Jeff Lindsay - La mano sinistra di dio

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Il collaboratore della polizia di Miami Dexter Morgan, esperto nell’esame delle macchie di sangue sulla scena del delitto, è un bell’uomo dotato di ironia e senso dell’umorismo. A prima vista potrebbe sembrare il fidanzato ideale per ogni brava ragazza. Eppure non lo è. Sotto questo aspetto esteriore cova, infatti, un istinto incontenibile a uccidere, per poi smembrare e dissanguare i cadaveri. Al contempo investigatore e serial chiller, Dexter ha la peculiare caratteristica di indirizzare la sua furia omicida esclusivamente su persone che se “lo meritano”.
Anche pubblicato come “Dexter il vendicatore”.

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Mi chiesi se davvero fossi sempre ben vestito. Be’, certo. Ero orgoglioso di essere il mostro più elegante di Dade County. Sì, certo, ha fatto a pezzi a colpi d’ascia il signor Duarte, ma era vestito così bene! L’abbigliamento giusto per ogni occasione. A proposito, qual è l’abbigliamento giusto per assistere a una decapitazione mattutina? Pantaloni e camicia a maniche corte del giorno precedente, naturalmente. Ero à la mode. Ma, a parte la fretta di alcune ore prima, di solito avevo cura nel vestirmi. Era una delle lezioni di Harry: lavati, vestiti bene, non destare l’attenzione.

Ma perché una detective della Omicidi, più interessata alla politica che ad altro, doveva farci caso? Non era certo perché…

Oppure sì? Mi si accese una lampadina. La risposta era nello strano sorriso che le balenava sulla faccia. Era ridicolo, ma che cos’altro poteva essere? LaGuerta non stava cercando di farmi abbassare la guardia per interrogarmi a fondo su quanto avessi visto. E non le importava una scoreggia di uccello della mia competenza in fatto di hockey.

LaGuerta cercava di socializzare.

Le piacevo.

Io stavo ancora cercando di riprendermi dallo choc della mia incerta, bizzarra e bavosa aggressione a Rita… e adesso questo? Che i terroristi avessero gettato strane sostanze nell’acquedotto di Miami? Trasudavo forse qualche strano feromone? Che le donne di Miami, in blocco, avessero finalmente compreso che tutti gli uomini erano senza speranza e quindi io fossi divenuto attraente per esclusione? Sul serio, che cosa diavolo stava succedendo?

Certo, potevo essere in errore e questo pensiero mi attirò come un cucchiaino d’argento lucente attira un barracuda. Dopotutto, ci vuole un egotismo colossale per convincersi che una donna in carriera, raffinata e sofisticata come quella, potesse mostrare interesse nei miei confronti. Era più probabile che… che…

Che cosa? Sfortunatamente, l’idea non era poi così peregrina. Lavoravamo nello stesso settore, quindi, secondo il comune buon senso poliziottesco, eravamo più inclini a comprenderci e perdonarci reciprocamente. La nostra relazione avrebbe potuto sopravvivere ai suoi orari di lavoro e alla sua vita stressante. E, per quanto non mi voglia dare arie, mi considero piuttosto presentabile. Sono «ripulito», come diciamo noi nativi. Ed erano ormai parecchi anni che mi mostravo carino con lei: si trattava di una questione puramente diplomatica, ma lei non era tenuta a saperlo. Avevo un certo talento a mostrarmi carino, una delle mie poche vanità. Avevo studiato a fondo e mi ero esercitato a lungo e, quando mi ci applicavo, nessuno si accorgeva che stavo fingendo. Ero bravissimo a disseminare germi di simpatia. Era naturale che poi, talvolta, la simpatia germogliasse.

Ma fino a questo punto? E adesso che cosa sarebbe accaduto? Forse LaGuerta mi avrebbe proposto una cenetta intima. O qualche ora di gioioso sudore all’hotel El Cacique.

Per fortuna arrivammo all’Arena prima che il panico avesse il sopravvento. Lei fece un giro completo dell’edificio alla ricerca dell’entrata giusta. Non era difficile trovarla: era quella di fronte a cui erano ammassate le auto della polizia. Scesi in fretta dalla Chevrolet prima che LaGuerta mi mettesse una mano sul ginocchio. Lei scese a sua volta e mi guardò. La sua bocca si contrasse per un istante.

«Vado a dare un’occhiata», dissi. Mi avviai di buon passo nell’Arena, resistendo alla tentazione di mettermi a correre. Stavo scappando da LaGuerta, sì, ma ero anche ansioso di entrare, di vedere che cosa avesse combinato il mio giocoso amico, di contemplare il suo operato, inalarne lo splendore, imparare da un maestro.

All’interno ferveva il caos organizzato tipico dell’inizio di un’indagine. Eppure mi sembrava che ci fosse un’insolita elettricità nell’aria, una muta sensazione di tensione ed eccitazione che di solito non si avvertiva sulla scena di un delitto qualunque. Si intuiva che qui qualcosa era diverso, che altre sorprese ci aspettavano, perché stavamo esplorando una nuova frontiera. Ma forse ero solo io a sentirlo.

Intorno alla rete si era radunato un gruppetto di persone, molte delle quali indossavano l’uniforme di Broward County. Stavano in piedi a braccia conserte, mentre il capitano Matthews dissertava in materia di giurisdizione con un altro uomo in giacca e cravatta di buon taglio. Quando mi avvicinai, vidi Angel Nessuna Parentela in una posizione insolita: era in piedi accanto a un uomo stempiato, con un ginocchio a terra, intento a esaminare i sacchi meticolosamente imballati.

Mi fermai al parapetto e guardai attraverso i vetri. Eccoli là, a soli tre metri da me, così perfetti nella purezza della superficie ghiacciata lucidata dallo Zamboni. Qualsiasi gioielliere vi può dire che trovare la collocazione giusta è di vitale importanza. E questa era stupefacente. Assolutamente perfetta. Mi girava quasi la testa. Avevo la sensazione che il parapetto non sarebbe riuscito a reggere il mio peso o che vi sarei potuto passare attraverso come fossi incorporeo.

Si capiva anche da lì che l’assassino aveva agito senza fretta, senza omissioni, malgrado quella che doveva essergli parsa come una fastidiosa interferenza sulla Causeway di pochi minuti prima. A meno che avesse capito che non intendevo fargli del male.

A proposito, davvero non intendevo fargli del male? Non volevo forse rintracciarlo, stanarlo e far guadagnare punti alla carriera di Deborah? Certo, era quello che ero convinto di stare facendo, ma avrei avuto la forza di andare fino in fondo se le cose si facevano tanto interessanti? Ci trovavamo tutti all’Arena, in cui avevo trascorso ore piacevoli di contemplazione. Non era questa una prova ulteriore che quell’artista, pardon, quel serial killer e io ci muovevamo lungo percorsi paralleli? Bastava guardare lo splendido lavoro che aveva appena fatto.

E la testa… era quella la chiave. Di sicuro era un pezzo troppo importante per abbandonarlo alla leggera. Me l’aveva gettata contro per spaventarmi, per precipitarmi in un parossismo di terrore, orrore e raccapriccio? Oppure, in qualche modo, sapeva che io provavo le stesse pulsioni? Forse anche lui avvertiva la connessione tra noi due e voleva solo giocare. Mi stava provocando? Doveva avere una ragione importante per lasciarmi un simile trofeo. Se io provavo quelle sensazioni così intense e inebrianti, come poteva lui non sentire nulla?

LaGuerta mi raggiunse. «Avevi tanta fretta», disse, con una sfumatura delusa nella voce. «Hai paura che scappi?» Accennò al cumulo di membra.

Sapevo che da qualche parte, dentro di me, c’era una risposta brillante, una battuta che l’avrebbe fatta sorridere, l’avrebbe affascinata ancora di più, addolcendo il malumore per la mia fuga dalle sue grinfie. Ma in quel momento, appoggiato al parapetto, con quel cadavere nella rete, sul ghiaccio… di fronte alla grandezza, potremmo dire, lo spirito mi venne meno. Riuscii a trattenermi dall’imporle di chiudere il becco, ma ci mancò poco.

«Dovevo vedere», risposi, in tono sincero. E poi riuscii a cavarmela aggiungendo: «È la porta dei Panthers».

Lei mi batté una mano sul braccio, con fare scherzoso. «Sei terribile.»

Per fortuna, il sergente Doakes ci raggiunse prima che la detective si mettesse a ridacchiare con aria felina: sarebbe stato più di quanto potessi reggere. Come sempre, Doakes sembrava più interessato a trovare un pretesto per spaccarmi le costole che ad altro. Mi rivolse un’occhiata di benvenuto così calda e penetrante che pensai bene di eclissarmi e lasciare LaGuerta tutta per lui. Dal suo sguardo, avrei detto che Doakes mi ritenesse colpevole di qualcosa e che gli sarebbe piaciuto esaminarmi le interiora per scoprire di che si trattasse. Sono sicuro che sarebbe stato più felice di vivere in un posto in cui alla polizia fosse consentito di spaccare una tibia o un femore, di quando in quando. Mi portai a distanza di sicurezza, girando intorno alla pista fino a trovare un punto in cui entrare. Lo avevo appena trovato quando qualcosa mi aggredì alle spalle, colpendomi con una certa forza alle costole.

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