Dean Koontz - Lampi

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Lampi: краткое содержание, описание и аннотация

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In una tempestosa notte di gennaio Laura Shane viene miracolosamente alla luce grazie all’intervento di uno sconosciuto che annuncia il proprio arrivo con un lampo. Il destino però ha in serbo per lei ben più terrificanti pericoli che supererà con l’aiuto del misterioso personaggio. Ma chi è l’enigmatico protettore? Nel giorno del suo tredicesimo compleanno per Laura è pronta un’agghiacciante rivelazione…

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L’uomo non disse nulla, non sorrise, ma la osservò intensamente, come se cercasse di imprimersi nella mente ogni dettaglio. La fissava come un uomo può fissare un grande bicchiere di acqua fresca dopo aver attraversato un deserto. Il suo silenzio e quello sguardo fisso spaventarono Laura, ma la riempirono anche di un incomprensibile senso di sicurezza.

L’auto stava passando oltre. «Aspetta!» urlò.

Si staccò via dall’auto contro la quale era rimasta appoggiata e schizzò verso la Ford. Lo sconosciuto accelerò e si allontanò a gran velocità, lasciandola sola nel sole, finché un attimo dopo udì la voce di un uomo chiamarla per nome: «Laura?»

Quando si voltò non riuscì a vederlo subito. Pronunciò ancora il suo nome, dolcemente, e lei lo scorse poco distante accanto agli alberi, fermo nell’ombra sotto un cespuglio di alloro. Indossava larghi pantaloni neri, una camicia nera e sembrava fuori luogo in quel giorno d’estate.

Curiosa e perplessa, chiedendosi se in qualche modo quell’uomo avesse a che fare con il suo Angelo Custode, Laura si avvicinò. Solo quando fu a pochi passi dallo sconosciuto, realizzò che la disarmonia che aveva colto fra lui e quel luminoso e caldo giorno estivo non era semplicemente dovuta al suo abbigliamento. Un’oscurità gelida era l’essenza stessa del suo essere; sembrava sprigionare un freddo interiore, come se fosse nato per dimorare nelle regioni polari o in grotte sperdute su alte montagne circondate da ghiacci.

Laura si fermò a pochi passi da lui.

L’uomo non disse più nulla, ma la fissò intensamente, con uno sguardo che sembrava più perplesso che mai.

Laura vide che aveva un cicatrice sulla guancia sinistra.

«Perché tu?» chiese l’uomo gelido e fece un passo in avanti, cercando di afferrarla.

Laura si ritrasse, troppo spaventata per gridare.

Dalla macchia di alberi giunse il richiamo di Cora Lance: «Laura? Tutto bene, Laura?»

Lo sconosciuto reagì sentendo la voce di Cora così vicino, si voltò e si allontanò fra gli alberi, dileguandosi velocemente nell’ombra, come se non fosse stato un essere reale, ma un alito di oscurità che per un attimo avesse preso forma nella vita.

Cinque giorni dopo il funerale, sabato 29 luglio, per la prima volta, Laura fece ritorno nella sua stanza sopra il negozio. Era venuta per mettere via le sue cose e per dire addio a quel luogo che per anni era stato casa sua.

Si sedette sul bordo del letto disfatto, cercando di ricordare quanto fosse stata felice e quanto si fosse sentita sicura in quella stanza solo pochi giorni prima. Una pila di libri, per la maggior parte storie di cani e di cavalli, era accatastata in un angolo. Cinquanta miniature di cani e di gatti, in vetro, ottone, porcellana e peltro, riempivano le mensole sopra la testiera del letto.

Non aveva cuccioli, perché le norme sanitarie non consentivano di tenere animali in un retrobottega. Ma un giorno o l’altro avrebbe avuto un cane e forse anche un cavallo. Ma la cosa più importante era che da grande voleva fare il veterinario, curare gli animali malati e feriti.

Suo padre le aveva detto che avrebbe potuto fare quello che voleva: diventare veterinario, avvocato, attrice, qualsiasi cosa. «Puoi fare la mandriana se vuoi, oppure la ballerina sui trampoli. Niente ti può fermare.»

Laura sorrise, ricordando il padre nell’imitazione di una ballerina sui trampoli. Ma non c’era più. Avvertì un vuoto tremendo dentro di sé.

Svuotò l’armadio, piegò con cura i vestiti e riempì due grandi valigie. Aveva anche un vecchio baule, in cui mise i libri preferiti, alcuni giochi e un orsacchiotto.

Cora e Tom Lance stavano facendo un inventario degli oggetti rimasti nel piccolo appartamento e nel negozio sottostante. Laura sarebbe andata a vivere da loro, anche se non le era ancora chiaro se quella sistemazione fosse permanente o solo temporanea.

Il pensiero del suo futuro incerto la rese nervosa, così riprese a sistemare le sue cose. Aprì il cassetto di uno dei comodini, quello più vicino a lei, e rabbrividì alla vista dei minuscoli stivali, del piccolo ombrello e della sciarpina lunga solo dieci centimetri che suo padre aveva acquistato a riprova che Sir Rospo aveva veramente preso in affitto una camera da loro.

Aveva convinto uno dei suoi amici, un bravo calzolaio, a fargli degli stivali con una forma adatta alle zampe di un rospo. L’ombrello l’aveva acquistato in un negozio di miniature, mentre la sciarpa verde l’aveva confezionata lui stesso applicando persino le frange. Il giorno del suo nono compleanno, quando era tornata a casa da scuola, gli stivali e l’ombrellino erano appoggiati contro il muro proprio accanto all’ingresso e la piccolissima sciarpa era accuratamente appesa all’attaccapanni.

«Ssst!» l’aveva zittita il padre in tono serio. «Sir Rospo è appena ritornato da un viaggio molto impegnativo in Ecuador per conto della regina, che là possiede una miniera di diamanti! È esausto. Sono sicuro che dormirà per giorni. Però mi ha detto di augurarti buon compleanno e ha lasciato un regalo per te nel prato là fuori.» Il regalo era una nuova bicicletta.

Ora, mentre osservava i tre oggettini nel cassetto, Laura realizzò che con suo padre se n’erano andati Sir Rospo e tanti altri personaggi che aveva creato e quelle sciocche, bellissime favole con cui l’aveva divertita. Gli stivali, il piccolo ombrello e la sciarpa apparivano così dolci e patetici; poteva quasi credere che Sir Rospo fosse davvero esistito e che ora se ne fosse andato in un mondo migliore. Le sfuggì un gemito e si abbandonò sul letto nascondendo il viso fra i cuscini e soffocando i singhiozzi disperati. Per la prima volta da quando suo padre era morto, diede finalmente libero sfogo al dolore.

Non voleva vivere senza di lui, tuttavia non solo doveva vivere, ma avere successo. Nonostante fosse ancora piccola, comprendeva che vivendo bene e comportandosi come una persona onesta avrebbe permesso a suo padre di continuare a vivere in un certo senso attraverso di lei.

Ma guardare al futuro con ottimismo sembrava piuttosto difficile. Ora sapeva che nella vita potevano esserci tragedie e mutamenti; un momento la serenità e il calore, un attimo dopo l’oscurità e il freddo. Non si poteva mai sapere quando il destino avrebbe colpito qualcuno che si amava. Non esiste nulla di eterno e immutabile. La vita è una candela nel vento. Era una dura lezione per una bambina della sua età e la fece sentire vecchia, molto vecchia.

Smise di piangere e in breve riprese il controllo di sé, perché non voleva che i Lance scoprissero che aveva pianto. Se il mondo era così duro, crudele e imprevedibile, non era certo saggio mostrare anche la più piccola debolezza.

Avvolse accuratamente gli stivali, l’ombrello e la piccola sciarpa di Sir Rospo in un foglio di carta e li ripose nel vecchio baule. Una volta sistemati anche gli altri oggetti che si trovavano nei comodini, andò a svuotare la scrivania e sul tampone di feltro trovò un foglio di carta ripiegato con un messaggio per lei, in una scrittura chiara, elegante e nitida come se fosse stata stampata.

Cara Laura,

alcune cose è destino che accadano e nessuno può evitarle, neanche il tuo Custode speciale. Sii contenta di sapere che tuo padre ti ha amata con tutto il cuore, in un modo in cui poche persone avranno mai la fortuna di essere amate. Anche se adesso pensi che non sarai mai più felice, ti sbagli. A tempo debito la felicità verrà da te. E questa non è una vuota promessa, è un fatto.

Il biglietto non era firmato, ma lei sapeva chi doveva averlo scritto: l’uomo che era al cimitero, che l’aveva osservata dall’auto, che almi prima aveva salvato lei e suo padre. Nessun altro avrebbe potuto definirsi il suo Custode speciale. Si sentì percorrere da un tremito, non perché avesse paura, ma perché la stranezza e il mistero che avvolgevano quel personaggio la riempivano di curiosità e meraviglia.

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