Emilio Salgari - Il tesoro della montagna azzurra

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– Che cosa ne dite, don Ulloa? – chiese il giovanotto, impaziente di rompere quel silenzio.

– Dico che questo è un colpo di fulmine che vorrei che fosse toccato a me, – rispose il lupo di mare. – Si parla di milioni. Valgame D io s ! C’è da far girare la testa al più flemmatico uomo d’America!

– Che cosa fareste, capitano? – domandò don Pedro.

– Spiegherei immediatamente tutte le vele, e me andrei, al più presto possibile nella nuova Caledonia, dovessi farmi mangiare da quei cannibali, una gamba o un braccio.

– Ebbene, signor Ulloa, io ero venuto appunto per proporvi questo, – disse il giovane, – certo che voi, vecchio amico di mio padre, non mi avreste negato il vostro aiuto e che avreste accettato di interessarvi all’impresa.

Il capitano dell’ Andalusia aveva fatto un balzo, scaraventando a terra la pipa.

– Voi, señor , siete venuto da me per farmi una tale proposta! – esclamò.

– E per offrirvi la terza parte di quel tesoro, se mi aiuterete a conquistarlo. Voi non perderete nulla perché vi chiedo di noleggiare per sei mesi la vostra nave, al prezzo che voi stesso fisserete. Voi già sapete che mio padre ha lasciato a noi un bel patrimonio, senza contare il tesoro che si trova nascosto nella Montagna Azzurra.

– Parlate sul serio, señor de Belgrano? – gridò il comandante dell’ Andalusia .

– Sì, capitano: ditemi solo quanto dovrò darvi per questa campagna che suppongo non durerà meno di sei o sette mesi.

Rayo de sol ! – esclamò il capitano. – Quando vorreste partire, señor de Belgrano?

– Il più presto possibile, – rispose il giovane – poiché avremo don Ramirez alle spalle.

– Che cosa vuole da voi quel briccone?

– Vi ho già detto che nel barile c’erano due copie di documenti e due di questi emblemi che dovranno servire, suppongo, a farci riconoscere dalla tribù degli indigeni Krahoa.

– Continuate.

– L’altra copia e l’altro pezzo di niaulis sono in mano del capitano Ramirez.

– E non vuole consegnarveli?

– Sì, se gli cedo almeno la metà del tesoro.

– È partito quel brigante?

– Non ancora.

– Sono sicuro, señor de Belgrano, che lo troveremo nelle acque della Nuova Caledonia. Dobbiamo assolutamente precederlo. So che possiede una buona goletta.

Stette un momento in silenzio, come immerso in un profondo pensiero, poi estrasse l’orologio e guardò l’ora.

– Sono le dieci meno sette minuti, – disse. – Ho tutto il tempo necessario per imbarcare altri viveri, oggetti di ricambio, armi e munizioni. A mezzanotte, possiamo spiegare le vele… Emanuel!

Il mozzo accorse prontamente, domandando:

– Desiderate, comandante?

– Dove sono i marinai?

– Nella taverna del Toro.

– Và a radunarli e conducili immediatamente a bordo. Questa notte si salpa.

Il ragazzo uscì correndo, attraversò il pontile, che era stato gettato fra la nave e la calata e si lanciò a terra. Non aveva però fatti dieci passi che cadde fra le braccia di un uomo tozzo, muscoloso, barbuto e colorito quasi come un indiano della Cordigliera, che lo strinse così violentemente da strappargli un grido di dolore.

– Taci, – gli disse lo sconosciuto – e avrai dieci, cento, anche mille piastre se vorrai. Vieni con me e farò la tua fortuna. Non ti chiedo che un quarto d’ora. Tu sei il mozzo dell’ Andalusia , è vero?

– Sì, señor

– Chiamami capitano. Seguimi alla lesta. Non desidero che quel giovanotto e quella señorita mi vedano.

III. SUI FRANGENTI

Le trombe marine che spazzano spesso gli oceani, sono il terrore dei naviganti. Guai alla nave che si trova sul loro percorso! Viene aspirata, strappata alle onde, portata in alto dalla colonna roteante e quindi sommersa durante lo sfacelo della tromba. Quella che stava per innalzarsi davanti all’ Andalusia doveva avere proporzioni gigantesche, a giudicare dal moto rotatorio delle acque. Il mare era in continuo ribollimento, come sotto l’azione di un gran numero di vulcani sottomarini e sprigionava delle immense nubi di vapore che formavano una moltitudine di colonne grigiastre, pronte a fondersi e collegarsi con la grande nuvola nera che gradatamente si abbassava, impaziente di riunirsi ai cavalloni. Un grande rigonfiamento, simile a una collina, tumultuava davanti alla prora della goletta, aumentando di momento in momento di volume. Non aveva nulla di spaventoso; impressionavano invece i sinistri rumori che ne uscivano di quando in quando e che rassomigliavano ai boati di un cratere. Don Josè, don Pedro e il bosmano, erano saliti sul castello di prora per osservare quel fenomeno che poteva riuscire fatale alla nave.

– Sì, una tromba e il vento è cessato! – esclamò il comandante, con rabbia. – Giungesse almeno un altro colpo di vento e dovesse pure schiantarmi mezza alberatura!

– Non c’è modo di evitarla? – chiese don Pedro che pensava a sua sorella Mina.

– Proveremo a spezzarla con un colpo di artiglieria, – rispose il capitano.

– Ci riuscirete?

– A volte si rompono; tuttavia non vi nascondo che sarà un mezzo disperato.

– Perché comandante?

– La tromba ricadendo solleverà tali ondate da mettere in grave pericolo la mia nave.

– A mali estremi, rimedi estremi, – sentenziò il bosmano cacciandosi in bocca un pezzo di sigaro. – Se il disastro deve accadere, tuffiamoci con la cicca.

In quel momento dall’interno di quella collina mobile uscì, innalzandosi e roteando vertiginosamente, una colonna liquida che andò a congiungersi con la nuvola nera. Mare e cielo si erano uniti per la distruzione di tutto quello che dovevano incontrare sul loro cammino.

Un clamore assordante era echeggiato sulla tolda dell’ Andalusia .

– La tromba! La tromba! – gridarono tutti.

Poi, come paralizzati dal terrore che doveva aver tolto loro completamente le forze, diventarono muti, guardando con gli occhi dilatati quel mostro di acqua che già si muoveva, turbinando. Lo spettacolo che offriva quella colonna che pareva di cristallo e che i lampi illuminavano senza posa, se era terrificante, era anche sublime. L’acqua, come se fosse stata aspirata da una pompa di enormi dimensioni, veniva assorbita con mille sibili paurosi, dalla grande nube nera, cambiando ogni istante colore, secondo la violenza e la tinta dei lampi. Il capitano Ulloa, che ne aveva viste altre durante i suoi numerosi viaggi, e che non ignorava quanto fossero pericolose quelle terribili colonne d’acqua, anche per le navi di grossa portata come la sua, benché in preda a grande spavento, non aveva perso completamente la testa.

– Conducete in coperta la señorita Mina, don Pedro! – gridò. Poi volgendosi verso i suoi marinai che non osavano muoversi, soggiunse:

– Al pezzo il miglior puntatore.

– Un momento, comandante, – disse il bosmano. – la scioglierò io la tromba.

– Che cosa vuoi fare?

– La croce di Salomone.

– Vattene al diavolo, vecchio Reton!

Si era lanciato verso il castello di prora dove si trovava il piccolo pezzo d’artiglieria, mentre il bosmano che credeva, come tutti i marinai, ai segni cabalistici, preso il suo coltello di manovra tracciava rapidamente, su un barile, la famosa croce di Salomone. Il pezzo era stato caricato e puntato verso la colonna che continuava ad aggirarsi su se stessa, spostandosi ora in un senso ed ora in un altro, senza però troppo allontanarsi dal luogo dove si era formata. Non aspettava che un colpo di vento per lanciarsi all’impazzata attraverso l’oceano, travolgendo tutto nella sua corsa disastrosa.

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