Jonathan Kellerman - Solo nella notte

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Solo nella notte: краткое содержание, описание и аннотация

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Una e un quarto di notte. Petra Connor, l’affascinante detective della squadra Omicidi di Los Angeles, è svegliata da una telefonata del distretto di polizia: strage al Paradiso Club. Quattro morti. Adolescenti che avevano partecipato a un concerto hip-hop. Perché quell’orrendo massacro? Oltre al gravoso incarico di decifrare il rebus, Petra deve fare da baby sitter al ventiduenne dottorando Isaac Gomez, impegnato in una ricerca statistica sui crimini avvenuti in città dal 1991 al 2001. Il suo Q.I. è superiore alla media, come la sua timidezza e la miseria in cui versa la sua famiglia. E se fosse proprio il giovane e impacciato cervellone a fornire la chiave dell’enigma? Incrociando i dati risultano infatti sei efferati delitti commessi negli ultimi sei anni, tutti subito dopo la mezzanotte. E tutti il 28 giugno. L’assassino sembra divertirsi un mondo a fracassare il cranio delle vittime osservandone colare la materia grigia. Quale disegno segue la follia? E quale legame con la carneficina del Paradiso?

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La tipa che doveva essere il capo era vecchia e dall’aria cattiva come la bibliotecaria di Watson, ma se ne stava al posto suo a parlare al telefono. La giovane messicana con i capelli lunghissimi era quella che si occupava dei libri. Si è accorta di me ed è venuta tutta sorridente a chiedermi se avevo bisogno di aiuto.

Io ho scosso la testa e ho continuato con le mie equazioni.

«Ah», ha fatto lei, piano piano, «compiti di matematica, eh?»

Io ho alzato le spalle, senza rispondere, allora lei ha smesso di sorridere e se n’è andata.

La volta dopo ha cercato di incrociare il mio sguardo, ma io ho continuato a fare finta di niente e dopo un po’ mi ha lasciato perdere anche lei.

Ho cominciato ad andare in biblioteca regolarmente, una o due volte la settimana, sempre dopo l’una, cominciando con i compiti finti e poi cercando negli scaffali. Quando trovavo qualcosa di interessante, leggevo per due ore.

Mi capitava anche di finire un libro intero in due ore. La terza settimana ho trovato lo stesso identico libro di Jacques Cousteau che avevo a Watson e ho pensato: sono senz’altro nel posto giusto.

Poco dopo ho trovato l’altro libro sui presidenti. È stato il primo che ho portato via. È l’unico che ho conservato e ancora non so bene perché. Lo tratto con la massima cura, lo proteggo con una plastica di tintoria. Dunque non è un vero reato.

Però ci sto male lo stesso. Continuo a dirmi che un giorno o l’altro, quando sarò grande e avrò dei soldi, regalerò dei libri alla biblioteca. Qualche volta mi domando se durerò abbastanza a lungo da diventare grande.

Ora, dopo quello che ho visto, tutto mi sembra insicuro. Forse è ora di andare via dal parco. Ma dove?

Inciampo in un sasso, ma riesco a mantenermi in equilibrio. Finalmente, ecco il Cinque, con l’odore dello zoo che arriva dal groviglio di felci. Ora devo nascondermi, riposare un po’, pensare un po’.

Ho certe cose molto serie a cui pensare.

10

Nel vedere la casa di Ramsey, Petra frugò nei ricordi del suo corso di storia dell’architettura cercando l’etichetta giusta. Spagnoleggiante pseudopalladiano? Eclettico mediterraneo postmoderno? Neocoloniale d’avanguardia?

Una montagna di stucco.

La costruzione era appollaiata su una vetta così scoscesa da torcersi il collo per vederne la cima. Rosa, come aveva promesso il guardiano, di una sfumatura un po’ più scura di quella delle colonne, anch’essa dietro colonne e cancello, una gabbia dentro una gabbia. La pavimentazione del viale che saliva alla casa era disegnata in modo da sembrare di adobe, fiancheggiata da palme messicane. Davanti all’ingresso era parcheggiata una Lexus nera e scintillante.

Superato il cancello, si aprì ai loro occhi mezz’ettaro di pendenza erbosa. La casa era di due piani e mezzo, quest’ultimo rappresentato da un campanile costruito sopra i battenti in quercia della porta d’ingresso. La campana in dimensioni naturali sembrava una replica di quella di Filadelfia. Due ali dell’edificio si aprivano su linee oblique rispetto alla facciata, come quelle di un tacchino troppo cotto. Innumerevoli finestre dalle forme più strane, alcune con vetri colorati. Verande e balconi erano protetti da ringhiere in ferro e le tegole erano color ruggine dorato, anticate artificialmente. A destra della porta d’ingresso c’era una grande rimessa con un portellone enorme: adatta a ospitare la limousine aziendale di Ramsey, giudicò Petra.

Nessun’altra abitazione nei paraggi. Re della montagna.

Altre palme crescevano dietro la villa, creando una sorta di capigliatura new age al di sopra del profilo del tetto. Si sentiva odore di cavalli, ma non ne vide. I Santa Susanna facevano in lontananza da quinta color carta da zucchero. Niente querce virginiane, lì, c’erano troppi innaffiatori.

Stu arrivò con il muso della Ford a ridosso del cancello. «Sei pronta, o tu, latrice di infauste notizie?»

«Oh sì.»

Fu lui a suonare. Per un secondo non accadde niente. Poi rispose loro una voce femminile.

«Sì.»

«Il signor Ramsey, prego.»

«Chi è?»

«Polizia.»

Silenzio. «Un momento.»

Trascorse un lungo minuto durante il quale Petra si girò a guardare la macchina dell’ufficio dello sceriffo. Seduto al volante, Hector De la Torre stava dicendo qualcosa che non seppe decifrare. Banks lo stava ascoltando, ma poi la vide e la salutò alzando le dita della mano, proprio nel momento in cui la porta si apriva e sull’ingresso appariva una tozza ispano-americana in divisa rosa e bianca. Scese per qualche passo sul vialetto guardandoli con attenzione. Fra i cinquanta e i sessant’anni, con gambe molto storte. Portava i capelli stretti dietro la nuca e il suo volto era scuro e statico come un calco in bronzo. Azionò un telecomando.

Il cancello si aprì e le due automobili entrarono. Scesero tutti e quattro. L’aria era di qualche grado più calda che a Hollywood. Solo ora Petra notò uno steccato alla sinistra della villa, un recinto per cavalli. Animali in movimento comparvero e scomparvero alla sua vista.

Caldo secco, si sentiva inaridire gli occhi. A nord un piccolo aeroplano sorvolava le montagne. Da una macchia di sicomori si levò bruscamente uno stormo di cornacchie che si dispersero starnazzando, come impaurite.

«Signora…» disse Stu mostrando il distintivo alla domestica.

Lei lo fissava.

«Io sono il detective Bishop e questa è la detective Connor.»

Nessuna risposta.

«E lei chi è, signora?»

«Estrella.»

«Il cognome, prego.»

«Flores.»

«Lei lavora per il Signor Ramsey, signora Flores?»

«Sì.»

«Il signor Ramsey è qui, Signora Flores?»

«Gioca a golf.»

Sembrava spaventata, pensò Petra. Ansia da immigrata? A meno che avesse intenzione di concorrere a qualche carica pubblica, Ramsey non aveva motivo di preoccuparsi dei contributi, perciò era possibile che fosse una clandestina.

O qualcos’altro. Sapeva qualcosa? Problemi in famiglia Ramsey? Movimenti sospetti di Ramsey durante la notte precedente? Petra trascrisse il nome della donna di servizio e vi aggiunse un asterisco. Da ricontattare.

Chiuse il taccuino e sorrise. Estrella Flores non se ne accorse.

«Il signor Ramsey non è qui?» chiese Stu.

In tal caso era in contraddizione con quanto affermato dal guardiano.

«No. Qui.»

«È qui?»

«Sì.» La donna corrugò la fronte.

«Sta giocando a golf qui?»

«Il golf è dietro.»

«Ha un green», intervenne Petra ricordando quanto le aveva raccontato Susan Rose del programma televisivo.

«Possiamo parlargli, signora Flores?»

La donna lanciò un’occhiata ai due aiutanti dello sceriffo, poi si girò a guardare i battenti spalancati della porta d’ingresso. All’interno Petra scorgeva pareti e pavimenti color bianco latte.

«Volete entrare?» domandò Estrella Flores.

«Solo con il permesso del signor Ramsey, signora.»

Perplessità.

«Perché non va ad avvertire il signor Ramsey che siamo qui, signora Flores?»

Petra le sorrise di nuovo. Questa volta servì. Estrella Flores tornò alla casa dondolando sulle gambe storte.

Non molto più tardi uscì correndo Cart Ramsey, seguito da un uomo biondo.

Il detective dei teleschermi indossava una polo verde mela, jeans e scarpe da corsa. Forma fisica tutt’altro che disprezzabile per un uomo della sua età, che Petra giudicava tra i quarantacinque e i cinquanta. Quasi un metro e novanta di statura, un centinaio di chili addosso, spalle potenti, fianchi stretti, ventre piatto, vita asciutta, niente maniglie dell’amore. Bruno, capelli ricci, teleabbronzatura.

La mascella.

I baffi. Come si chiamava il suo personaggio? Dack Price.

Il suo compagno era più o meno della stessa età, altrettanto prestante, stessa categoria di spalle squadrate, ma fianchi più larghi. Più aderente all’immagine classica della mezza età: significativo rigonfiamento sopra la cintura, allentamento della pelle sotto la mascella, tremolio pettorale nella corsa. I capelli biondi andavano diradando, lunghicci sul collo, qualche spiraglio di cute rosata all’apice. Portava un paio di occhialetti da sole rotondi con le lenti nere. Indossava una sgargiante camicia di seta blu a maniche lunghe, di un paio di numeri troppo grande, e i calzoni neri di cotone con le pince gli stringevano la vita. Ramsey lo precedette senza fatica e raggiunse l’automobile senza affanno.

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