Presi la Route 1 in direzione sud e per capriccio decisi di fermarmi di nuovo a casa di Mary Maggie per dare un’altra occhiata al garage.
Entrai lentamente nel garage e feci un giro in cerca della Cadillac. Percorsi avanti e indietro ogni settore, ma invano. E meno male, perché non avrei saputo cosa fare se avessi trovato Choochy. Non mi sentivo in grado di catturarlo da sola. E al solo pensiero di accettare il patto di Ranger avevo un orgasmo, seguito a ruota da un attacco di panico.
E se avessi passato la notte con Ranger? Che cosa sarebbe successo? Supponiamo che fosse stato tanto incredibile da far sembrare tutti gli altri uomini delle nullità. Supponiamo che a letto fosse stato meglio di Joe. Non che Joe fosse un pappamolle. Era semplicemente un essere umano, cosa che non ero sicura di poter dire a proposito di Ranger.
E il mio futuro? Avrei sposato Ranger? No. Ranger non era fatto per il matrimonio. Diavolo, se è per questo neanche Joe lo era.
E poi c’era da considerare l’altro lato della questione. Supponiamo che io non fossi stata all’altezza. Involontariamente strizzai gli occhi. Ah! Sarebbe stato terribile. Oltremodo imbarazzante.
Supponiamo che lui non fosse stato all’altezza. Addio fantasie. A che cosa avrei pensato allora quando eravamo soli io e il getto caldo della doccia che mi massaggiava il collo?
Scossi la testa per snebbiarmi il cervello. Non volevo prendere in considerazione l’idea di una notte con Ranger. Troppo complicato.
Era ora di cena quando tornai a casa dei miei. Valerie non era più a letto e ora se ne stava seduta al tavolo, con indosso un paio di occhiali scuri. Angie e il Luna stavano mangiando panini al burro di arachidi davanti alla televisione. Mary Alice galoppava per casa, sbuffando e strofinando gli zoccoli sulla moquette. La nonna si era vestita per la veglia. Mio padre stava a testa china sulla polpetta che aveva davanti. E mia madre era a capotavola, nel bel mezzo di una caldana coi fiocchi. Aveva il viso arrossato, i capelli umidi e appiccicati sulla fronte e lo sguardo si spostava freneticamente per la stanza, sfidando chiunque ad alludere che fosse in preda ai fastidi della menopausa.
La nonna ignorò mia madre e mi passò la salsa di mele. «Speravo proprio che venissi a cena. Mi farebbe comodo un passaggio per la veglia.»
«Certo» dissi. «Avevo intenzione di andarci anch’io.»
Mia madre mi guardò con un’espressione addolorata.
«Che c’è?» le domandai.
«Niente.»
« Cosa? »
«I vestiti. Se vai alla veglia della famiglia Ricci vestita così non farò altro che rispondere al telefono per tutta la settimana. Che dirò alla gente? Penseranno che non ti puoi permettere dei vestiti decenti.»
Abbassai lo sguardo sui jeans e gli stivali. A me sembravano decenti, ma non avevo intenzione di discutere con una donna in piena menopausa.
«Io ho dei vestiti che potresti mettere» disse Valerie. «Anzi, vengo con te e la nonna. Ci divertiremo! Da Stiva servono anche dei dolci?»
Deve esserci stato uno scambio in ospedale. Non è possibile che io abbia una sorella che pensa a una veglia funebre come a un posto dove ci si va a divertire.
Valerie saltò su dalla sedia e mi trascinò al piano di sopra tenendomi per mano. «Ho l’abbigliamento fatto apposta per te!»
Non c’è niente di peggio che indossare i vestiti di qualcun altro. Be’, forse una carestia mondiale o un’epidemia di tifo, ma a parte quello, i vestiti presi in prestito non stanno mai bene. Valerie è un paio di centimetri più bassa di me e pesa qualche chilo in meno. Portiamo lo stesso numero di scarpe, ma i nostri gusti in fatto di vestiti non potrebbero essere più diversi. Indossare gli abiti di Valerie alla veglia dei Ricci è un po’ come andare a una festa mascherata la notte di Halloween.
Valerie tirò fuori dal suo armadio una gonna. « Ta-daa! » fece. «Non è meravigliosa? È perfetta. E ho anche una camicetta che ci sta alla perfezione. E pure le scarpe perfette. È tutto un completo.»
Valerie è sempre stata la regina dei completi. Ha sempre scarpe e borse abbinate. Anche gonne e camicette sono sempre abbinate. E Valerie riesce perfino a indossare un foulard senza sembrare un’idiota.
Cinque minuti più tardi, Valerie mi aveva vestito dalla testa ai piedi. La gonna era color malva e verde limone, con un motivo a gigli rosa e gialli. Era di stoffa trasparente e arrivava a metà polpaccio. Probabilmente sarebbe stata benissimo a mia sorella a Los Angeles, ma io mi sentivo come una tenda per doccia anni Settanta. Il sopra era una camicetta bianca di cotone elasticizzato con maniche appena accennate e pizzo intorno al collo. Ai piedi avevo sandali rosa a strisce con sette centimetri di tacco.
Mai in vita mia avevo pensato di poter indossare delle scarpe rosa.
Mi guardai nello specchio a figura intera e trattenni una smorfia.
«Guardate un po’» disse la nonna quando arrivammo da Stiva. «C’è il pienone. Saremmo dovute arrivare prima. Tutti i primi posti davanti alla bara saranno già stati occupati.»
Eravamo nell’ingresso, e a malapena riuscivamo a muoverci tra il fiume di persone che entravano e uscivano dalle salette dove erano venute a porgere l’estremo saluto. Erano le sette in punto e se fossimo arrivate prima ci sarebbe toccato fare la fila come a un concerto rock.
«Non riesco a respirare» disse Valerie. «Mi schiacceranno come un insetto. Le mie bimbe rimarranno orfane.»
«Devi pestare i piedi e dare calci nei polpacci» disse la nonna «e poi vedi come si tengono alla larga.»
Benny e Ziggy erano appena oltre la porta della saletta numero uno. Se Eddie fosse passato di lì non se lo sarebbero fatto sfuggire. C’era anche Tom Bell, responsabile delle indagini del caso Ricci, oltre a metà della popolazione del Burg.
Sentii una mano sul sedere e quando mi girai di scatto mi ritrovai davanti il viso arrapato di Ronald DeChooch. «Ehi, ragazza» mi disse «mi piace questa gonnellina trasparente. Scommetto che non porti le mutandine.»
«Stammi a sentire, brutto sacco di merda senza uccello» gli dissi «se mi tocchi un’altra volta il sedere ti faccio sparare.»
«Ha fegato, la ragazza» commentò Ronald. «Mi piace.»
Nel frattempo, Valerie era scomparsa, risucchiata dalla folla che avanzava. E la nonna era davanti a me che si faceva strada verso la bara. Le bare chiuse sono una situazione pericolosa, perché pare che i coperchi si aprano automaticamente quando c’è la nonna in circolazione. Meglio rimanerle vicino e controllare che non tiri fuori una lima dalla borsetta per manomettere la chiusura.
Constantine Stiva, l’impresario di pompe funebri più gettonato del Burg, adocchiò la nonna e corse a mettersi di guardia, arrivando prima di lei davanti alla defunta.
«Edna» le disse, annuendo e mostrandole il tipico sorriso da impresario di pompe funebri «che piacere rivederti.»
Una volta a settimana la nonna creava il caos da Stiva, ma Stiva non aveva intenzione di giocarsi una futura cliente che non era più una giovincella e che per giunta aveva messo l’occhio, per il suo riposo eterno, su una bara tra le più costose, di mogano intagliato a mano.
«Mi sembrava giusto venire a porgere un saluto» disse la nonna. «Io e Loretta eravamo nello stesso gruppo.»
Stiva si era saggiamente frapposto tra la nonna e Loretta. «Certo. Molto gentile da parte tua.»
«Vedo che è un altro di quei funerali a bara chiusa» disse la nonna.
«Volontà della famiglia» rispose Stiva con voce vellutata come crema e un’espressione placida in viso.
«Immagino sia meglio così, visto che le hanno sparato e poi l’hanno fatta a pezzetti con l’autopsia.»
Stiva tradì una punta di nervosismo.
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