mai visto Junior Deaver qui intorno?»
Sally ebbe un attimo di esitazione, poi disse: «Qualche volta. Quando lavorava qui».
«Hai mai parlato con lui?»
«Forse una volta» rispose Sally evasivamente.
«Be’, buona giornata, Sally.»
I due soci ripartirono in macchina. King tenne d’occhio lo specchietto retrovisore, osservando una nervosissima Sally.
«Ci nasconde qualcosa» disse Michelle.
«Ci puoi giurare» ribatté King.
«E ora dove si va?»
King indicò una grande casa oltre la siepe che delimitava quella parte della vasta tenuta. «Prima di concludere la nostra giornata di lavoro abbiamo ancora due Battle da visitare» disse.
«Così questa sarebbe una rimessa per carrozze?» esclamò Michelle mentre scendeva dall’auto di King e fissava la costruzione di mattoni rossi, a occhio e croce sui quattrocento metri quadrati di superficie. «Me le sono sempre immaginate più grandi» aggiunse in tono sarcastico.
«Suppongo dipenda dalle dimensioni delle carrozze che hai.» King adocchiò la Volvo station wagon ultimo modello color argento posteggiata nel cortile. «Quella è l’auto di Eddie.»
«Lascia che indovini: sei un chiaroveggente?»
«No, ma nel vano di carico posteriore intravedo un cavalletto da pittore e un’uniforme da confederato.»
Eddie Battle venne ad aprire la porta e li invitò ad accomodarsi. Era un tipo grande e grosso, alto almeno un metro e ottantacinque, sui 120 chili di muscolosa stazza. Aveva una zazzera di folti capelli neri ribelli e penetranti occhi azzurri, tratti scolpiti nel marmo e sciupati dalle intemperie. La capigliatura era un’eredità paterna, mentre aveva preso la bocca e gli occhi da sua madre, osservò Michelle. Però non aveva un briciolo della severa altezzosità e del freddo riserbo di Remmy; al contrario, il suo piglio giovanile era accattivante. Le ricordava un prestante — quantunque stagionato — surfista californiano.
Eddie strinse loro la mano e li fece accomodare in soggiorno. I suoi avambracci dai grossi muscoli scolpiti, solcati da grosse vene, erano punteggiati di colori a olio e indossava quelli che sembravano degli antiquati stivali da cavallerizzo con i jeans scoloriti infilati dentro. La sua camicia da lavoro bianca aveva diversi buchi e innumerevoli macchie di pittura; non si era nemmeno sbarbato. Sembrava l’antitesi di un figlio di papà.
Ridacchiò quando notò che Michelle gli fissava gli stivali. «La settimana scorsa mi hanno ucciso in un’incauta carica di cavalleria contro una postazione fortificata unionista nel Maryland. Volevo morire con gli stivali ai piedi, e non riesco a trovare la forza di togliermeli. La mia povera Dorothea si sta irritando sempre di più, mi sa.»
Michelle sorrise e King disse: «Probabilmente ti stai chiedendo perché siamo qui».
«Per nulla. Mia madre ha telefonato pochi minuti fa. Mi ha già ragguagliato sul motivo della vostra visita. Temo di non potervi dire granché. Quando il furto è avvenuto eravamo assenti da casa. Dorothea era a Richmond per un’assemblea di agenti immobiliari. E io ho combattuto in un’accanita rievocazione storica della battaglia di Appomattox, dopo di che sono andato direttamente nel Tennessee in auto per godermi l’aurora di primo mattino sulle Smoky Mountains. Al momento del furto stavo dipingendo un paesaggio.»
«A sentirla così sembra una bella fatica» disse Michelle.
«In effetti no. Non devo fare altro che girare a cavallo e giocare ai soldati, e sporcarmi di colori a olio dalla testa ai piedi. Sono un bambinone che non è mai stato costretto a crescere. Penso che i miei genitori ci soffrano nel vedere quello che sono diventato, ma sono un buon pittore, anche se non sarò mai un maestro. E al sabato e alla domenica gioco a fare il soldato a cavallo. Sono un privilegiato, me ne rendo conto perfettamente. E proprio per questo cerco di essere modesto e fare autocritica. In effetti ho parecchi motivi per essere modesto e autocritico.» Sorrise e mostrò una chiostra di denti talmente perfetti per forma e tonalità immacolata che Michelle concluse che erano tutti incapsulati.
«Se non altro lei è onesto con se stesso, questo è poco ma sicuro» commentò Michelle.
«Senta, sono figlio di genitori favolosamente ricchi, e non ho mai veramente dovuto lavorare per mangiare. Non mi do arie da snob e quello che faccio lo faccio al meglio delle mie possibilità. Però so che non è per questo che siete qui. Perciò procedete pure con le domande.»
«Hai mai visto Junior Deaver da queste parti?» domandò King.
«Certo, ha fatto un mucchio di lavori per i miei genitori. Junior ha fatto parecchie cose anche per me e Dorothea, e non abbiamo mai avuto il benché minimo problema con lui. Perciò non capisco questo furto. Stava guadagnando bene con i suoi lavori qui in famiglia, ma forse non abbastanza. Ho sentito che ci sono un sacco di prove che conducono a lui.»
«Forse troppe» ribadì Bang.
Eddie lo fissò pensierosamente. «Capisco cosa vuoi dire. Immagino di non aver riflettuto troppo sulla cosa. Di recente siamo stati più in pensiero per altre questioni familiari.»
«Giusto. Ci dispiace di quel che sta passando tuo padre.»
«È strano. Ho sempre pensato che ci avrebbe sepolto tutti. Badate bene: potrebbe ancora farlo. È un uomo abituato a fare sempre di testa sua.»
Ci fu una breve pausa prima che King dicesse: «La domanda che ti farò adesso potrebbe sembrare un pochino imbarazzante, ma sono costretto a fartela.»
«Be’, mi sa tanto che è tutta quanta la situazione a essere un pochino imbarazzante, perciò spara pure.»
«A quanto pare, tuo padre aveva nel suo guardaroba un cassetto segreto da cui sono state rubate delle cose. Tua madre ignorava l’esistenza del nascondiglio, e di conseguenza non sa che cosa potesse esserci dentro. Ne sai per caso qualcosa?»
«No. Per quel che mi risulta, i miei genitori non avevano nessun segreto tra loro.»
«Però non hanno camere separate?» chiese Michelle bruscamente.
Il sorriso radioso di Eddie si spense in fretta. «Sono affari loro. Non significa che non vadano a letto insieme o che non si amino. Papà fuma i sigari e gli piace avere la stanza in un certo modo. Mamma non sopporta l’odore dei sigari e le piace vedere le sue cose sistemate in una certa maniera. È una casa enorme, e in casa loro possono fare quel che diavolo gli pare.»
King si affrettò a scusarsi. «Te l’avevo detto che era un argomento imbarazzante.»
Eddie parve di nuovo pronto ad aggredirli verbalmente, ma poi apparentemente riuscì a frenare l’impulso. «Non sapevo di nessun cassetto segreto di papà. Ma non sono il suo confidente.»
«Perché, ha un confidente per cose del genere? Forse è Savannah?»
«Savannah? No, se pensate che la mia sorellina sia una potenziale fonte di informazioni fareste meglio a scordarvelo.»
«Pensavo che fosse all’università quando è avvenuto il furto» suggerì Michelle.
«Infatti era ancora là. E i suoi privilegi sono iniziati molto tempo prima del college.»
«Mi pare di capire che voi due non andiate molto d’accordo» osservò Michelle.
Eddie scrollò le spalle. «Non è colpa di nessuno, davvero. Io ho quasi il doppio della sua età e non abbiamo niente in comune. Io ero all’università quando è nata.»
«Tua madre ci ha accennato a quello che ti è successo allora» disse King.
Eddie parlò lentamente. «Per essere sincero, non ricordo molto al riguardo. Non ho mai visto in faccia la persona che mi aveva rapito finché non mi mostrarono il suo cadavere.» Eddie emise un profondo sospiro. «Fui molto, molto fortunato. Quando venni liberato mio padre e mia madre erano talmente felici che concepirono Savannah. O almeno questa è la versione ufficiale che circola in famiglia.»
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