David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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— Hai ragione — grugnì Jarvis. — Cioè, noi affittiamo loro gli spazi, e va bene. Ma in effetti questo non vuol dire che siano regolari. — Divenne nuovamente apprensivo. — Non è che hanno voluto che tu gli dessi dei soldi, eh?

— No. Anzi, parlavano di darmi uno stipendio pazzesco.

— Mi sembra troppo bello per essere vero.

— Anche a me — aggiunse con ammirazione LuAnn osservando le dita di Jarvis volare sulla tastiera. — Dov’è che hai imparato ad andare così in fretta?

— Vuoi dire con questi tasti? Al college municipale. Hanno corsi che ti insegnano a fare un sacco di cose. I computer sono una vera figata.

— Non mi dispiacerebbe tornare a scuola anch’io, un giorno.

— Tu andavi benissimo a scuola, LuAnn. Scommetto che potresti riprendere alla grande.

— Vedremo — disse lei facendogli gli occhi dolci. — Adesso che cos’hai per me?

— Il nome della società è “Associates, Inc.”. — Jarvis riportò la sua attenzione sul monitor. — O, perlomeno, questo è quello che hanno scritto sul contratto. Hanno preso lo spazio in affitto per una settimana, a partire per l’appunto da ieri. Pagamento in contanti. Nessun altro indirizzo. E quando pagano in contanti…

— A voi non frega più di tanto.

Jarvis evitò lo sguardo di lei.

— Adesso comunque loro non ci sono più, nell’ufficio — aggiunse LuAnn.

— Un tale di nome Jackson ha firmato il contratto — disse Jarvis.

— Alto come me, capelli scuri, un po’ grasso?

— Esatto. Adesso me lo ricordo. Mi è parso un tipo molto professionale. LuAnn, non è che ti è successo qualcosa di strano quando lo hai incontrato?

— Dipende da quello che vuoi dire con strano. In ogni caso, anche con me questo signor Jackson è stato molto professionale. Che altro puoi dirmi?

Jarvis fissò nuovamente lo schermo, alla ricerca di qualche nuova informazione con la quale fare colpo su di lei. Non la trovò. Alla fine la sua espressione si chiuse nel disappunto.

— Mi dispiace, LuAnn. Temo che non ci sia altro.

LuAnn prese in braccio Lisa. Nel farlo, il suo sguardo cadde su una pila di blocchi per appunti e una tazza piena di penne.

— Johnny, ti spiace se prendo uno di quelli? Ti posso dare qualcosa…

— Vuoi scherzare? Prendi pure tutto quello che vuoi.

— Solo un blocco e una penna — precisò lei nel metterli nella borsa.

— Figurati. Ne abbiamo a tonnellate.

— Bene, Johnny. E grazie per quello che mi hai detto. Sul serio. Mi ha fatto piacere rivederti.

— Il piacere lo hai fatto tu a me quando sei entrata da quella porta. — Jarvis diede un’occhiata all’orologio e uscì dal bancone. — Senti, ho l’intervallo del pranzo tra una decina di minuti e c’è questo ristorante cinese niente male qui dabbasso. Sei mia ospite. Facciamo altre due chiacchiere, parliamo dei tempi della scuola. Che ne dici?

— Magari un’altra volta, Johnny. Come ti ho detto, oggi vado di fretta.

LuAnn si sentì un poco in colpa nel vedergli la delusione sul viso. Posò Lisa sul bancone e lo abbracciò. Sorrise nel percepire il respiro di lui nei propri capelli lavati di fresco. Jarvis la strinse intorno alla vita, i seni di lei che premevano contro il suo torace. Bastò e avanzò per rimettere il signor Johnny Jarvis di ottimo umore.

— Sono davvero contenta di vederti sistemato così bene, Johnny — disse LuAnn sciogliendo l’abbraccio. — Ma lo sapevo. Sei uno in gamba.

E se le loro strade si fossero incrociate in un tempo diverso, in un modo diverso, forse anche tutto il resto sarebbe stato diverso. Ma questo LuAnn lo tenne per sé.

— Davvero lo pensi? — Jarvis continuava a fluttuare sulle nuvole. — E io che credevo che nemmeno ti ricordassi di me.

— Invece io sono così: tutta una sorpresa! — LuAnn riprese Lisa, che strofinò l’orsetto di peluche sulla guancia della madre. — Stammi bene, Johnny. Ci vediamo, okay?

LuAnn si diresse alla porta, con Lisa che dal suo seggiolino trillava tutta la sua felicità per essersi rimessa in movimento.

— Ehi, LuAnn?

Lei si girò a metà.

— Lo accetterai quel lavoro del colloquio con Jackson?

— Ancora non lo so — rispose LuAnn dopo averci pensato un attimo. — Ma se lo accetto, credo che ne sentirai parlare.

A Rikersville c’era una biblioteca pubblica. LuAnn la frequentava spesso ai tempi della scuola, ma erano trascorsi parecchi anni dall’ultima volta che c’era stata. La bibliotecaria, una donna affabile, le fece i complimenti per la bambina. Lisa si teneva stretta alla mamma, i grandi occhi attratti dai colori dei volumi sugli scaffali.

— A Lisa piacciono i libri — disse LuAnn facendo una lieve carezza alla piccola. — Tutti i giorni gliene leggo un po’.

— Ha i tuoi occhi, lo sai?

Lo sguardo della bibliotecaria continuava a spostarsi dalla madre alla figlia, alla ricerca di altre rassomiglianze. Incontrò la mano sinistra di LuAnn e notò l’anulare privo di fede matrimoniale. Il suo sorriso svanì.

— Questa piccolina è la cosa più bella che ho mai fatto — disse prontamente LuAnn notando l’espressione tesa della donna. — Non ho granché al mondo, ma se c’è una cosa che a Lisa non mancherà mai, è l’amore della sua mamma.

— Anche mia figlia ha un bambino — accennò la bibliotecaria sorridendo in modo incerto. — Cerco di aiutarla come posso, ma è sempre tutto così difficile… Con i soldi che non bastano mai.

— Eh, a chi lo dici. — LuAnn tolse dalla borsa il biberon e una bottiglia d’acqua. Sciolse un po’ di liofilizzati che le aveva dato l’amica dalla quale aveva passato la notte e aiutò Lisa a tenere il biberon. — La settimana che riuscirò a finire con più soldi di quando l’ho iniziata, nevicherà rosso a Rikersville.

La bibliotecaria scosse il capo in segno di approvazione. — Dicono che i soldi sono la causa di tutti i mali. Ma certe volte penso che sarebbe proprio bello non doversi sempre preoccupare di come fare a pagare i conti. Io non riesco nemmeno a immaginare come ci si possa sentire. Tu ci riesci?

— Altroché. Ci si deve sentire proprio bene.

La bibliotecaria rise. — Che cosa posso fare per te, LuAnn?

— Ce le hai le copie dei giornali vecchi su quelle specie di pellicole, giusto?

— Pellicole… Vuoi dire microfilm?

— Ecco, giusto: microfilm.

La bibliotecaria fece un cenno. — La stanza in fondo.

LuAnn ebbe un’esitazione.

— Hai mai usato un visore? — domandò la bibliotecaria aggirando il banco. — Te lo mostro io. Non è difficile.

L’archivio dei microfilm era vuoto e immerso nell’oscurità. La bibliotecaria accese la luce, fece accomodare LuAnn di fronte a una postazione e prelevò un rullo di pellicola da un cassetto. Le bastò un momento per collocarlo sul perno e per attivare lo schermo luminoso. LuAnn la osservò con attenzione mentre faceva scorrere il testo usando la manopola su un lato della macchina.

— Ecco fatto — disse infine la bibliotecaria rimuovendo il rullo. — Prova tu adesso.

LuAnn non commise errori.

— Molto bene — commentò la bibliotecaria. — Vedo che impari in fretta. Al principio, tanta gente fa una gran confusione.

— So come cavarmela quando c’è da usare le mani.

— Le pubblicazioni archiviate sono catalogate con chiarezza. Abbiamo il giornale locale, è ovvio, più alcuni giornali nazionali. Le date sono stampate sul davanti dei cassetti.

— Grazie tante.

LuAnn attese che la donna fosse uscita. Poi prese in braccio Lisa, sempre attaccata al suo biberon, e andò a scorrere le targhette sui cassetti. Mise la bambina a terra e ne aprì uno. Osservò con divertimento la piccola che lasciava cadere il biberon, afferrandosi poi a una delle maniglie metalliche nel cercare di mettersi in piedi.

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