«Questo schema, che chiameremo B, deriva dal fatto che le onde di luce che attraversano la finestra di destra e quella di sinistra interferiscono l’una con l’altra.»
«Capito», disse Lisa, anche se non era sicura di dove stessero andando a parare.
Anna mostrò i due schemi. «Ora prendiamo una pistola a elettroni e spariamo un unico fascio di elettroni sulle due fessure. Quale schema otterremo?»
«Siccome spariamo elettroni come se fossero pallottole, direi lo schema di diffrazione A», rispose Lisa, indicando il primo disegno.
«In realtà, negli esperimenti di laboratorio si ottiene il secondo: lo schema di interferenza B.»
«Lo schema delle onde… Perciò gli elettroni escono dalla pistola non come pallottole, ma come la luce di una torcia, viaggiando sotto forma di onde e creando lo schema B?»
«Esatto.»
«Quindi gli elettroni si muovono come onde.»
«Sì, ma soltanto quando nessuno assiste effettivamente al passaggio degli elettroni attraverso le fessure.»
«Non capisco.»
«In un altro esperimento, gli scienziati hanno collocato un piccolo contatore presso una delle fessure. Emetteva un bip ogni volta che un elettrone attraversava la fessura, misurando — in altre parole osservando — il passaggio di un elettrone davanti al sensore. Qual era lo schema sull’altra parete quando l’apparecchio era in funzione?»
«Be’, non dovrebbe cambiare, giusto?»
«Non nel mondo subatomico: non appena veniva acceso l’apparecchio, si otteneva subito lo schema di diffrazione A.»
«Quindi il semplice atto di misurare modificava lo schema?»
«Proprio come aveva previsto Heisenberg. Per quanto sembri impossibile, è vero. Verificato e riverificato. Gli elettroni esistono in uno stato costante di onda e particella, finché qualcosa non li misura. La misurazione dell’elettrone ne forza la condensazione in una realtà o nell’altra.»
Lisa cercò di immaginare un mondo subatomico in cui tutto era in uno stato di costante potenziale. Non aveva senso. «Se le particelle subatomiche compongono gli atomi, e gli atomi compongono il mondo che conosciamo, tocchiamo e percepiamo, dov’è la linea di demarcazione tra il mondo fantomatico della meccanica quantistica e il nostro mondo fatto di oggetti reali?»
«Ancora una volta, l’unico modo per condensare il potenziale è farlo misurare da qualcosa. Strumenti di misurazione di questo genere sono una presenza costante nell’ambiente. Può essere lo scontro con un’altra particella, un fotone che colpisce qualcosa. L’ambiente misura costantemente il mondo subatomico, condensando il potenziale in una realtà solida. Guardi le sue mani, per esempio. Le particelle subatomiche che costituiscono i suoi atomi operano in base alle regole indistinte del mondo dei quanti, ma all’esterno si espandono nel mondo di miliardi di atomi che costituisce la sua unghia. Quegli atomi si scontrano, si spintonano e interagiscono, misurandosi reciprocamente, forzando il potenziale in una realtà fissa.»
«Okay…»
Anna percepì lo scetticismo nella voce di Lisa. «So che è bizzarro, ma ho soltanto sfiorato la superficie del mondo indistinto della teoria dei quanti. Sto sorvolando su concetti come nonlocalità, tunnel temporale e universi multipli.»
Painter annuì. «Ci sono un bel po’ di stramberie in questo campo.»
«Ma basta capire quei tre punti», disse Anna, contando con le dita. «Le particelle subatomiche esistono, a livello di quanti, sotto forma di potenziale. Ci vuole uno strumento di misurazione per condensare quel potenziale. Ed è l’ ambiente che esegue costantemente quelle misurazioni per fissare la nostra realtà.»
«Ma che cosa c’entra questo con la Campana?» chiese Lisa «Quando eravamo nella biblioteca del castello, lei ha parlato di ‘evoluzione quantica’.»
«È vero. Che cos’è il DNA? Non è nient’altro che una macchina delle proteine, giusto? Produce tutti i mattoni basilari delle cellule.»
«Detto in parole povere, sì.»
«Allora semplifichiamo ancora di più. Il DNA non è fatto forse di codici genetici bloccati in legami chimici? E che cosa spezza questi legami, accendendo e spegnendo i geni?»
«Il movimento degli elettroni e dei protoni.»
«E queste particelle subatomiche, a quali regole obbediscono: quelle classiche o quelle dei quanti?»
«Quelle dei quanti.»
«Perciò, se un protone ha il potenziale di trovarsi in due posti, A o B, accendendo o spegnendo un gene, in quale di quei posti si troverà?»
«Se ha il potenziale di trovarsi in entrambi i posti, allora è in entrambi i posti. Il gene è sia acceso sia spento. Finché qualcosa non lo misura.»
«E che cosa lo misura?»
«L’ambiente.»
«E l’ambiente di un gene è…»
Lisa sgranò gli occhi. «La molecola di DNA stessa.»
Anna sorrise. «La cellula vivente funge da strumento di misurazione dei propri quanti. Ed è questa costante misurazione cellulare che rappresenta il vero motore dell’evoluzione. Ciò spiega perché le mutazioni non sono casuali e perché l’evoluzione avviene a un ritmo più veloce di quello che si potrebbe attribuire al caso.»
«Aspetti», replicò Lisa. «Questa affermazione la deve ancora provare.»
«Facciamo un esempio, allora. Ricorda quei batteri che non erano in grado di digerire il lattosio? Che quando erano privati di altro nutrimento e avevano a disposizione soltanto il lattosio mutavano a un ritmo miracoloso per sviluppare un enzima in grado di digerirlo?» Anna inarcò un sopracciglio. «Ora riesce a spiegarselo usando i tre principi della teoria dei quanti? Soprattutto se le dico che la mutazione benefica richiedeva soltanto lo spostamento di un protone da un punto a un altro?»
Lisa era disposta a provarci. «Okay, se il protone poteva essere in entrambi i posti, allora per la teoria dei quanti era in entrambi i posti. Perciò il gene era mutato e non mutato. Era in uno stato potenziale che comprendeva tutt’e due le cose.»
«Continui», la stimolò Anna.
«Quindi la cellula, fungendo da strumento di misurazione dei quanti, avrebbe forzato il DNA a condensarsi in un modo o nell’altro. A mutare o a non mutare. E, poiché la cellula è viva e influenzata dal suo ambiente, avrebbe fatto pendere il piatto della bilancia da una parte, sconfiggendo il caso, per produrre la mutazione benefica.»
«Ciò che gli scienziati chiamano ‘mutazione adattiva’. L’ambiente influenza la cellula, la cellula influenza il DNA e così avviene la mutazione che reca beneficio alla cellula. Il tutto azionato dalla meccanica quantistica.»
Lisa cominciava ad avere un’idea vaga di dove sarebbero andati a finire. Anna aveva usato l’espressione disegno intelligente in una delle loro conversazioni. Quando lei le aveva chiesto chi c’era dietro quell’intelligenza, la donna le aveva risposto: Noi.
Lisa capì. Sono le nostre cellule che dirigono l’evoluzione, reagendo all’ambiente e condensando il potenziale in DNA, per adattarvisi meglio. Poi entra in gioco la selezione naturale darwiniana, per preservare le mutazioni.
«Ma la cosa ancora più importante», disse Anna, mentre la sua voce diventava un po’ rauca, «è che la meccanica quantistica spiega com’è nata la prima scintilla della vita. Ricorda quanto era improbabile che quella prima proteina in grado di replicarsi si formasse dal brodo primordiale? Nel mondo dei quanti, la casualità non fa parte dell’equazione. La prima proteina in grado di replicarsi si è formata perché era l’ordine che emergeva dal caos. La sua capacità di misurare e condensare il potenziale dei quanti ha superato la casualità degli scontri che erano in atto nel brodo primordiale. La vita è cominciata perché era un migliore strumento di misurazione dei quanti.»
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