Robin Cook - Vite in pericolo

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Un’agghiacciante incursione nel lato più oscuro dell’assistenza sanitaria, nel fatidico incrocio tra il valore supremo dell’esistenza umana e i cinici interessi del mondo finanziario, capace di subordinare la vita e la morte alla pericolosa seduzione del denaro. Dopo lunghi anni trascorsi nei corridoi di un grande ospedale di Boston, Angela e David Wilson, un’affiatata coppia di medici, decidono di abbandonare la frenesia della metropoli per trasferirsi, con la figlioletta Nikki gracile e malata, in campagna, in una tranquilla cittadina del Vermont. La bellezza e la serenità del luogo, insieme all’affettuosa accoglienza dei suoi abitanti, appaiono un sogno divenuto realtà, destinato a infondere un’ondata di entusiasmo alle loro esistenze: verdi distese di prati, laghi cristallini incastonati in una cornice incantevole di montagne, al posto dell’inquinamento e della criminalità della città. E, nello stesso tempo, si profila per entrambi i coniugi la possibilità di lavorare in un centro gestito in modo dinamico e moderno, dotato di attrezzature all’avanguardia. Ma dopo il primo magnifico, romantico autunno, a Bartlet comincia a profilarsi un paesaggio spoglio e desolato, che rivela, dietro i tristi scheletri degli alberi, oscure e macabre macchinazioni...
A poco a poco, poi a un ritmo sempre più rapido, il paradiso terrestre dei Wilson si sgretola: numerosi pazienti con strani sintomi cominciano a morire misteriosamente, inquietanti trame si nascondono nelle stanze del loro ospedale; un incubo mortale li minaccia... Coinvolti in un sistema medico criminale, nel quale la polizia non intende indagare, Angela e David dovranno combattere con le loro sole forze per non essere travolti dall’orrore e salvaguardare così la felicità della loro famiglia.

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Lloyd Kleber stava fissando la pioggia che continuava a cadere. Era un uomo sui quarantacinque anni. David vide che aveva gli occhi rossi di pianto e si sentì estremamente vicino a lui. Non solo aveva perduto la moglie, ma ora aveva l’intera responsabilità di due bambini che erano rimasti senza la madre.

«Mi dispiace», mormorò David.

«Grazie.» Lloyd combatteva per trattenere le lacrime. «E grazie per essersi preso cura di Marjorie. Apprezzava veramente la dedizione con cui la curava.»

David annuì, cercando di dire cose che riflettessero i suoi sentimenti. In momenti come quello non si sentiva mai adeguato, ma fece il meglio che poté.

Infine, si arrischiò a domandare il permesso di fare un’autopsia. Sapeva che era chiedere troppo, ma era profondamente turbato dal deterioramento rapidissimo delle condizioni di Marjorie e aveva un disperato bisogno di capire.

«Se può servire in qualche modo ad altri, sono sicuro che Marjorie acconsentirebbe», rispose Lloyd, dando il suo consenso.

David rimase ancora qualche minuto a parlare con lui, poi si diresse al laboratorio, dove trovò Angela molto contenta di vederlo. Lei, però, notò subito la sua espressione tirata.

«Che cosa c’è che non va?» gli chiese ansiosa, prendendolo per mano.

Mentre David raccontò l’accaduto, fu costretto a fermarsi più volte per controllare l’emozione.

«Come mi dispiace!» mormorò lei, abbracciandolo.

«Che dottore sono!» si prese in giro David, lottando contro le lacrime. «Ormai dovrei essermi fatto il callo a questo genere di cose.»

«La tua sensibilità fa parte del tuo fascino», lo rassicurò Angela. «E ti rende un buon medico.»

«Il signor Kleber ha dato il suo consenso all’autopsia», la informò lui. «Sono contento, dal momento che non ho la minima idea del perché sia morta, soprattutto così in fretta. Gli specialisti che ho chiamato a consulto pensano che sia per il cancro. Forse è così, ma vorrei una conferma. Potresti occupartene?»

«Certo, ma per favore non deprimerti troppo. Non è stata colpa tua.»

«Vediamo i risultati dell’autopsia. Che cosa dirò a Nikki?»

«Sarà difficile», ammise Angela.

David ritornò all’ambulatorio per cercare di visitare tutti i pazienti in attesa, ma appena lo vide Susan gli disse che nella sua stanza privata c’era Charles Kelley che lo aspettava.

Temendo che quella visita avesse qualcosa a che fare con la morte di Marjorie, David entrò e trovò Kelley che passeggiava nervosamente avanti e indietro. Quando lo vide arrivare, si fermò e David notò subito che era in collera.

«Trovo il suo comportamento particolarmente irritante», disse infatti.

«Di che cosa sta parlando?» chiese David.

«Non più tardi di ieri ho parlato con lei di ottimizzazione delle risorse. Pensavo di essere stato chiaro e credevo che lei avesse capito. Poi oggi ha ordinato irresponsabilmente due consulti con specialisti esterni al CMV e per di più per una paziente terminale. Questo tipo di comportamento mi fa pensare che lei non capisca qual è il problema maggiore della medicina, oggi: le spese superflue.»

Nello stato emotivo in cui si trovava, David dovette lottare per mantenere la calma. «Aspetti un minuto. Vorrei che mi spiegasse perché quei consulti erano superflui.»

«Oh, Signore! È ovvio: il decorso della paziente non è stato alterato, stava morendo e ha continuato a morire. Tutti devono morire, prima o poi. Non bisognerebbe buttare via soldi e altre risorse per coltivare atteggiamenti melodrammatici e per di più senza speranza.»

David fissò gli occhi azzurri di Kelley, non sapendo che cosa dire. Era ammutolito per lo stupore.

Sperando di riuscire a evitare Wadley, Angela si recò dal dottor Paul Darnell, nel suo stanzino privo di finestre e gli chiese quale fosse la prassi per le autopsie.

«È una questione che devi discutere con Wadley», le rispose il collega. «Mi spiace.»

Riluttante, Angela si rivolse a Wadley.

«Che cosa posso fare per lei, tesoro?» le chiese Wadley. Il suo sorriso, che un tempo Angela aveva considerato paterno, ora le sembrava lascivo.

Sobbalzando nel sentirsi chiamare «tesoro», Angela ingoiò l’orgoglio e domandò quali fossero le procedure per fare un’autopsia.

«Non ne facciamo», le spiegò Wadley. «Se la richiede il medico legale, allora si manda il cadavere a Burlington. Costa troppo fare autopsie e il contratto con il CMV non le prevede.»

«E se è la famiglia a richiederla?» Angela sapeva che non era esattamente così, nel caso Kleber.

«Se vogliono buttare via ottocentonovanta dollari, allora li accontentiamo. Altrimenti, non la facciamo.»

Angela annuì e se ne andò. Anziché tornare al lavoro, arrivò fino agli ambulatori ed entrò in quello di David, rimanendo colpita da quanti pazienti stavano aspettando nella sala d’attesa. Tutte le sedie erano occupate e alcuni erano in piedi. Aspettò che David uscisse da una delle salette per le visite e gli comunicò che non poteva eseguire l’autopsia su Marjorie Kleber.

«Perché?» volle sapere lui.

Lei gli riferì ciò che le aveva spiegato Wadley.

David scosse la testa, frustrato, e sibilò: «La mia opinione positiva su questo posto sta mutando rapidissimamente», poi le raccontò dell’incontro con Kelley.

«È ridicolo», disse Angela, incredula. «Vuoi dire che secondo lui i consulti erano superflui perché la paziente è morta? Pazzesco.»

«Che cosa vuoi che ti dica?» David scosse ancora la testa.

Angela non sapeva più che dire. Quel Kelley le sembrava un pericoloso incompetente, ma non poteva far perdere tempo a David, continuando a parlargliene. Fece un cenno verso la sala d’aspetto e gli disse: «Hai un ambulatorio pieno di pazienti. Quando pensi di finire?»

«Non ne ho la minima idea.»

«Potrei portare a casa Nikki e poi tu mi telefoni quando hai finito, così ti vengo a prendere.»

«Buona idea.»

«Resisti, caro. Dopo parleremo.»

Terminato il suo lavoro, Angela passò a prendere Nikki e la portò a casa, dove l’incontro con Rusty fu molto movimentato. Alle sette e un quarto telefonò David e, sistemata Nikki davanti al televisore, Angela tornò all’ospedale, guidando pianissimo a causa della pioggia molto violenta.

«Che serata!» esclamò David nel salire in macchina.

«Che giornata», ribatté lei, dirigendosi di nuovo verso la città. «Soprattutto per te. Come va?»

«Ce la faccio. Mi è stato d’aiuto avere avuto così tanto da fare. Ma adesso devo affrontare la realtà: che cosa racconto a Nikki?»

«Devi semplicemente dirle la verità.»

«Più facile a dirsi che a farsi. E se mi chiede perché è morta? Il problema è che non lo so nemmeno io, sia in senso fisico sia metafisico.»

«Ho pensato parecchio a ciò che ha detto Kelley», disse Angela. «Mi pare che mostri un’abissale incomprensione dei fondamenti dell’assistenza medica.»

«Questo è un eufemismo», obiettò David con una breve risata sarcastica. «La cosa più spaventosa è che occupa un posto di responsabilità. I burocrati come lui s’insinuano nella pratica medica sotto le sembianze della riforma sanitaria. Purtroppo la gente non ne ha idea.»

«Ho avuto un altro piacevole incontro con Wadley, oggi», cambiò argomento Angela.

«Quel bastardo! Che cosa ha fatto ancora?»

«Mi ha chiamata un po’ di volte ‘tesoro’ e mi ha toccato il sedere.»

«Buon Dio! Che stronzo insensibile!»

«Dovrei fare qualcosa e vorrei proprio sapere che cosa.»

«Credo che dovresti parlarne al dottor Cantor», le consigliò David. «Ci ho pensato un po’. Per lo meno è un medico e non solo un burocrate.»

«Il suo commento sulle ‘ragazze’, come le ha chiamate lui, che frequentavano la facoltà di Medicina non mi ispira molto», osservò Angela.

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