Quella disattenzione ai particolari gli era sicuramente costata la vita.
Scusa, Chip, ma chi dorme non piglia pesci. E comunque non è che fossi poi tanto bravo come agente. Al contrario, eri piuttosto inetto. Un borioso incompetente. E morivi dalla voglia di farmi da patrigno. Che attrazione irresistibile tutti quei soldoni, eh, vecchio Chip? Vecchio mio. Amico mio.
Eddie scese dall’automobile. Raggiunse il suo camioncino in meno di mezz’ora, tenendosi sempre alla larga dalle strade. Adesso era tempo di dormire e di prepararsi. E poi di agire sulla base dell’informazione ottenuta quella notte.
La sua scorciatoia per determinare l’identità dell’assassino di suo padre aveva funzionato a meraviglia. Sperava solo che “l’esecuzione” sarebbe stata altrettanto impeccabile.
«Era il suo pugnale» disse Williams a King e Michelle nel soggiorno di Casa Battle. «C’erano le sue impronte digitali. Eddie non ha tentato di nascondere di essere stato lui. Probabilmente ne va fiero.»
Il corpo senza vita di Chip Bailey era stato rinvenuto il mattino seguente da uno dei suoi subalterni. La morte del veterano dell’FBI aveva sconcertato tutti.
«Una tremenda dimostrazione di fegato da parte di Eddie uscire allo scoperto per eliminare Chip in quel modo» commentò King.
«Non credo che fosse l’unica ragione per lasciare la sua tana» ribatté il capo. «Voi due fareste bene a venire con me.»
Williams li accompagnò in auto alla palazzina della “Gazette” e indicò la parola scritta da Eddie sul muro.
TEAT
King osservò la scritta e poi fissò Williams. « Teat ? Cioè, come la tetta di una mucca? Sei sicuro che sia stato Eddie e non un teppistello minorenne?»
«No, ne sono certo. In effetti sembrerebbe uno scherzo. Ma la sede della “Gazette” non è molto distante dal motel davanti al quale Chip è stato ucciso.»
King si guardò intorno. «Che cosa ci faceva qui?»
Michelle indicò la massa di schedari e raccoglitori da microfilm. «Forse cercava qualcosa in archivio.»
«È una bella impresa quando non si sa che cosa si sta cercando» osservò King. «Un lavoro immane.» Si rivolse a Williams con espressione preoccupata. «Sarà meglio che ti guardi le spalle, Todd.»
«Non sono in cerca di una pugnalata in pieno petto. Ho una scorta armata che mi protegge ventiquattrore su ventiquattro. Vorrei che Chip avesse fatto lo stesso.»
«Forse pensava che non potesse capitargli niente» disse Michelle. «O forse era solo troppo sicuro di sé.»
«O magari credeva veramente che Eddie fosse suo amico» commentò Williams.
«Bell’amico» osservò King. «Come vanno le ricerche?»
«Ci sono fin troppe stradine secondarie e boschi. E a quanto pare, chiunque abiti entro un raggio di quattro Stati confinanti ci ha telefonato per segnalare di aver avvistato Eddie. Ormai nell’immaginario popolare è alto più di tre metri, ha artigli al posto delle mani e brandelli di carne umana che gli penzolano dalla bocca sporca di sangue. Giuro su Dio che non capisco come mai nessuno venga mai condannato in questo paese. Proprio non capisco.»
«Basta solo una buona traccia» gli rammentò Michelle.
«Potrei morire di vecchiaia prima che accada» ribatté Williams sconsolato.
Michelle lanciò un’occhiata al suo socio. «Tu cosa ne pensi, Sean?»
King scrollò la testa stancamente. «Penso che dopo tanta fatica Eddie sia al volante di una fuoriserie e noi invece siamo tornati alla casella di partenza.»
King e Sylvia avevano appena finito di cenare a casa di lei. King si era preso qualche ora di libera uscita dall’accampamento armato organizzato a Casa Battle. Tuttavia un agente piantonava il vialetto d’accesso all’abitazione di Sylvia, tanto per essere sicuri che la loro cenetta privata non fosse interrotta.
Sylvia giocherellava con il braccialetto che aveva al polso sinistro. «Dove pensi che sia?»
King alzò le spalle. «O a duemila chilometri da qui o a due metri. Difficile dirlo.»
«Ha rotto il cranio a Jean Robinson. Ha spezzato il collo a quell’agente di polizia al palazzo di Giustizia. E ha pugnalato Chip Bailey con tale forza che la lama ha raggiunto la colonna vertebrale! Per non parlare di quello che ha fatto a Sally Wainwright e a tutte le altre vittime. A momenti uccideva anche te.»
«Eppure non ha ucciso il piccolo Tommy Robinson.»
«Credi che questo possa scusare ciò che ha fatto?» commentò Sylvia in tono brusco.
King la fissò sopra l’orlo del bicchiere. «No.» Si alzò e prese la bottiglia di vino che aveva portato con sé. «Questo vino d’annata si apprezza meglio all’aperto.» Era stufo marcio di parlare di Eddie. Non ne poteva proprio più.
Scesero la rampa di gradini che conduceva al piccolo pontile di Sylvia.
«Quando ti sei fatta il gazebo?» domandò.
«L’anno scorso. Mi piace sedermi qui fuori a guardare il lago.»
«Hai un bel posto per farlo. Però dovresti costruirci uno scivolo per barche. Facci un pensierino.»
«Soffro di mal di mare. E non sono molto brava a nuotare.»
«Sarei felice di insegnarti.»
Si sedettero a finire il vino.
«Ti porterò a fare un giro con il mio motoscafo» disse King dopo un po’. «È un lago veramente sicuro, senza pericoli.»
«Ne sei certo?»
«Assolutamente.»
L’uomo nuotava per quindici metri sotto la superficie dell’acqua e poi emergeva per prendere fiato, prima di tornare sotto. Riemerse con la faccia un’ultima volta, tenendosi a galla e guardandosi intorno. Proprio come aveva pensato: non c’era nessuno di guardia al pontile. Perché mai avrebbero dovuto pensarci? Erano solo poliziotti.
Eddie coprì la breve distanza che lo separava dal pontile con ritmiche bracciate. Nella sua muta nera da sub era praticamente invisibile. Raggiunse la scaletta, si issò a metà fuori dall’acqua e poi si fermò, con l’orecchio teso. Diede una rapida ma dettagliata scorsa alla zona circostante prima di salire l’ultimo gradino e sedersi sul pontile, poi tirò su la sacca a tenuta stagna che era legata a una caviglia. Ne estrasse la pistola e controllò l’orologio. Doveva fare in fretta. Non poteva sperare di fuggire facilmente, sebbene i tuoni rimbombassero già in lontananza. Aveva sentito alla radio che era in arrivo un violento nubifragio: forti venti, pioggia e una quantità di tuoni e fulmini. Non avrebbe potuto chiedere una notte migliore. Gli elementi naturali gli erano sempre favorevoli, a quanto pareva. Ottimo, perché non aveva altri amici.
Si diresse verso la rimessa delle imbarcazioni, armeggiò intorno alla serratura, aprì la porta ed entrò. Prese l’attrezzatura che gli serviva, accese l’interruttore sul montacarichi dello scivolo e si affrettò a tornar fuori, con il telecomando in mano.
Il Formula FasTech stava entrando in acqua. Prima di essere arrestato, aveva avuto l’accortezza di assicurarsi che fosse pronto per essere varato. Il rappresentante della ditta che lo aveva venduto a suo padre aveva detto che era uno dei motoscafi più veloci — se non il più veloce in assoluto — in circolazione sul lago. Be’, a seconda di come andavano le cose, forse avrebbe avuto bisogno di ogni cavallo di potenza di quel gioiello.
Salì a bordo e si sistemò nell’abitacolo. Quando il motoscafo fu completamente in acqua, premette il pulsante di stop sul telecomando. Il silenzio tornò a regnare sovrano. Non avrebbe acceso i fari finché non si fosse parecchio allontanato dalla riva, se mai lo avesse fatto. Era una fortuna che nessun altro della sua famiglia avesse la passione delle barche. Nessuno sarebbe sceso al pontile a quell’ora di notte. Buon per loro. Era di umore omicida, familiari o meno. Sembrava ormai che non ci potesse fare nulla.
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