LuAnn individuò l’archivio di un giornale nazionale e selezionò i rulli degli ultimi sei mesi. Cambiò Lisa, le fece fare il ruttino, se la sistemò su un ginocchio e finalmente inserì il primo rullo nel visore. Non impiegò molto tempo per trovare il titolo a caratteri cubitali, risalente a sei mesi prima.
LOTTERIA NAZIONALE DA FAVOLA VINCITA DA 45 MILIONI DI DOLLARI
Una luce livida, accecante, avvampò dalle finestre alla sua destra, sbiadendo lo schermo. Seguì un boato terribile, e l’intera struttura della biblioteca parve scossa dalle fondamenta. L’immagine sul monitor vacillò, tremò, tornò a stabilizzarsi. La dura pioggia di un improvviso temporale di primavera prese a martellare i vetri.
LuAnn lanciò uno sguardo preoccupato a Lisa. Nessun problema, la piccola stava tranquillamente ignorando luci e suoni. LuAnn prese dalla borsa la copertina, la stese per terra e vi depose Lisa, mettendole accanto alcuni giochi.
Tornò a concentrarsi sul monitor e lesse l’articolo. L’estrazione della Lotteria Nazionale aveva luogo il quindici di ogni mese. Le date che LuAnn cercava erano quelle comprese tra il sedici e il venti. Tirò fuori il notes e la penna che aveva recuperato da Johnny Jarvis e cominciò a prendere appunti.
Due ore più tardi aveva completato la sua analisi sugli ultimi sei vincitori. Riavvolse il rullo del microfilm e andò a riporlo nel cassetto dell’archivio. Tornò a sedersi e osservò le annotazioni. La testa le pulsava, gli occhi le bruciavano. Aveva una gran voglia di un caffè. Fuori, la pioggia continuava a cadere.
Prese in braccio Lisa e rientrò nell’ambiente principale della biblioteca. Scelse alcuni libri per l’infanzia, li sfogliò soffermandosi sulle figure e infine le lesse una favola. Ben presto la piccola si addormentò. LuAnn mise Lisa nel seggiolino portatile e lo sistemò sul tavolo accanto a sé. La biblioteca continuava a essere quieta e calda. LuAnn stessa sentì le dita del torpore scivolare su di lei. Stese un braccio verso Lisa, tenendole protettivamente la mano sul ginocchio.
Avrebbe atteso l’esaurirsi della pioggia, poi se ne sarebbe andata.
— Stiamo per chiudere.
LuAnn si svegliò con un sussulto. La bibliotecaria la stava osservando, con aria gentile.
— Santo cielo… Ma che ora è?
— Da poco passate le sei, cara.
LuAnn raccolse in fretta le sue cose. — Scusa se mi sono addormentata così.
— A me non davi nessun fastidio. Eravate così in pace, tu e tua figlia. Mi dispiace solo di dovervi far uscire.
— Di nuovo grazie tante per tutto il tuo aiuto. — LuAnn alzò lo sguardo al soffitto, udendo ancora lo scroscio della pioggia.
— Vorrei poterti offrire un passaggio a casa — disse la bibliotecaria. — Ma sono in autobus.
— Non ci pensare. Io e l’autobus siamo amici.
LuAnn riparò Lisa sotto la propria giacca e partì di corsa verso la fermata. Vi rimase mezz’ora, protetta dalla tettoia, finché un fruscio di pneumatici sull’asfalto bagnato e uno stridio di freni accompagnarono l’arrivo dell’autobus. A LuAnn mancavano dieci centesimi. L’autista, un nero ben piazzato che la conosceva di vista, li aggiunse di tasca propria e le fece cenno di salire.
— Se non ci aiutiamo un po’ tra di noi… — aggiunse solidale.
LuAnn lo ringraziò con un sorriso. Venti minuti dopo, con parecchie ore d’anticipo sull’inizio del suo turno, faceva ingresso al Number One Truck Stop.
— Che ci fai da queste parti così presto?
Beth, sulla cinquantina, matronale, stava pulendo il bancone di formica con uno straccio bagnato.
Un camionista seduto a qualche sgabello di distanza, un bestione da centocinquanta chili, diede a LuAnn una bella lumata scrutandola da sopra l’orlo di una tazza di caffè. La vide fradicia da capo a piedi e ansimante per la corsa sotto la pioggia. Ma quello che vide gli piacque lo stesso.
— È arrivata presto per non perdersi il vecchio Frankie — commentò con un ghigno sterminato. — Sapeva che ho cambiato turno di lavoro, e non poteva sopportare l’idea di non vedermi più.
— Quanto hai ragione, buon vecchio Frankie — lo imbeccò Beth lavorandosi i molari con uno stuzzicadenti. — A LuAnn si spezzerebbe proprio il cuore a non vedere più il tuo panzone.
— Come ti butta, Frankie? — lo salutò LuAnn.
— Proprio bene… — Il suo ghigno sembrava cristallizzato. — Adesso.
— Beth, mi guardi Lisa un attimo? — domandò LuAnn mentre si passava un tovagliolo asciutto sulla faccia e sulle braccia. — Solo il tempo di mettere l’uniforme.
Verificò che Lisa fosse asciutta, scoprendo che era anche affamata.
— Le preparo un biberon in un momento. Si è fatta un bel pisolino, ma mi sembra pronta lo stesso per andare a nanna.
— Guardarla? — Beth sollevò Lisa e se la tenne contro il petto. — Ma io te la prendo tutta in braccio questa bella signorina…
Lisa emise ogni sorta di gridolini, prese la penna sistemata dietro l’orecchio di Beth e la buttò chissà dove.
— Allora, LuAnn, com’è che arrivi in trincea con ore di anticipo?
— Mi sono infradiciata tutta, e l’uniforme è la sola cosa asciutta che ho. E poi non mi va di aver perduto la notte scorsa. Ehi, c’è rimasto niente dal pranzo? Mi sa che mi sono scordata di mangiare.
Beth le scoccò un’occhiata colma di disapprovazione e si piantò una mano sul fianco abbondante, con aria da zia super-protettiva. — Se solo prendessi per te la metà delle attenzioni che dedichi a questa creatura… Ma pensa te: sono quasi le otto di sera. A digiuno!
— E dai, Beth. Te l’ho detto che mi sono dimenticata, no?
— Duane, giusto? Lo scemo si è di nuovo bevuto in birra i soldi della paga. O no?
— Tu quel figlio di puttana lo dovresti buttare dentro il cesso con l’acqua tirata, LuAnn — brontolò Erankie. — Ma prima lascia che gliela dia io una bella battuta con i controcazzi. Tu meriti di meglio.
Il sopracciglio di Beth che s’inarcava evidenziò quanto lei fosse d’accordo con Erankie.
— E tante grazie per volermi dire com’è che devo vivere la mia vita — disse LuAnn folgorandoli entrambi, e si accinse ad andare a cambiarsi. — E ora, con il vostro permesso…
Più tardi, seduta a un tavolo in un angolo, LuAnn spinse da parte il piatto con il poco che restava di quanto Beth le aveva messo insieme; rimase immobile a sorseggiare il caffè appena fatto.
Fuori, la pioggia continuava a cadere sul paesaggio verde scuro della Georgia. Il suo tamburellare contro la copertura di alluminio del locale aveva un che di rassicurante.
LuAnn si strinse nel golf leggero che teneva intorno alle spalle e lanciò uno sguardo all’orologio a muro dietro il bancone. Ancora due ore prima di montare. Di solito, quando arrivava al Number One in anticipo, l’idea era di raggranellare un po’ di straordinari. Ma adesso il direttore non ci stava più.
Abbiamo toccato il fondo, mia cara , era stata la sua spiegazione.
Be’ , gli aveva risposto lei senza tanti complimenti, se è per questo anch’io ho toccato il fondo.
Non era servito. Perlomeno, continuava a permetterle di tenere Lisa con sé. In caso contrario, LuAnn non avrebbe avuto nemmeno quell’infimo impiego. L’altro aspetto positivo era che veniva pagata in nero. E niente busta paga, niente tasse. Ci mancavano solo quelle… Tra l’altro, LuAnn Tyler non aveva mai presentato una denuncia dei redditi. Con l’intera vita trascorsa al di sotto della soglia della povertà, si riteneva pienamente in diritto di non dover pagare le tasse.
LuAnn allungò una mano e rimboccò la coperta di lana intorno a Lisa, addormentata accanto a lei nel suo seggiolino. Le aveva dato un po’ del suo cibo. Lisa cominciava a tollerare davvero bene il nutrimento solido. Forse, però, non stava riposando nel modo giusto. Forse, il tenerla infilata sotto il bancone di quella tavola calda rumorosa, fumosa e puzzolente, le stava procurando chissà quali danni a venire. Forse la sua personalità ne avrebbe risentito. LuAnn era certa di aver letto qualcosa del genere su una rivista, o magari di averlo visto in TV. Era un’idea che le dava gli incubi.
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