Aspettò, aspettò. Ecco là, l’enorme rombo di un tuono mentre il temporale cominciava il suo fuoco di fila. Accese i due Mercruiser quasi simultaneamente, e subito un migliaio di cavalli vapore si svegliarono sotto di lui. Premette l’interruttore di comando, che trasferiva sott’acqua la maggior parte del rumore dei motori. Spinse adagio l’acceleratore e il motoscafo uscì pian piano dal suo scivolo. Puntò la prua verso lo sbocco dell’insenatura, aumentò leggermente la potenza e si allontanò dal pontile a una velocità di circa dieci nodi. Sentiva lo scafo vibrare leggermente sotto di lui, come se i due Mercruiser fossero scontenti che non li stesse spingendo maggiormente, sollevando il motoscafo sulla prua, facendolo planare sulla superficie del lago e lasciandosi dietro tutti. Batté la mano affettuosamente sul cruscotto in plancia. Più tardi, lo prometto.
Non appena uscì in un canale aperto, si portò a metà velocità e il FasTech schizzò immediatamente a trentacinque nodi, con i due Mercruiser non ancora del tutto soddisfatti ma sulla buona strada per esserlo presto. Diede un’occhiata allo schermo colorato GPS al centro del cruscotto e fece rotta a sud-est a 150 gradi. Sul lago non c’erano altre imbarcazioni, e conosceva benissimo quello specchio d’acqua. I canali di navigazione erano tutti segnalati da boe luminose: boe rosse lampeggianti numeri pari verso monte e boe verdi lampeggianti numeri dispari verso valle. Le secche erano segnalate con abbaglianti luci bianche. Sapeva comunque dove si trovavano. Le conosceva a una a una. L’unico problema erano le insenature, in cui i punti bassi non sempre erano indicati e la terraferma si protendeva in acqua irregolarmente. Tuttavia suo padre aveva fatto dotare il FasTech di un radar supplementare, perciò Eddie non aveva la preoccupazione di andare ad arenarsi, persino nelle baie più piccole. Grazie, papà, sono in debito con te, gran figlio di puttana.
Continuò a tenere spenti i fari e aumentò la velocità a cinquanta nodi. Spostava in continuazione lo sguardo tra l’orizzonte scuro oltre la prua davanti a sé e il GPS di bordo. I Mercruiser erano abbastanza su di giri; se non altro lo scafo aveva smesso di vibrare. Ora stava planando sulla superficie del lago a gran velocità, filando come un missile, anche se il temporale si era fatto minaccioso. Accese la radio VHF e ascoltò le previsioni meteorologiche. Si ordinava a tutte le imbarcazioni di piccolo cabotaggio di rimanere attraccate ai moli. Si consigliava alla gente di chiudere bene i portelli e i boccaporti. Sarebbe stato sicuramente un nubifragio memorabile.
Grazie, Gesù. Aveva tutto il palco solo per sé. Cambiò rotta non appena giunse nel canale principale e puntò la prua a sud-ovest, a 220 gradi sulla bussola. In realtà non era così lontano in linea d’acqua. Era molto più lontano in auto, il che spiegava perché aveva preso il motoscafo. E comunque i piedipiatti avevano messo posti di blocco in tutte le strade. Però c’era un’unica motovedetta, che operava solo il sabato e la domenica, quando il lago era più affollato. Quella notte nessuno gli avrebbe creato problemi.
Si alzò in piedi, tenendosi al volante del timone, e lasciò che il vento impetuoso gli sferzasse il volto e gli scompigliasse i capelli. Quando la brezza aumentò, lo stesso fece la corrente. Ora minacciose increspature bianche profilavano le onde scure. Però il FasTech le fendeva senza il minimo problema e continuava a saltarvi sopra. Eddie alzò lo sguardo verso il cielo minaccioso. Aveva sempre amato la vita all’aria aperta. Andare a cavallo, giocare ai soldati, campeggiare sotto il cielo immenso, dipingere albe mozzafiato, andare a caccia e a pesca, arrivare a comprendere come tutte le cose collaboravano insieme e si sostenevano a vicenda.
Però tutto stava giungendo a conclusione. Era chiaramente consapevole che quella sarebbe stata la sua ultima corsa. Era sorprendente con quale velocità fosse giunta la fine. Era molto forte e in ottima salute, eppure la sua aspettativa di vita aveva raggiunto il culmine all’età di quarant’anni. Ciononostante, quando fosse giunto il suo momento, avrebbe realizzato tutto quello che si era prefissato. Quante persone potevano affermare la stessa cosa? Aveva vissuto la sua vita esattamente alle proprie condizioni, non a quelle imposte da suo padre o da sua madre o da nessun altro. Soltanto le sue.
Era una bugia che si raccontava ogni giorno.
Aprì il frigorifero di bordo e pescò l’unica birra che vi aveva riposto prima di essere arrestato. Allora ignorava se o quando avesse avuto bisogno del motoscafo; sapeva solo che c’era quella possibilità.
La birra era calda, naturalmente, tutto il ghiaccio si era liquefatto. Ma aveva un gusto così buono. Si premette la lattina sulle guance e spinse fino in fondo la manetta di regolazione dei motori. I due Mercruiser si svegliarono immediatamente dalla monotonia della velocità di crociera e il motoscafo balzò in avanti a settanta miglia nautiche orarie, e poi ancor di più. Le colline che si elevavano dal lago artificiale gli sfrecciavano accanto; le migliaia di alberi che punteggiavano la loro superficie erano silenti sentinelle che salutavano il suo ultimo urrà. La carica di Eddie Lee Battle e della sua fida cavalleria leggera. Dio, era nel suo elemento.
«Ancora sulla breccia» urlò al vento nell’oscurità, rivolto al cielo lampeggiante mentre cominciava a piovere. Si leccò le gocce sulle labbra. «La maggior virtù di un uomo è il coraggio di uno contro tutti. Quando più sembrerà oscuro, più brillerà la luce, anche se solo per il pulsare di un cuore che batte nel petto» declamò, citando la prosa infiammata di qualche scrittore dell’epoca della guerra di Secessione, il quale probabilmente non aveva mai imbracciato un moschetto in tutta la sua vita. Come per un suo desiderio il cielo fu improvvisamente illuminato da uno squarcio di lampo da un miliardo di watt mentre si scatenava il temporale.
Il rombo dei due Mercruiser eguagliava Madre Natura decibel su decibel. La scia alle spalle del motoscafo era enorme, ma la corsa sulle onde era liscia, così dannatamente liscia, impennato com’era in planata. Quasi tre quarti dello scafo da dieci metri erano fuori dall’acqua, e solcava come una lama onde che ora sfioravano il metro. Era un maledetto jet. Nessuno poteva prenderlo.
Nessuno!
Michelle misurava a grandi passi la sua camera da letto a Casa Battle come una leonessa in gabbia in cerca di uno spiraglio possibile per riavere la libertà. King era andato a cena da Sylvia. Non sapeva perché le seccasse tanto. O forse lo sapeva. Non era stata invitata. E perché mai questo la sorprendeva?
Finalmente si decise a uscire dalla stanza, scese a due a due i gradini ed entrò in soggiorno. Era tutto il giorno che non vedeva Remmy. Dorothea probabilmente era a letto. Dormiva molto. Chi poteva biasimarla? Finanziariamente era rovinata, aveva problemi di tossicodipendenza, era ancora sospettata di aver ucciso Kyle Montgomery, e suo marito si era rivelato un assassino squilibrato ed era latitante. Fosse capitato a lei, probabilmente avrebbe dormito per il resto dei suoi giorni.
Si fermò quando vide Savannah che arrivava dal corridoio. La ragazza non si vestiva più come sua madre. Forse l’invincibile Remmy Battle aveva perso il suo mordente. Indossava un paio di jeans a vita bassa che lasciavano intravedere il bordo di un perizoma nero, una corta camicetta senza maniche ed era scalza, con le unghie dei piedi smaltate di rosso mela.
Alzò lo sguardo stupita quando vide Michelle in soggiorno, come se non ricordasse nemmeno che l’investigatrice alloggiava da loro da alcuni giorni.
«Come va, Savannah?»
La ragazza si rabbuiò in viso. «Oh, a meraviglia. Mio padre è morto, mia cognata è ridotta a un vegetale, mia madre è uno straccio, mio fratello un serial killer. E tu come stai?»
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