«Guardi che non è successo niente, signora. In situazioni come questa…»
«Quando sarà finita, lo lascerò.»
Petra non parlò.
«Volevo farlo quest’anno», seguitò Vivian, «Ora dovrò aspettare. Trentasei anni di matrimonio, che barzelletta.» Scosse la testa, fece un verso tremendo, più uno starnazzo che una risata.
«Frequenta prostitute», proseguì. «Crede che sia così stupida da non saperlo.» Un altro verso da uccello. Fece accapponare la pelle a Petra. «Storie sporche di donnacce. E adesso Lisa non c’è più.»
Strana giustapposizione, ma forse no. Una classificazione delle sue sventure. Attese che aggiungesse qualcosa, ma si limitò a mormorare: «La mia Lisa, la mia bella Lisa».
Trascorsero altri minuti di silenzio, poi Petra si decise a riprendere la conversazione. «Signora», chiese, «lei crede che sia stato Cart Ramsey?»
«Non lo so.» Risposta veloce. Ci aveva pensato. Si strinse nelle spalle in un gesto desolato e tirò su con il naso. Petra le procurò un tovagliolo di carta. Lei si asciugò.
«Grazie. Lei è molto gentile. Non so che cosa pensare.» Riuscì a sedere più eretta. «John crede che tutto si possa comperare. Aveva offerto soldi a Lisa perché non sposasse Carter e, quando non funzionò, più soldi ancora perché divorziasse. Che stupidaggine. Lisa avrebbe divorziato da Carter comunque. Me lo aveva detto. Se John avesse mai comunicato con lei, si sarebbe risparmiato l’offerta. La quale era priva di fondamento. Lisa divorziò da Carter, ma crede che John abbia mantenuto la sua promessa?» Le sue labbra sottili si distesero in un sorriso inquietante. Aveva usato rossetto e matita per estendere la linea delle labbra e modificare radicalmente i contorni della bocca. Senza trucco sarebbe stata irriconoscibile.
«Non pagò?» chiese Petra.
«Certo che no. Non le diede un centesimo. Disse che aveva scherzato, che comunque era meglio per lei, non aveva niente di cui lamentarsi. Lisa non se la prese, sapeva con chi aveva a che fare. Ma resta la promessa mancata. Non le sembra orribile?»
«Quanto aveva offerto a Lisa?»
«Cinquantamila dollari. E adesso ne promette metà per il ragazzo.» Vivian scosse la testa. «Non si aspetti che paghi una ricompensa, detective. Provo compassione per chi si illude di ottenere soldi da John. Credo che sia stato Carter? Non lo so. A me era sempre sembrato una persona civile. Poi Lisa mi disse che l’aveva picchiata, quindi non lo so.»
«Quante volte le ha detto di essere stata picchiata, signora?»
«Solo una. Avevano litigato, Carter ha perso la testa e l’ha colpita. Più una sberla che altro, ma le causò un occhio nero e un taglio al labbro.»
«Una sola volta», ripeté Petra.
«Una era troppo per Lisa.» Una punta di orgoglio eccessivo. Perché la figlia aveva saputo imporsi in un modo di cui la madre non era stata capace. «Mi disse che non lo avrebbe tollerato. Ero d’accordo con lei. A dispetto di tutto quello che mi ha fatto suo padre in trentasei anni di vita insieme, non ha mai alzato un dito su di me. Se lo avesse fatto, chissà come avrei reagito.» Sollevò la borsetta, brandendola come un’arma. «Naturalmente non sapevo che Lisa sarebbe andata a raccontare tutto in televisione. Lo avesse detto a me, probabilmente le avrei consigliato di rinunciare.»
«Troppa esposizione?»
«Cattivo gusto. Ma avrei sbagliato. Perché tenere tutto dentro? A che serve stare zitti, subire facendo la bella statuina?»
Pianse di nuovo, si asciugò gli occhi. «Se credo che sia stato Carter? Perché no? È un uomo. Sono loro i responsabili di tutta la violenza che c’è in questo mondo, o no? Sono sicura come lo è John? No. Perché nessuno riesce mai a essere tanto sicuro quanto John.»
Si alzò. «So che fate del vostro meglio, detective. John chiede sangue, ma io desidero solo… qualcosa che non potrò mai avere. Che mi sia restituita la mia bambina. Ora le chiedo per piacere di chiamarmi un taxi.»
«Senz’altro, signora.» Petra aprì la porta per lei. «Qui c’è il mio biglietto da visita. Se le viene in mente qualcosa, qualsiasi cosa, la prego di farmelo sapere.»
Uscirono in corridoio. La porta della numero uno era ancora chiusa.
«Il suo povero amico», sospirò Vivian Boehlinger. «John è anche razzista. Non sa quanto lo disprezzo.»
«Le chiamo quel taxi. Dove deve andare?»
«Al Beverly Wilshire. Lui alloggia al Biltmore. »
Erano passate da poco le nove e si sentiva sfinita. La visita dei Boehlinger l’aveva spremuta di tutte le energie. Il povero Wil era ancora in trincea.
Che coppia, pur considerando la tragedia subita. Non un gran modello di figura maschile per Lisa. Quanta libera volontà è data a ciascuno di noi?
La pila dei messaggi era cresciuta, altre quattro segnalazioni. Pensò con orrore alle telefonate che avrebbe ricevuto da Boehlinger.
In certi casi ci si allea con i familiari della vittima. Lei si trovava alle prese con un uomo a cui avrebbe volentieri cambiato i connotati a mani nude e una donna che le dava i brividi con le sue risate da volatile. Non andava affatto bene. E Stu ancora non si vedeva. Evidentemente non gli importava più niente. La qual cosa si scontrava con il suo desiderio di far carriera. Dunque c’era forse davvero un problema coniugale.
Contattò inutilmente alcuni uffici che si occupavano di persone scomparse senza trovare informazioni sulla Flores e stava posando il ricevitore quando Stu disse: «Buongiorno».
Sbarbato di fresco, i capelli perfettamente pettinati. Indossava un elegante abito di gabardine grigio scuro, camicia grigio perla, cravatta a disegni astratti grigi e rossi. Così perfettamente composto.
Le fece saltare la mosca al naso.
«Buono?» lo apostrofò.
Lui girò sui tacchi e uscì.
Sam Ganzer non parcheggiò molto bene la Lincoln. Il ventenne transatlantico era troppo largo per l’uno o l’altro dei due posti dietro la shul , quindi li sfruttò entrambi.
Chi avrebbe protestato? La sinagoga, che era stata un alacre centro sociale per gli ebrei di Venice, funzionava ormai solo durante il fine settimana e se apriva le porte prima del venerdì sera era solo per lui.
E persino il venerdì era spesso difficile mettere insieme dieci uomini per un minyan. Beth Torah non era abbastanza ortodossa per gli yuppie yarmulke che avevano popolato Venice e che pertanto avevano dato origine a una congrega propria a qualche isolato di distanza, avevano fatto arrivare da New York un rabbino fanatico con il barbone e avevano eretto un divisorio tra uomini e donne. Eccessi di cui i vecchi frequentatori della shul , quasi tutti di sinistra, non volevano nemmeno sentir parlare.
Tutto questo era accaduto cinque anni prima. Ora la gran parte dei frequentatori abituali erano morti. Sam sapeva che prima o poi Beth Torah avrebbe dovuto chiudere, sarebbe stata venduta. Forse se ne sarebbero impossessati gli yuppie, sempre meglio che vedere l’ennesimo scialbo esercizio commerciale andare ad aggiungersi alle decine che occupavano l’Ocean Front Walk. A Sam gli yuppie non erano indigesti come a certi vecchi socialisti. Nutriva una sfiducia radicata nei confronti delle autorità ma in cuor suo era un uomo d’affari. In ogni caso parcheggiava come piaceva a lui e tanti saluti.
Gli sembrava di essere vissuto un’eternità. A settantun anni, il suo corpo era ancora in ottima forma. Suo fratello Emil, che viveva a Irvine e non era per niente religioso, ne aveva settantasei. Un’ottima partita, generazioni di robusti e solidi fabbri e carpentieri temprati dai rigidi inverni ucraini.
C’era voluta la pura e semplice cattiveria per potare quasi tutti i rami dell’albero Ganzer.
Madre, padre, tre fratelli minori e due sorelle spediti a Sobibor e mai più rivisti. Avram, Mottel, Baruch, Malkah, Sheindel. Se fossero emigrati in America, come si sarebbero fatti chiamare? Probabilmente Abe, Mort, Bernie, Marilyn, Shirley. La settimana prima aveva sollevato la questione con Emil, che aveva voluto parlarne.
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