La Sposito era il suo posto di lavoro, aveva una spiacevole voce acuta che diventò stridula quando Petra le spiegò chi era e la natura della telefonata.
«Darrell? Dice sul serio?» Ma un momento più tardi confermò l’alibi di Breshear.
«Dunque è stato con lei tutta notte?»
«Così ho detto. Ascolti, è meglio che non faccia finire questa storia sul giornale o che so io, non voglio avere problemi.»
«Io sono un detective, non un reporter, signora Sposito.»
«Se vedo il mio nome sul giornale, le faccio causa.»
Tigre di carta. Che le aveva preso?
«Perché ce l’avete con Darrell? Perché è nero?»
«Parliamo alle persone che conoscevano Lisa, signora Sposito…»
«Tutti sanno chi è stato.»
«Chi?»
«Giusto», rispose la Sposito. «È rimasta lei a non saperlo. E la farà franca perché è ricco.»
Petra la ringraziò, riappese, montò in macchina e si recò agli studios. Usò il distintivo e un cocktail di fermezza e fascino per entrare. Ebbe le indicazioni su come arrivare all’Empty Nest da un uomo con i capelli lunghi che aveva l’aspetto di un attore ma indossava una cintura piena di utensili.
Lo stabilimento era costituito da alcune palazzine bianche con le persiane verdi sparse fra i candidi edifici dei teatri di posa e palazzi di uffici. L’atmosfera generale era quella troppo perfetta dei villaggi di Potemkin. Torri di metallo reggevano cartelloni con i manifesti di film e spettacoli televisivi. Un campo di paraboliche faceva pensare a una gigantesca collezione di piatti.
Una donna alla Palazzina A la informò che Breshear lavorava alla D. Entrò in una piccola zona reception, ottone e vetro e pavimenti neri di legno, tre telefoni, niente macchine per scrivere o computer. Altre locandine, produzioni a basso costo che non riconobbe, odore di pesce. Udì delle voci provenire da un’altra stanza e aprì dopo un fugace colpo di nocche.
A un lungo tavolo occupato da alcuni macchinari grigi che sembravano la prole di un accoppiamento tra un proiettore e un microscopio, lavoravano Breshear e due giovani donne. In un contenitore per alimenti aperto c’erano tre involtini sushi.
Una delle ragazze indossava un ampio pull nero su fuseaux neri; bel faccino dai tratti taglienti, pelle resa probabilmente bronzea da prodotti cosmetici e una criniera di riccioloni neri che le scendeva a mezza schiena. L’altra era di un pallore artico, con sottili capelli biondi trattenuti da un fermaglio rosa. Graziosa, ma niente della procacità di Boccoli. Breshear, seduto fra di loro, cominciò a ritrarsi come per prendere le distanze.
«Il detective Connor», la presentò. Aveva in mano una tazza fumante con Gary Larson in serigrafia. Aveva dichiarato di non drogarsi, ma come molti ex alcolisti aveva un debole eccessivo per la caffeina.
«Salve», salutò Petra. «Lei è la signora Sposito?»
«Cosa?» sbottò Boccoli alzandosi in piedi. Alta, con curve da capogiro che nemmeno il pull informe riusciva a dissimulare. I suoi occhi neri avevano dieci anni in più del resto del suo corpo, con tanto mascara che le ciglia sembravano spazzole di tergicristallo in miniatura. Lineamenti troppo duri perché potesse fare la modella o l’attrice, ma senz’altro una ragazza che si faceva notare. Una leonessa, con quella criniera.
«Ho pensato di fare un salto a parlarle di persona.»
Breshear girò la testa di scatto per lanciare un’occhiata alla sua ragazza. Cercava di immaginare che cosa potesse aver detto per telefono da complicare la situazione.
La Sposito si avvicinò a Petra a grandi passi elastici sulla scia di un’occhiataccia all’amante.
La bionda seguì la scena con aria sconcertata.
Quando fu a due passi da Petra, la Sposito disse: «Parliamo di là». Alla bionda: «Usiamo il tuo ufficio, Cara».
«Sì sì», rispose l’altra ragazza. «Io resto qui?»
«Sì. Non ci vorrà molto.»
Nell’altra stanza, la Sposito si posò le mani sui fianchi. «Adesso cosa c’è?»
Colpa tua, Kelly della Giungla, per tutto quel fervore così sproporzionato.
«Ha espresso un giudizio molto critico sul signor Ramsey», le rammentò Petra.
«Oh, al diavolo! Le opinioni sono solo opinioni. E poi tutti la pensano allo stesso modo. Perché il signor Ramsey è un violento. È una follia anche solo ipotizzare che Darrell abbia avuto qualcosa a che fare con Lisa solo perché si è visto con lei un paio di volte. Comunque lei mi ha chiesto dov’era e io gliel’ho detto. Altro non c’è. Devo già digerire abbastanza stronzate per stare con Darrell, non ho bisogno del suo contributo.»
«Stronzate da parte di chi?»
«Tutti. La società.»
«Razzismo?»
Kelly rise. «Solo qualche settimana fa eravamo al Rose Bowl per un raduno e un idiota ha pensato bene di venirsene fuori con una volgarità. Uno penserebbe che ormai è tutto cambiato, Los Angeles, gli anni Novanta. Chi è la donna più ricca d’America, Oprah, no?» Corrugò la fronte e due solchi le si formarono ai lati della bocca. «Quello che c’è tra me e Darrell ha un valore e non voglio che niente venga a rovinarcelo.»
Se solo sapessi, tesoro.
«Capisco», ribatté Petra. «Nessun’altra opinione da riferirmi? Sull’assassinio di Lisa? Su Lisa in generale?»
«No. Ora vuole lasciarmi tornare al mio lavoro? Perché, sa, qui si lavora.»
Come mai la gente del cinema era così zelante nel difendere l’onestà del proprio lavoro?
«Da quanto tempo lavora qui, Kelly?» Kelly e non signora Sposito, perché sentirsi chiamare con il cognome l’avrebbe indotta a cercare di continuare a tenere il coltello dalla parte del manico.
Le spazzole del tergicristallo scesero e si rialzarono. «Un anno.»
«Dunque ha lavorato con Lisa.»
«Non con lei nel senso di aver prodotto gli stessi film. Aveva bisogno di imparare, perciò con lei lavorava Darrell. Io sono sempre stata per conto mio.»
«Lisa era inesperta?»
Kelly ridacchiò. «Una pivellina. Darrell non faceva che criticarla.»
«Per tutti i sei mesi che ha lavorato qui?»
«No, è migliorata, ci sapeva fare, ma a dire la verità… no, lasciamo stare, non voglio mettermici anch’io.»
Petra sorrise e Kelly scoprì i denti. Petra pensò che dovesse essere il suo modo di ricambiare.
«E va bene, ormai la boccaccia si è aperta. Stavo solo dicendo che i posti di editor sono scarsi, c’è da sbattersi a trovarli. Lisa era assolutamente alle prime armi. Immagino che abbia usato qualche conoscenza.»
«Che genere di conoscenza?»
«Nonio so.»
Un altro particolare che Darrell non aveva confidato alla Leonessa. A un tratto Petra provò compassione per lei. «Che cosa pensava di lei come persona, Kelly?»
«Lei faceva il suo mestiere, io il mio. Non eravamo amiche.»
«Le era simpatica?»
Kelly sbatté le palpebre. «Devo essere sincera? Non era tra le mie persone preferite perché secondo me trattava male la gente, ma giuro che non voglio mettermi a farle le pulci adesso.»
«Trattava male chi?»
Gli occhi scuri si strinsero. «Sto parlando in generale. Aveva la lingua tagliente, probabilmente è per quello che ci ha rimesso le penne.»
«Vuole essere più esplicita?»
«Era sarcastica. Aveva un modo di dire le cose senza dirle, sa come. Lo sguardo, il tono della voce, tutto quanto il linguaggio del corpo.» Si lisciò il corpo con le mani, fletté una gamba alla maniera di una ballerina classica, la ridistese. «Lisa era superba, va bene? E se riteneva che qualcuno non fosse alla sua altezza, non perdeva l’occasione di dirglielo nudo e crudo. Vuole la mia opinione? Forse Ramsey stava cercando di rimettersi con lei e lei lo ha mandato a quel paese. I violenti non sono sempre anche ossessionati?»
Dalla bocca di quella bambola astiosa. «Possono esserlo», ammise Petra, senza preoccuparsi di nascondere il suo momentaneo rapimento.
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