Il cercapersone entrò in funzione nel momento in cui imboccava il vialetto di casa.
Lesse il numero. Era lo sceriffo McCauley. Oh, grazie mille, collega, hai fatto finalmente scivolare il deretano giù fino al nostro parcheggio?
Raccolse la corrispondenza, entrò nel suo appartamento al pianterreno, controllò il telefono. Niente Leanna. Stappò una Heineken e chiamò McCauley.
«Complicazioni», annunciò lo sceriffo. Niente più indolenza nella voce, niente amichevolezza campagnola. «Ho una possibile identificazione del suo ragazzino. Lo avrebbe riconosciuto il gestore del parcheggio. Di nome fa Billy Straight. William Bradley Straight, dodici anni, un metro e cinquanta circa, suppergiù quaranta chili, nessuno lo vede da mesi. La madre era disoccupata e viveva del sussidio, sempre in ritardo di mesi con l’affitto. Mai visto un padre. Non una bella situazione, ma il ragazzo non ha mai dato fastidio a nessuno.»
Scomparso da mesi, eppure nessuno nella pacifica e serena Zombieville aveva pensato di denunciarne la fuga, pensò Wil. Persino i viottoli di campagna nascondevano le loro piccole meschinità.
«Che cos’ha detto la madre della sua scomparsa, sceriffo?»
«È qui che c’è la complicazione. Quando sono andata a trovarla, l’ho trovata morta nel trailer. Da un paio di giorni, direi. Contusioni alla zona occipitale del cranio, un certo livore, inizio di rigor mortis , qualche larva di mosca. Nel rimorchio faceva molto caldo, probabilmente ha accelerato il processo, ma alcuni vicini l’hanno vista due giorni fa, il che ci aiuta a ipotizzare l’ora del decesso.»
Ciao ciao, Andy Griffith; ben arrivato, Quincy.
«… c’era del sangue sul bordo di un mobile, quindi sembra che sia caduta all’indietro battendo la testa. Ò è stata spinta. Presenta anche ecchimosi precedenti all’incidente. Aveva un tizio che viveva con lei e tutt’a un tratto non c’è più. Un motociclista, un brutto ceffo con precedenti di poco conto. Abbiamo un’identificazione anche per lui dai frequentatori di un bar locale. Buell Erville Moran, bianco, trent’anni, sopra il metro e ottanta e abbondantemente sopra il quintale…»
«Capelli castani, occhi azzurri, basettoni rossicci», disse Wil.
«Lo avete?»
«No, ma lo vogliamo.»
La fisionomia della donna era ancora abbastanza integra perché Petra potesse riconoscere Estrella Flores. Alla collaboratrice domestica era stata tagliata la gola da un orecchio all’altro, ma non c’era evidenza di altre ferite. Nulla che ricordasse l’accanimento subito da Lisa.
Aveva la sua logica, pensò Petra: nel caso di Lisa c’era stata passione; questa volta si trattava di liquidare un impiccio.
Balch o Ramsey? O tutt’e due? Nessuno dei due non era più un’alternativa accettabile.
Il dottor Boehlinger avrebbe voluto rimanere, ma Sepulveda ordinò al vice Forbes di riaccompagnarlo a L.A., un abbinamento congegnato all’inferno che indusse Petra a sorridere dentro di sé nonostante l’orrore della situazione.
Povera Estrella. A proposito del posto sbagliato nel momento sbagliato. Ancora con la sua divisa rosa. Doveva essere stata uccisa martedì o mercoledì, per essere trasferita lì subito dopo.
Doveva essere accaduto mercoledì sera o giovedì mattina, il giorno in cui Balch era stato visto partire dall’altra residenza, perché lei stessa gli aveva parlato mercoledì sera e la Lexus era parcheggiata davanti alla sede della Player’s Management. Vuota. Pulita. In contrasto con il caos che c’era nel suo ufficio. L’aveva già sgozzata? Estrella era in quel bagagliaio mentre loro due erano a colloquio?
Si tenne in disparte imitata da Ron per lasciare che i tecnici della polizia locale tentassero di completare i rilevamenti prima che facesse buio. La tenuta di Montecito era enorme. La casa era antica e regale, stucco bianco latte e tegole rosse, autentico stile spagnolo, niente campanile, nessuna delle stravaganze che caratterizzavano il castello di Calabasas. La zona adiacente alla costruzione era ombreggiata da querce gigantesche. La composizione del giardino era in sintonia con l’ombra: felci, clivie, camelie, azalee. I bei sentierini lastricati in granito erano stati disegnati da una mano esperta.
Il terreno digradava guidando lo sguardo allo stagno, un ampio disco d’acqua verde in piena luce. Metà della superficie era ricoperta da ninfee bianche e rosa; libellule fiammeggianti sfrecciavano come minuscoli velivoli; un airone bronzeo si chinò a bere. Stiance e altre ninfee più indietro, gialle, bianche con il centro color ametista. Petra vedeva i danni alla vegetazione che avevano rivelato al dottor Boehlinger la presenza dello scavo.
Un occhio davvero straordinario.
I tecnici si stavano occupando della Lexus nera. L’abitacolo era di pelle color ebano; il fondo del bagagliaio era rivestito di moquette nera. Non le superfici più facili su cui rilevare macchie di sangue, ma uno dei periti ritenne di aver individuato una goccia grande come una monetina sotto il cofano del bagagliaio e il Luminol gli diede ragione. Niente sui sedili, ma il test rivelò tracce di sangue dalle forme più svariate su tutta la moquette.
«Siamo sul mezzo litro», calcolò il capitano Sepulveda. «Anche meno. Questo vorrebbe dire che l’ha uccisa da qualche altra parte, l’ha avvolta in qualcosa e il sangue è colato fuori. Poi ha lavato il bagagliaio. Si sente l’odore del detersivo. Ha creduto che fosse pulito perché sembrava pulito.»
Parlava a bassa voce. Scontento di trovarsi coinvolto. Petra si chiese se fosse mai stato nella squadra Omicidi.
«Sarà meglio che ci procuriamo dei mandati per perquisire la casa e tutto il terreno», concluse. «Qui in giro può esserci di tutto.» Si girò verso Petra e gli occhi dietro le feritoie dovevano essersi fissati nei suoi, anche se lei ne vedeva una frazione troppo piccola per esserne certa. «Vado a parlare subito con un giudice. E lei?»
«È stato Balch a portare la macchina qui, quindi è evidentemente un indiziato», gli rispose. «Riferisco subito al mio capitano e chiedo che venga spiccato un mandato. Che Balch lavorasse per Ramsey resta da vedere, ma non c’è dubbio che questo omicidio va messo in relazione al nostro. Ho bisogno che Balch e Ramsey siano localizzati al più presto.»
Era un’affermazione, non una richiesta.
«Bene», annuì Sepulveda. «Dovrei tornare entro un’ora. Se ha domande, si rivolga al sergente Grafton.» Le indicò un’attraente bruna in abiti borghesi che prendeva appunti sulla sponda del laghetto.
Se ne andò e Ron le passò il suo cellulare. Petra chiamò dapprima Wil Fournier. Non era alla scrivania. Lasciò il numero. Non c’era nemmeno Schoelkopf, in riunione per tutto il pomeriggio, ma convinse un’impiegata a rintracciarglielo. Lui la richiamò di lì a cinque minuti.
«Ero con Lazara, sarà bene che sia importante.»
«A me sembra che lo sia, capitano.» Lo mise al corrente.
«Merda… Va bene, li fermiamo tutti e due immediatamente.»
«Ramsey si è nascosto dietro Lawrence Schick.»
«Questo lo so. Vorrà dire che trascineremo quel bastardo di peso fuori dalle sottane del suo avvocato. Giusto per parlargli, non per arrestarlo. Tu resta lì, occhi bene aperti, non perdere il controllo della situazione. E tienimi una dannata linea aperta.»
«Balch abita alle Rolling Hills Estates», disse Petra. «Il suo ufficio è a Studio City. Ho entrambi gli indirizzi.»
«Spara.»
Glieli lesse. Schoelkopf chiuse la comunicazione.
«Dovrò farmi vivo anch’io», disse Ron. «Con Hector e con mia madre. Qui ne avremo per un pezzo.»
Petra gli restituì il cellulare. Un elegante piccolo Ericsson. «Questo gingillo è tuo o del dipartimento?»
«Mio.»
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