«È molto severo», rivelò Arni a David.
«Spero che sia un bravo insegnante», commentò lui, provando un dolore al pensiero di Marjorie.
Mentre Angela preparava la cena, David accompagnò a casa Arni e al ritorno dovette sorbirsi le lamentele di Nikki: secondo lei, nella stanza accanto alla sala da pranzo, dove avevano messo il televisore e ohe usavano come salottino di famiglia, faceva freddo.
David tastò il calorifero, che era bollente, e domandò alla figlia quale fosse il punto esatto della stanza in cui sentiva freddo.
«Sul divano.»
In effetti, stando seduti sul divano si sentiva uno spiffero gelido sulla nuca e David ammise che era venuto il momento di mettere i doppi vetri.
«Che cosa sono?» gli domandò Nikki.
Lui si lanciò in una dettagliata spiegazione sulla dispersione del calore, il risparmio energetico, i materiali isolanti, ma Angela dalla cucina gridò: «Così la confondi. Ha chiesto solo che cosa sono i doppi vetri, non puoi farglielo vedere?»
«Buona idea!» esclamò David. «Vieni, così intanto prendiamo un po’ di legna per il camino.»
«Non mi piace scendere lì sotto», protestò Nikki quando furono sulle scale che portavano in cantina.
«Perché?»
«Fa paura.»
«Su, non fare come la mamma. Ne basta una, in famiglia, di femmina isterica», scherzò David.
Appoggiate al sottoscala c’erano parecchi vetri incastrati nei loro telai e David ne prese uno per mostrarlo alla figlia.
«È una finestra», osservò lei delusa.
«Sì, ma non si apre. Intrappola l’aria fra questo vetro e quello della finestra vera e propria e quello strato d’aria fa da isolante.»
David, nel frattempo, si era accorto di una cosa che non aveva mai notato prima: la parete della rampa di scale, contro cui erano appoggiati i vetri, non era di granito come il resto della cantina, ma di blocchetti di cemento. Incuriosito, spostò tutti i vetri per metterla allo scoperto.
«Guarda», disse alla figlia, «questa parete non è come le altre, è stata fatta di recente, per chiudere il sottoscala.»
«E che cosa c’è nel sottoscala?» domandò Nikki.
«Chissà? Forse potremmo dare un’occhiata, magari c’è un tesoro.»
«Davvero?»
David prese la mazza con cui conficcava i cunei nella legna per dividerla in pezzi adatti a essere bruciati e stava per alzarla, quando sentì Angela che dall’alto chiedeva che cosa stessero combinando là sotto.
Dopo avere portato l’indice alle labbra perché Nikki non rivelasse la loro scoperta, rispose che sarebbero risaliti entro pochi minuti, con la legna per il camino.
«Io vado di sopra a farmi una doccia», disse Angela. «Poi ceniamo.»
«Meglio non farle sapere che stiamo demolendo la casa» sussurrò David e Nikki ridacchiò.
Dopo avere calcolato che la moglie doveva essere arrivata al piano di sopra, David calò la mazza contro la parete di blocchetti, aprendo un piccolo varco.
«Va’ su a prendere una pila», disse a Nikki. Dal sottoscala usciva un odore di muffa e di vecchio.
David diede altri colpi e venne via un intero blocchetto, in modo che, quando Nikki ritornò con la pila, lui poté guardar dentro.
Si sentì il cuore in gola e tirò via la testa talmente in fretta da sbucciarsi il collo contro il bordo ruvido dei blocchetti.
«Che cosa hai visto?» volle sapere Nikki.
«Non è un tesoro», rispose lui, con tono grave. «Credo sia meglio che tu vada a chiamare la mamma.»
Dopo che Nikki si fu allontanata, David continuò ad allargare il buco, togliendo altri blocchetti.
«Che cosa succede?» chiese Angela, scendendo le scale.
«Da’ un’occhiata.»
«Spero che non sia uno scherzo.»
«Non lo è.»
Angela si sporse nel sottoscala e le bastò un’occhiata per capire: «Mio Dio!» La voce echeggiò nello spazio ristretto.
«Che cos’è? Voglio vedere anch’io!» esclamò Nikki.
Angela tirò fuori la testa e guardò David. «È un cadavere», disse, «ed è evidente che è qui da tanto tempo.»
«Una persona?» domandò Nikki, incredula. «Posso guardare?»
«Va’ di sopra a preparare il fuoco», le consigliò il padre, passandole un ciocco da portare al piano superiore, poi prese lui stesso una bracciata di legna.
Mentre Angela telefonava alla polizia, lui e Nikki accesero il fuoco e la bimba lo tempestò di domande a cui lui non sapeva rispondere.
Dopo mezz’ora arrivarono due poliziotti.
«Sono Wayne Robertson», si presentò quello più piccolo, vestito in borghese e con in testa un berretto da baseball. «Sono il capo della polizia e questo è uno dei miei assistenti, Sherwin Morris.»
Sherwin si toccò il berretto. Alto e magro, portava l’uniforme e aveva con sé una grossa torcia elettrica.
«Non sono di servizio, ma Sherwin è passato a chiamarmi, dicendomi che si trattava di una cosa importante.»
«Vi ringrazio di essere venuti», disse Angela e insieme a David condusse i poliziotti in cantina, mentre Nikki rimaneva in cucina.
Robertson prese la pila e ficcò la testa nel buco.
«Che mi venga un accidente!» esclamò. «È il ciarlatano.» Poi si girò verso i Wilson. «Mi spiace che sia accaduto a voi. Riconosco la vittima nonostante le sue condizioni; si chiamava Dennis Hodges e questa casa era sua, come probabilmente saprete.»
Angela guardò David, sentendosi correre un brivido lungo la schiena.
«Adesso dobbiamo buttare giù il resto della parete per rimuovere il cadavere», continuò Robertson. «Vi spiace?»
«Non bisognerebbe chiamare un medico legale?» domandò Angela, sapendo che quella era la prassi, in caso di morte sospetta e quella lo era di certo.
Robertson la osservò per qualche secondo, cercando di pensare a qualcosa da dire. Non gli piaceva che gli dicessero come fare il suo lavoro, soprattutto se si trattava di una donna; il problema era che Angela aveva ragione e adesso lui non poteva ignorare la prassi.
«Dov’è il telefono?» domandò.
«In cucina», gli rispose lei.
Dovettero strapparlo a Nikki, che stava facendo telefonicamente la spola fra Caroline e Arni per raccontare loro i dettagli più eccitanti sulla scoperta di un cadavere nella cantina di casa sua.
Quando il medico legale fu chiamato, l’intera parete delle scale venne abbattuta e David procurò una prolunga per poterci vedere meglio. Il cadavere si era conservato abbastanza bene, ma nella parte inferiore della faccia erano allo scoperto le ossa delle mandibole e quasi tutti i denti. La parte superiore, invece, era intatta, con gli occhi orrendamente aperti e un solco coperto di muffa all’attaccatura dei capelli.
«Quella pila di roba là nell’angolo fa pensare a sacchetti di cemento vuoti», notò Robertson, puntandovi contro la luce della pila. «E lì c’è la cazzuola. Diavolo, si è portato tutto dentro con lui, forse si è trattato di un suicidio.»
David e Angela si guardarono, pensando la stessa cosa: o Robertson era l’investigatore peggiore del mondo, oppure era un appassionato di humour nero.
«Mi domando che cosa siano quelle carte», disse ancora Robertson, dirigendo la luce della torcia su un certo numero di fogli sparsi in fondo a quella tomba improvvisata.
«Sembrano fotocopie», osservò David.
«Ehi, guardate lì!» Robertson indirizzò il fascio di luce su un attrezzo parzialmente coperto dal cadavere, una specie di piede di porco piatto.
«Che cos’è?» domandò Davijd.
«Un palanchino, un attrezzo che può servire a scopi diversi, usato soprattutto per le demolizioni.»
Nikki chiamò dalla cucina, avvisando che era arrivato il medico legale, e Angela salì a riceverlo.
Il dottor Tracy Cornish era un uomo magro di media altezza, con gli occhiali dalla montatura di metallo, che portava una valigetta da medico in pelle nera, di vecchio tipo.
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