Indossava un tre pezzi nero, con camicia bianca e cravatta grigia a minuscoli pallini neri. Fazzoletto bianco di seta nel taschino. Gemelli di onice. Le scarpe nere erano lucide come olio motore.
Due persone piccole vestite a lutto. La signora Boehlinger teneva gli occhi fissi sulla parete davanti a sé, aprendo e chiudendo un pugno. Nell’altra mano stringeva la borsetta. Le unghie erano laccate, ma spuntate. Volgeva ancora la schiena al marito, non si girò quando Petra e Fournier si avvicinarono.
Il dottor Boehlinger li aveva inquadrati all’istante, protendendosi in avanti come in procinto di fare a pugni. Quando i poliziotti erano ancora a tre metri da lui, disse a Petra: «Lei è quella con cui ho parlato al telefono».
«Sì, signore. Detective Connor.» Gli tese la mano e lui le concesse mezzo secondo di contatto fisico prima di ritrarre la sua. Per passarsela sulla giacca… oh, mio Dio.
Poi Petra ricordò a se stessa che aveva appena perso la figlia. Non c’era niente di peggio.
Niente.
«Vivian?» disse lui e la moglie ruotò lentamente su se stessa. Occhi straziati, con iridi color azzurro brillante, come quelle di Lisa, circondati da raggiere di capillari rotti. C’era più di una vaga somiglianza con Lisa nei lineamenti. Sarebbe diventata come lei anche la figlia, una matrona alla moda, compita e aristocratica?
«Il detective Connor, Vivian», la presentò il medico in tono di rimprovero.
L’espressione di Vivian Boehlinger stava per: e io che cosa diavolo devo farci?
«Piacere di conoscerla», disse, offrendo una mano gelida.
«E questi è il detective Fournier…»
«Abbiamo già conosciuto il detective Fournier», ribatté Boehlinger. «Dov’è il terzo? Bishop?»
«Al lavoro sul campo», rispose Petra.
«Sul campo. Sembra che sia andato a piantar patate.»
«In effetti è abbastanza vero», azzardò Fournier. «Noi coltiviamo piste…»
«Splendido», sbottò Boehlinger. «Dunque sa che cos’è una similitudine. Adesso, bando ai convenevoli e diteci che cosa avete coltivato su Ramsey.»
La moglie si girò di nuovo dall’altra parte a fissare il muro. Lui non se ne accorse. «Allora?»
In corridoio uscì un detective di nome Bernstein con un bicchierino di caffè in mano. Fece per proseguire, ci ripensò e rientrò in sala operativa.
«Andiamo a parlare in privato», propose Petra.
Le tre stanze per gli interrogatori erano orribili, più piccole di una cella di prigione, senza finestre, il vistoso falso specchio che la gran parte degli idioti che venivano fatti accomodare là dentro riconoscevano subito per quel che era, ma della cui presenza prontamente si scordavano.
Odore cattivo in tutte e tre: sudore, pomate, profumo economico, tabacco, ormoni.
Petra scelse la numero uno perché conteneva tre sedie invece di due. Fournier ne recuperò una quarta e si sedettero tutti insieme intorno al minuscolo tavolino di metallo. Intimità forzata. La signora Boehlinger continuava a guardarsi le unghie, le ginocchia, le scarpe, posava gli occhi dappertutto meno che su un altro essere umano. Il chirurgo sembrava ansioso di incidere tessuti umani con un bisturi.
Petra chiuse la porta e fece subito capolino un senso di claustrofobia. La signora Boehlinger si tormentava la gonna, suo marito cercava di sopraffare Fournier con gli occhi.
Tendenza al predominio. A quale scopo? Forza dell’abitudine?
Ricordò che cosa le aveva detto Ramsey della responsabilità che entrambi i genitori avevano scaricato sulle spalle di Lisa cercando di dirigerne l’esistenza. «Vorrei cominciare esprimendo il nostro cordoglio per il lutto che vi ha colpiti. Stiamo facendo tutto quanto è in nostro potere per trovare l’assassino di Lisa.»
Al nome della figlia la madre cominciò a piangere. Il chirurgo non fece alcun tentativo per consolarla. «Noi sappiamo chi è l’assassino.»
«C’è niente che potete dirci a sostegno di questa affermazione?»
«Lui la picchiava, lei lo ha lasciato. Che cos’altro vi occorre?»
«Purtroppo…»
«Questo bambino, il possibile testimone oculare», la interruppe Boehlinger. «Sono sicuro che ci sono state risposte alla nostra offerta di una ricompensa.»
«Sono arrivate alcune telefonate», ammise Petra.
«E allora?»
«Ancora non le abbiamo vagliate. Abbiamo altre piste da controllare.»
«Ma perdio!» Boehlinger calò violentemente la mano sul tavolo. Sua moglie trasalì, ma non lo guardò. «Ci metto i miei soldi, faccio io il lavoro per voi e voi non avete nemmeno la decenza di darci un’occhiata…»
«Lo faremo, stia tranquillo», lo rassicurò Petra. «Appena saremo liberi di occuparcene.»
«Perchè non siete liberi?»
«Siamo qui», rispose Fournier.
Boehlinger alzò di nuovo la mano e per un secondo Petra ebbe l’impressione che intendesse colpire Wil. Ma il pugno si arrestò a mezz’aria. Lieve tremito. Era lo stress o il chirurgo non aveva più il polso fermo della gioventù?
«Siamo noi a intralciarvi? Noi siamo il problema…»
«No, signore», lo rintuzzò Fournier. «Vi siamo grati per tutto…»
La mano piombò di nuovo sul tavolo. «Lei», sibilò il chirurgo, «è un uomo molto maleducato. Tutti e due siete maleducati.»
«John!»
«Tipico», ringhiò Boehlinger, spostando gli occhi rancorosi da Petra a Fournier. «Alla faccia del pubblico impiego. Dunque non sapete niente di questo ragazzino. Impagabile, assolutamente impagabile. Efficienza operativa al suo apice. Vivian, credo che dovremo intervenire in maniera più consistente. Assumeremo…»
«Smettila, John. Ti prego.»
Boehlinger si lasciò andare a una risata di scherno. «Assumeremo senz’altro un investigatore privato perché questi due non sono evidentemente…»
«Basta, John!»
Lo strillo riempì la stanzetta. Boehlinger sbiancò e cercò di aggrapparsi al tavolo. Non trovò appigli e le sue mani si appiattirono. «Vivian», disse senza guardare la moglie, «ti sarei grato se volessi…»
«Sta’ zitto, John! Zitto zitto zitto!»
Fu lei ora ad alzare la mano. Fendette l’aria come un piccolo aeroplano e l’atterrò sul petto, sopra il cuore. Corse fuori lasciando la porta aperta.
Fournier pregò con gli occhi Petra perché la seguisse. Persino il dottor Travaso di Bile era preferibile a una madre sconvolta dalla morte della figlia.
Petra la raggiunse in fondo al corridoio, nella tromba delle scale, seduta sul primo gradino con la fronte appoggiata al muro e i capelli color champagne che tremavano a ogni singhiozzo.
«Signora…»
«Mi spiace!»
«Non ha niente di cui scusarsi, signora.»
«Sono così dispiaciuta, così dispiaciuta!»
Petra si sedette accanto a lei e le passò con qualche titubanza un braccio intorno alle spalle. Sotto il tessuto sentì ossa sottili. Percepì l’aroma del trucco, mentine, Chanel N. 5. «Andiamo a metterci da qualche parte.»
Vivian Boehlinger si raddrizzò e indicò le stanze degli interrogatori. «Non con lui!»
«No», promise Petra. «Noi due sole.»
Petra scelse la stanzetta dove si trovava il distributore automatico. Non aveva serratura, così bloccò la porta con una seggiola. Si accomodò e invitò Vivian Boehlinger a sedersi vicino al tavolino pieghevole sul quale i detective consumavano i loro spuntini.
«Caffè?»
«No grazie.» Voce sommessa ora, il tono di vergogna mista a stanchezza di chi è reduce da una crisi di nervi. Le piccole mani raccolte nel grembo. Sotto le lampade al neon Petra scorgeva l’ombra di rughe profonde dissimulate da un trucco applicato con mano esperta. Gli occhi erano tormentati, privi di speranza. Un contrasto così inquietante con l’aspetto generale di dignitoso contegno.
«Mi dispiace», ripeté Vivian.
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