Le andai più vicino. — Come hai detto?
— Ero… buona…? — sussurrò con voce roca. Mi ci volle un momento, ma poi compresi quello che intendeva.
Ci insegnano a essere sinceri, ma con l’esperienza ho imparato che la vera felicità sta nell’essere circondato da gente che ti dice quello a cui vuoi credere, che di solito non coincide quasi mai con la realtà, e se poi in futuro sbatti la testa, pazienza. Nel caso di Samantha, quel futuro non sarebbe arrivato e, stando così le cose, non mi sentivo neanche di portarle rancore e di rivelarle la cruda verità.
Mi accostai dunque al suo orecchio e le dissi quel che avrebbe voluto sentirsi dire. — Eri deliziosa.
Lei chiuse gli occhi, con un sorriso.
— Non credo proprio che ci sia il tempo per abbandonarsi ai sentimentalismi — fece Brian. — Non se vuoi salvare la tua dannata sorella.
— D’accordo — dissi. — Scusami. — Lasciai Samantha senza farmi pregare, fermandomi soltanto a prelevare uno dei bei coltelli di Alana dal tavolo accanto al barbecue.
Trovammo Deborah dietro al bancone di quello che un tempo doveva essere un bar in concessione nella cabina principale del galeone pirata. Lei e Chutsky erano stati assicurati a un paio di grossi tubi che dovevano provenire da un lavandino, ora mancante. Erano legati mani e piedi con il nastro isolante. C’era da riconoscere che Chutsky era quasi riuscito a liberarsi una mano. Era l’unica che aveva, certo, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare.
— Dexter! — esclamò. — Cristo, come sono felice di vederti. Lei respira ancora, dobbiamo portarla fuori di qui. — Poi scorse Brian nascosto dietro di me e aggrottò la fronte. — Ehi… ma lui era quello con il Taser.
— È tutto okay — dissi, poco convinto. — In realtà… uhm… lui sarebbe…
— È stato un incidente — fece Brian, rapido, come se avesse paura che rivelassi il suo nome. Si era rimesso il cappuccio per nascondere la faccia. — In ogni caso ti ho salvato, quindi sbrighiamoci a uscire di qui, prima che arrivi qualcun altro, d’accordo?
Chutsky alzò le spalle. — Già, certo… hai un coltello?
— Chiaro — dissi. Mi avvicinai, ma lui scosse il capo, impaziente.
— ‘Fanculo, Dex, pensa prima a Deborah — disse.
A mio giudizio, un individuo in possesso di un’unica mano e di un unico piede, legato mani e piedi e bloccato a un tubo di scarico, non sarebbe proprio nelle condizioni di dare ordini con quel tono. Eppure lasciai correre e mi inginocchiai accanto a Deborah. Tagliai il nastro che le serrava i polsi e le presi una mano. Le pulsazioni erano forti e regolari. Probabilmente era soltanto incosciente; era di costituzione sana e robusta e, a meno che non avesse preso una brutta botta, pensai che si sarebbe senza dubbio ripresa, ma sperai vivamente che si risvegliasse e me lo dicesse di persona.
— Forza, amico, basta cazzeggiare — mi rimbrottò Chutsky con lo stesso tono stizzoso.
Recisi dunque la corda che assicurava Deborah al tubo e il nastro isolante che le stringeva insieme le caviglie.
— Dobbiamo fare in fretta — mi disse Brian sottovoce. — Dobbiamo per forza portarci dietro anche lui?
— Cazzo, che spiritoso — fece Chutsky, ma sapevo che mio fratello non stava affatto scherzando.
— Purtroppo sì — dissi. — Se lo lasciamo qui, Deborah andrà fuori di testa.
— Allora, per l’amor del cielo, liberalo e andiamocene — fece Brian, e intanto corse a guardare fuori dalla porta della cabina, con il fucile pronto.
Liberai Chutsky che, barcollando, si tirò su in piedi… Anzi, per essere preciso, in piede, visto che l’altro era una protesi, come la mano. Guardò Deborah per qualche secondo, ma Brian tossicchiò, impaziente.
— Okay — dichiarò Chutsky. — La porto io. Aiutami, Dex. — E indicò Debs, con un cenno.
La alzammo e la issammo sulle sue spalle. Il peso non parve infastidirlo. La sistemò nel modo che gli era più comodo e si diresse verso la porta come se stesse partendo per una gita con uno zainetto leggero.
Sul ponte, Chutsky si fermò rapidamente accanto a Samantha, mentre Brian friggeva, nervoso. — È questa la ragazza che Debbie voleva salvare a tutti i costi? — chiese.
Guardai mio fratello, che quasi saltellava dall’impazienza, infine mia sorella, abbandonata sulle spalle di Chutsky, e sospirai. — È lei — risposi.
Chutsky spostò il peso di Deborah da una parte, in modo da poter toccare la ragazza con la mano sana. La posò sulla gola di Samantha e vi premette le dita per qualche secondo. Poi scosse il capo. — Troppo tardi — dichiarò. — È morta. Sì, Debbie andrà fuori di testa.
— Mi dispiace davvero — disse Brian. — Adesso possiamo andare?
Chutsky strinse le spalle, e Deborah scivolò leggermente giù. La prese in tempo, per fortuna non con l’artiglio d’acciaio, e se la risistemò in groppa, dicendo: — Sì, certo, andiamo — e imboccammo la passerella.
La discesa fu un po’ complicata, specie perché Chutsky reggeva Deborah con la mano vera e si teneva alla corda laterale soltanto con l’uncino. Comunque alla fine la spuntammo e non appena sulla terraferma ci dirigemmo rapidi verso il cancello.
Mi domandai se dovessi dispiacermi per Samantha. Non pensavo che avrei potuto fare qualcosa per salvarla (avevo già stentato a salvare me stesso, il che era una priorità ben più alta), ma abbandonare il suo corpo laggiù mi dava un certo malessere. Forse era tutto quel sangue, che mi infastidisce sempre. O forse il fatto che con i miei cadaveri ero abituato a lasciare tutto pulito. Di sicuro non l’idea che quella ragazza aveva fatto una fine tragica e inutile, ci mancherebbe. Sapere che si era tolta di mezzo senza che io dovessi prendermi alcuna responsabilità era un vero sollievo. Il che voleva dire che ero libero da ogni sospetto. Non c’era nessuno scotto da pagare e la mia vita poteva scivolare tranquilla su binari comodi e ben oliati, senza più doversi preoccupare di inutili citazioni in tribunale. No, in fin dei conti, era proprio un bene che Samantha fosse riuscita a realizzare il suo estremo desiderio, o almeno, parte di esso. L’unico tarlo che mi rodeva era che stavo per mettermi a fischiettare allegramente, il che non mi parve carino.
Infine fui colpito nel vivo, e mi sentii in colpa! Io, il Distante e Distaccato Dexter, il re degli insensibili! Mi stavo crogiolando in un’autoindulgenza lagnosa e improduttiva. Sentirmi in colpa? E tutto perché provavo una felicità segreta al pensiero che la prematura fine di una giovane donna giovasse ai miei egoistici interessi.
Non è che finalmente mi era cresciuta un’anima?
Forse Pinocchio si era trasformato in un bambino vero?
Era ridicolo, impossibile, incredibile. Eppure me ne stava venendo il sospetto. Forse era così, forse la nascita di Lily Anne e la mia trasformazione in papà Dex, unite agli altri implausibili eventi delle ultime settimane, avevano infine fatto fuori il Deviato Danzatore che ero sempre stato. Forse i devastanti momenti d’orrore trascorsi con il gelido sguardo bluastro di Alana puntato addosso avevano fatto la loro parte, scuotendo le ceneri per far germogliare il seme. Forse ora ero diventato un individuo nuovo, felicemente pronto a vivere da essere umano, a piangere e a ridere senza dover fingere, e a guardare uno show televisivo senza domandarmi che effetto avrebbero fatto gli attori legati a un tavolo con il nastro isolante: era mai possibile? Mi ero dunque trasformato nel neonato Dexter, pronto a prendere il suo posto in un mondo di persone autentiche?
Mi parevano tutte speculazioni interessanti e, mentre ero concentrato a parlarmi addosso, per poco non rischiai di farmi ammazzare. Tutto preso a meravigliarmi di me stesso, non mi accorsi che stavamo camminando nel parco attraverso la pista di go-kart e che mi trovavo leggermente più avanti degli altri. Intento alle mie ridicole meditazioni, mi trovai vicino al capanno, al termine della pista, e quasi finii addosso a due pirati che erano inginocchiati a terra nel tentativo di far partire un gokart vecchio di trent’anni. Mi guardarono, sbattendo stupidamente le palpebre. Accanto a loro giacevano due grosse coppe da punch.
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