James Rollins - L'ordine del sole nero

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L'ordine del sole nero: краткое содержание, описание и аннотация

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IERI. Germania, 1945: in un bunker sotterraneo viene portato a termine un esperimento rivoluzionario…
OGGI. Nepal: in un remoto monastero un’ondata di follia si diffonde improvvisamente tra i monaci, che scrivono col sangue indecifrabili sequenze di rune celtiche e svastiche. Copenhagen: a un’asta di libri antichi ricompare la Bibbia appartenuta a Charles Darwin, un volume che cela la chiave di un mistero sconcertante. Sudafrica: l’ultimo segreto dei nazisti sta per riemergere dal profondo della giungla… Grayson Pierce e la Sigma Force sono di nuovo in azione.

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«Ma perché costruire qui?» chiese Lisa.

Painter intuì il motivo. «Credeva che la razza ariana sarebbe risorta da queste montagne. Stava costruendo la loro prima fortezza.»

Anna annuì, come a concedergli un punto in una immaginaria partita. «Credeva pure che i maestri occulti che avevano istruito Madame Blavatskij fossero ancora vivi. Stava costruendo una roccaforte per loro, una sede in cui concentrare tutte quelle conoscenze e quelle esperienze.»

«E questi maestri occulti si fecero mai vivi?» chiese Painter, in tono canzonatorio.

«No, ma alla fine della guerra comparve mio nonno. E portò con sé qualcosa di miracoloso, qualcosa che poteva far diventare realtà il sogno di Himmler.»

«E che cos’era?» chiese Painter.

Anna scosse la testa. «Prima di continuare, le devo fare una domanda. E apprezzerei una risposta onesta.»

Painter si accigliò per l’improvviso cambio di tono. «Sa che non le posso promettere una cosa simile.»

Anna sorrise per la prima volta. «Apprezzo anche questo piccolo esempio di onestà, signor Crowe.»

«Allora, qual è la sua domanda?» chiese lui, curioso. Dovevano essere arrivati al nocciolo.

«Lei è malato? Faccio fatica a stabilirlo. Sembra molto lucido.»

Painter sgranò gli occhi. Non si aspettava quella domanda.

Prima che potesse rispondere, Lisa disse: «Sì».

«Lisa…» l’ammonì Painter.

«Lo scoprirebbe comunque. Non ci vuole una laurea in medicina per accorgersene.» Lisa si voltò verso Anna. «Presenta sintomi vestibolari, nistagmo e disorientamento.»

«Emicranie e lampi nel campo visivo?»

Lisa annuì.

«Lo immaginavo.» Si appoggiò allo schienale. Sembrava che quell’informazione rassicurasse la donna. Painter era perplesso. Perché?

Lisa insistette. «Di cosa soffre? Penso che abbia il diritto di saperlo.»

«Ciò richiederà qualche altra spiegazione, ma posso dirle qual è la prognosi.»

«E cioè?»

«Morirà fra tre giorni. In modo orribile.»

Painter si costrinse a non reagire.

Lisa rimase altrettanto imperturbabile, mantenendo un tono clinico. «C’è una cura?»

Anna guardò Painter, poi ancora Lisa. «No.»

Copenhagen, Danimarca,

ore 23.18

Doveva portare la ragazza al sicuro, da un medico. Gray sentiva il sangue che colava dalla ferita di Fiona, inzuppandole la camicetta, mentre la sosteneva, cingendola con un braccio.

Attorno a loro la folla premeva. I flash delle macchine fotografiche mettevano Gray in costante allerta. Dal lago arrivava l’eco di musica e canzoni, mentre la parata proseguiva. Giganteschi fantocci animati sfilavano dondolando e ciondolando sopra le teste degli astanti. I fuochi d’artificio continuavano a esplodere fragorosamente.

Gray ignorava tutto quanto. Stava basso, cercando il cecchino che aveva sparato a Fiona. Aveva dato una breve occhiata alla sua ferita. Era stata colpita di striscio, aveva soltanto un’escoriazione, che però trasudava sangue. Aveva bisogno di assistenza medica. Era pallidissima per il dolore.

Il colpo l’aveva raggiunta da dietro. Il che significava che il cecchino doveva essere appostato tra gli alberi e i cespugli. Era una fortuna che si fossero mischiati alla gente. Ma erano stati individuati e probabilmente i loro inseguitori stavano già convergendo sul posto: sicuramente qualcuno di loro si era già mescolato alla folla.

Gray guardò l’orologio: mancavano quaranta minuti alla chiusura del parco.

Gli serviva un piano, un nuovo piano. Non potevano più aspettare mezzanotte per fuggire. Sarebbero stati scoperti prima. Dovevano andarsene subito, ma il tratto fra la zona della parata e l’uscita era quasi deserto, poiché quasi tutti i visitatori erano radunati attorno al lago. Se avessero tentato una corsa folle verso l’uscita sarebbero stati vulnerabili e sicuramente anche i cancelli erano sorvegliati.

Accanto a lui, Fiona teneva una mano premuta sul fianco. Il sangue le colava tra le dita. Lo guardò, in preda al panico e gli sussurrò: «Che cosa facciamo?»

Gray continuò a muoversi tra la folla. Aveva soltanto un’idea: era pericolosa, ma la prudenza non li avrebbe fatti uscire dal lunapark. «Devo insanguinarmi le mani.»

«Cosa?»

Indicò la camicetta della ragazza. Perplessa, lei ne sollevò un lembo. «Fai attenzione…»

Lui raccolse delicatamente il sangue che gocciolava dalla ferita. Fiona trasalì ed emise un lieve gemito.

«Scusa», disse lui.

«Hai le dita gelate», borbottò lei.

«Tutto bene?»

«Sopravvivrò.»

Era proprio quello l’obiettivo.

«Tra un secondo dovrò prenderti in braccio», annunciò Gray.

«Che cosa…»

«Stai pronta a urlare quando te lo dico io.»

Lei arricciò il naso, confusa, ma annuì.

Gray aspettò il momento giusto. In lontananza cominciarono a suonare flauti e tamburi. Spinse Fiona nella direzione del cancello principale. Passato un gruppo di scolari, individuò una sagoma familiare con uno spolverino nero e il braccio al collo: l’assassino di Grette. Si faceva strada fra i gruppi di ragazzini, sondando la folla con gli occhi.

Gray batté in ritirata, mescolandosi a una massa di tedeschi che cantavano una ballata, in armonia coi flauti e coi tamburi. La canzone si concluse con un’esplosione di fuochi d’artificio e una gragnola di scoppi, a mo’ di timpani.

«Ecco», disse Gray, chinandosi. Si spalmò il sangue in viso e prese in braccio Fiona. Sollevandola, si mise a gridare in danese: «Bomba!»

Gli scoppi si alternavano alle sue urla tonanti.

«Grida», bisbigliò all’orecchio di Fiona, poi risollevò il volto cosparso di sangue. Tra le sue braccia, Fiona si mise a guaire e strillare in agonia.

«Bomba!» urlò di nuovo Gray.

La gente cominciò a voltarsi verso di lui, mentre i fuochi d’artificio continuavano a esplodere. Il sangue fresco luccicava sulle guance di Gray. Dapprima nessuno si mosse. Poi, come quando cambia la marea, una persona arretrò, scontrandosi con un’altra. Si levarono grida e richiami confusi. Sempre più gente cominciò a scappare.

Gray si mescolò a quelli che scappavano in preda al panico.

Fiona piangeva, si dimenava e agitava un braccio, gocciolando sangue dalle dita.

La confusione si alimentò come un incendio. I fuochi d’artificio scemarono e sul percorso della parata si moltiplicarono le grida di terrore. Per ogni persona che scappava, altre due si mettevano in fuga sulla sua scia.

La crescita era esponenziale: quello che inizialmente era un esiguo deflusso divenne una fiumana di piedi che calpestavano il selciato, in fuga verso l’uscita.

Gray si lasciò trasportare, con Fiona tra le braccia. Pregò che nessuno fosse calpestato, ma fino a quel momento il panico non era eccessivo. Cessato il fragore dei fuochi d’artificio, regnava la confusione, più che il terrore. Tuttavia, il deflusso della folla verso il cancello principale stava accelerando.

Gray mise giù Fiona, liberando le braccia. Si asciugò il viso con la manica della giacca Armani. Fiona rimase al suo fianco, tenendo stretta la sua cintura con una mano, per restare agganciata a lui in mezzo alla ressa. Gray indicò il cancello con un cenno del capo. «Se succedesse qualcosa, corri e non ti fermare.»

«Non so se ci riesco. Il fianco mi fa un male cane.»

Gray notò che Fiona zoppicava.

Più avanti, vide gli agenti di sicurezza che cercavano di controllare il deflusso della folla attraverso il cancello, evitando che qualcuno restasse schiacciato nella calca. Guardando meglio, vide un paio di guardie ferme a lato; era lampante che non stavano aiutando le altre a controllare la ressa. Un uomo e una donna, biondi come la neve. Erano i due compratori dell’asta. Travestiti da guardie, sorvegliavano il cancello, entrambi con una mano sul fodero della pistola.

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