Una sera che era ubriaca fradicia ha fatto questa grande confessione: il riccone era mio padre.
La sua è come la storia di Cenerentola, solo che lei non è finita a vivere a palazzo.
Avere un padre ricco, bello e intelligente mi farebbe comodo, ma so che sono balle. Se aveva tutti quei soldi, perché lei non ha cercato di prendersene un po’?
Quando era in quello stato, qualche volta tirava fuori vecchie fotografie e mi mostrava quand’era magra e carina e aveva tanti capelli neri che le scendevano giù, fino al sedere.
Non aveva nessuna foto di quel bel riccone. Sai che sorpresa.
Quando ha raccontato la storia a Moron, lui ha detto: «Piantala con questa stronzata, Sharia, ti sei scopata un milione di teste di cazzo e non te ne ricordi uno che è uno».
Mamma non ha risposto e la faccia di Moron si è scurita e si è girato a guardare me e per un momento ho pensato che voleva darmele. Invece si e messo a ridere. «Come pretendi di sapere chi ha prodotto questa caccola?» ha chiesto.
Mamma ha sorriso e si è ritorta una ciocca intorno al dito. «Lo so, Buell. Sono cose che una donna sa.»
Lì è stato quando le ha mollato un manrovescio. Mamma è caduta contro il frigo e la testa le è schizzata all’indietro come per saltar via.
Io ero seduto al tavolo a mangiare quel poco che mi aveva lasciato di una maxi scatola di Hormel Chili e tutt’a un tratto mi sono sentito bruciare dentro di pr.ura e furia e ho cercato con gli occhi qualcosa da prendere, ma i coltelli erano in fondo dall’altra parte, troppo lontani, e la sua pistola era sotto il letto con lui in mezzo.
Mamma si è messa a sedere e ha cominciato a piangere.
«Non mi spaccare il cazzo», ha detto lui. «Piantala di frignare.» Ha levato la mano di nuovo. Questa volta io mi sono alzato e lui mi ha visto e i suoi occhi sono diventati piccoli piccoli. È diventato rosso come ketchup, ha cominciato a respirare forte, si è mosso verso di me. Forse mamma stava cercando di aiutarmi o forse stava solo aiutando se stessa ma all’improvviso se lo è preso tra le braccia. «Sì, hai ragione, baby, è una stronzata», gli ha detto. «Una vera stronzata, cosa vuoi che so io, scusa, non ti romperò più le scatole con questa storia, cowboy.»
Lui ha fatto per cacciarla via, poi ha cambiato idea. «Devi piantarla con quelle cazzate.»
«Te l’ho già promesso», ha detto mamma. «Vieni, baby, andiamo in città a divertirci un po’.»
Lui non ha risposto. Solo dopo un po’ ha detto: «Che cazzo». Guardando me, le ha leccato la guancia e le ha infilato la mano sotto la maglietta.
Ha cominciato a muoverla piano piano, in tondo.
«Festeggiamo qui, baby», ha detto, cominciando a spogliarla.
Io sono scappato dal trailer e l’ho sentito ridere. «Sembra che il marmocchio del riccone si è attizzato», ha detto.
Ha cominciato con altre strizzate di mano, sgambetti, pizzicotti al braccio. Quando ha visto che la faceva franca, si è messo a mollarmi ceffoni per motivi stupidi, come quando non gli portavo un uovo sodo abbastanza in fretta. Mi rintronava la testa e per ore non riuscivo a sentire bene.
Il momento peggiore della giornata era quando tornavo a casa da scuola. Lo trovavo fuori a lavorare alla sua moto. «Ehi tu, schizzo di riccone! Vieni qui!»
C’era una sola porta per entrare nel trailer e lui ci era davanti, così dovevo ubbidire.
Certe volte mi strapazzava, certe volte no ed era quasi peggio, perché allora stavo sulle spine aspettando che cominciasse.
Marmocchio di riccone, stupida caccola spocchiosa che crede di essere più furbo di tutti.
Poi ha cominciato con gli attrezzi. Mi puntava uno scalpello sotto il mento, mi prendeva il pollice in una chiave inglese e stringeva fino all’osso guardandomi negli occhi per vedere che cosa facevo.
Io ce la mettevo tutta a non muovere né gli occhi né altro. La sensazione è come quando ti chiudi la mano in un cassetto, ma almeno lì il dolore passa subito, mentre questo è una botta via l’altra. M’immaginavo le ossa che si crepavano e spaccavano e non guarivano più.
Passare la vita con le mani rotte e tutti che mi chiamavano Monco.
Poi c’è stato il cacciavite. Mi faceva il solletico all’orecchio e fingeva di cacciarmelo dentro con un colpo secco, rideva e diceva: «Merda, l’ho mancato».
Qualche giorno dopo mi ha appoggiato sul collo la lama del suo seghetto e ho sentito i denti, come di un animale che mi morsicava.
Dopo quella volta non ho più dormito bene, tutte le notti mi svegliavo e risvegliavo e la mattina avevo la faccia tutta indolenzita per aver stretto forte i denti.
Perché non andavo a rubargli la pistola da sotto il letto e non gli sparavo?
Un po’ perché avevo paura di svegliarlo, così poi la prendeva prima lui. E anche se gli avessi sparato, chi poteva credere che avevo una buona ragione? Sarei finito in galera, finito per sempre, anche una volta uscito sarei stato un ex detenuto, senza diritto di voto.
Ho cominciato a pensare di scappare. La cosa che ha preso la decisione per conto mio è successa una domenica. Le domeniche erano le peggiori perché era in casa tutto il giorno a bere e a fumare erba e a impasticcarsi e a guardare video di Rambo e dopo un po’ si sentiva un Rambo anche lui.
Mamma era andata a far compere e io cercavo di leggere.
«Vieni qui, caccola», ha detto e quando ci sono andato, lui ha riso e ha finito fuori un tronchesino, poi mi ha calato i jeans e gli slip e mi ha preso il pisello tra le lame. Pisello e tutto il resto.
Billy Senza Balle.
Quasi me la sono fatta addosso ma mi sono costretto a tenerla perché se lo avessi bagnato di sicuro me lo tagliava via.
«Piccolino l’attrezzo del marmocchio del riccone, eh?»
Io ero lì fermo, a cercare di non sentire niente, a sognare di essere da qualche altra parte. Elenchi, elenchi, non funzionava più niente.
E lui: «Zacchete e via a cantare nel coro delle voci del cazzo del papa».
Si è passato la lingua sulle labbra. Poi finalmente mi ha lasciato andare.
Due giorni dopo, quand’erano tutti e due al Sunnyside , ho battuto il trailer a caccia di soldi. All’inizio ho trovato solo ottanta centesimi in monetine sotto i cuscini del divano e mi stavo scoraggiando e mi chiedevo se avrei potuto andarmene senza soldi. Poi ho trovato il Miracolo del Bagno. Denaro che mamma teneva nascosto in una scatola di Tampax sotto il lavandino. Credo che non si sia mai fidata fino in fondo di Moron, così ha pensato che là sotto non avrebbe mai guardato. Forse si sentiva in trappola anche lei, voleva scappare anche lei, un giorno o l’altro. Se ho mandato in fumo i suoi piani, mi dispiace, ma riceve ancora il mio sussidio ed erano mie le palle fra le lame di quel tronchesino. Se fossi rimasto ancora sono sicuro che mi avrebbe ammazzato. Allora lei ci sarebbe stata malissimo e probabilmente sarebbe finita in qualche guaio per non aver badato come doveva a suo figlio o qualcosa del genere.
Dunque andandomene le facevo un favore.
Nella scatola di Tampax ho trovato centoventisei dollari.
Li ho infilati in due sacchetti di plastica, ho messo i sacchetti di plastica in una busta di carta stretta con quattro elastici e mi sono infilato la busta negli slip. Non potevo portar via libri o troppi vestiti, così ho messo semplicemente le mie cose più comode in un altro sacchetto di plastica, mi sono allacciato il Casio al polso e sono uscito nella notte.
Non ci sono lampioni al parcheggio dei trailer, solo le luci dentro i rimorchi e a quell’ora erano già quasi tutti a dormire, perciò c’era un bel buio generale. Non è un vero parcheggio, è piuttosto un grande spiazzo di terra vicino a un vecchio frutteto, di aranci storti e piegati dal vento, che non danno più frutti. Su un lato c’è una lunga pista curva che porta alla statale.
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