Emilio Salgari - Le novelle marinaresche di mastro Catrame

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Le novelle marinaresche di mastro Catrame: краткое содержание, описание и аннотация

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– Non pensavo quasi più a Morthon, quando la terza notte dopo la sua morte, mentre il mare era tranquillo e a bordo regnava un profondo silenzio, udii squillare in fondo agli abissi una campana.

– Credetti di essermi ingannato, e mi curvai sul bordo per meglio ascoltare. Sotto le acque io udii distintamente suonare una campana; rabbrividii, e credetti per un momento d’impazzire per lo spavento. Morthon manteneva la sua promessa!

– M’inginocchiai sulla prua della nave, e mormorai una prece per l’anima del povero inglese. Subito quel funebre suono cessò, né da quella sera più mai lo udii.

Noi rimanemmo tutti silenziosi, guardando con spavento papà Catrame, e, tendendo gli orecchi, ci pareva di udire echeggiare sotto le onde dell’Oceano Indiano la campana dell’inglese. Uno scroscio di risa ci strappò dal nostro raccoglimento.

Era il capitano che così rideva.

– Che lugubre storia! – diss’egli. – Dimmi, papà Catrame: avevi bevuto molto quella sera?

Il vecchio lanciò su di lui uno sguardo irato, poi rispose: – Nemmeno un sorso d’acqua.

– Allora sei stato ingannato, vecchio mio.

– Forse che i vostri famosi scienziati hanno trovato la spiegazione di quel funebre suono? – chiese il mastro con pungente ironia.

– Gli scienziati non c’entrano; ma la spiegazione te la darà un uomo di mare.

– Ah! – esclamarono i marinai con tono incredulo.

– Dimmi, Catrame, – riprese il capitano, – quando udisti la campana, dove si trovava la tua nave?

– Presso l’isola di Los Picos.

– Allora ti dirò che il suono veniva di là.

– Ecco una cosa che non crederò mai, signore.

– E perché?

– Perché non ci sono né chiese, né conventi colà.

– Lo so.

– E nemmeno uomini.

– Lo so.

– E dunque? Che l’abbiano suonata le rocce?

– No: le onde, – rispose il capitano con voce solenne.

– Voi mi fate impazzire! – esclamò il mastro; – non vi comprendo più.

– Catrame, – riprese il capitano dopo alcuni istanti di silenzio, – quando presso ad un’isola deserta contornata da banchi o da scogliere pericolose non vi è un faro che avverta le navi, sai che cosa si mette?

– Non lo so, – rispose il mastro brusco brusco.

– Si mette una botte galleggiante o un gavitello qualunque sospendendo a una gabbia di ferro una campana.

– Concludo: il tuo inglese era un pazzo, un maniaco che si era fisso in capo di morire, e il suono funebre che tu hai udito, veniva dalla campana collocata per ordine dell’Ammiragliato inglese presso i banchi di Los Picos, onde avvertire le navi del pericolo. Non erano né i morti né gli uomini che la suonavano, ma semplicemente le onde che scuotevano il galleggiante gavitello. Hai capito, vecchio superstizioso?

In quell’istante nel ventre del nostro legno udimmo echeggiare un campana. Ci alzammo tutti di scatto, pallidi, atterriti; papà Catrame, cadde dal barile, emettendo un grido.

Il capitano proruppe in una seconda e più clamorosa risata.

– Ecco cosa fa la paura! – disse. – Credete che sia la campana de morti, e invece è la nostra che chiama alla guardia gli uomini di quarto!… Buona sera, papà Catrame, e bada che l’inglese non venga, qui sta notte, a tirarti le gambe!

La croce di Salomone

Alla quarta novella di mastro Catrame, nessun uomo dell’equipaggio si fece vivo. Tutti avevano paura delle funebri leggende di quel vecchio, tremavano ad ogni rumore che si udiva nel fondo della stiva, paventando la comparsa dei fantasmi del Caronte; impallidivano se una nave qualunque passasse all’orizzonte, nel pensiero che fosse quella dell’olandese maledetto, e trasalivano ogni volta che le onde muggivano più forte contro i fianchi del vascello, credendo di udire la campana dell’inglese o di veder comparire il re del mare.

Ne avevano fin troppo di quelle leggende, e se papà Catrame continuava su quel tono, molto probabilmente nessuno sarebbe più rimasto a bordo, appena la nave avesse toccato i porti dell’India.

Quella sera papà Catrame rimase un bel pezzo solo, seduto sul barile; ma egli non parve inquietarsi di ciò. Trasse di tasca un largo foglio di carta, prese un pezzo di carbone, scrisse alcune righe con un carattere zoppo e gobbo, ed appiccicò quella specie di cartello sull’albero di maestra.

Ciò fatto, tornò al suo barile, si accomodò meglio che poté e, accesa la vecchia sua pipa, si mise a fumare come un turco.

Tutti avevamo notato la singolare manovra del vecchio e, spinti da una irresistibile curiosità, ci avvicinammo all’albero per vedere cosa stava scritto sul foglio.

Ci volle non poca fatica a decifrare quegli sgorbi, poiché mastro Catrame scriveva come un marinaio, facendo certe aste grosse e certe code che non si sapeva dove andavano a terminare. Alla fine però riuscimmo a leggere fra la più alta meraviglia la seguente bizzarra dicitura: «Come una croce di Salomone facesse diventare mastro Catrame re di un’isola!»

– Cosa significa quella roba li? – chiese un gabbiere.

– Perbacco! – esclamò il capitano. – È il titolo della novella di stasera.

– Come! Papà Catrame è stato re?… – esclamarono tutti.

– Lo dice lui.

– Che storia è mai questa?

– E c’entra una croce di Salomone!

– Papà Catrame è impazzito!

– L’inglese gli ha tirato le gambe e la paura gli ha sconvolto il cervello.

– Silenzio! – esclamò il capitano con tono imperioso. – Non si giudicano le persone prima dei fatti… Marche! Andiamo a udire la novella del vecchio lupo!…

Quando papà Catrame ci vide tutti intorno seduti dinanzi al suo barile, ci guardò con un sorriso di compiacenza e si stropicciò allegramente le mani. Senza dubbio era contento della sua trovata originale per farci accorrere.

– Tu, papà Catrame, ci prometti stasera una storia meravigliosa – disse il capitano, – e pare che questa volta non c’entrino né vascelli fantasmi, né morti che suonano le campane. Se ci farai stare allegri ti prometto non una, ma sei bottiglie di vino di Spagna, di quello che fa andare in solluchero gli uomini della tua età.

– Sarò allegro, – rispose il mastro con un sorriso sardonico.

– Niente leggende dunque, stasera?

– La leggenda entra sempre nelle mie narrazioni.

Il capitano fece una smorfia di malcontento; ma papà Catrame lo rassicurò con un gesto.

– Se fosse una storia sinistra, non sarei qui a raccontarla, – disse. – Toccò a me; ma sebbene abbia corso un brutto pericolo e per poco non sia stato messo allo spiedo come un capretto, non è punto paurosa.

– Apri per bene il becco e canta, vecchio mio.

– Le trombe! – esclamò mastro Catrame. – Ecco un fenomeno che fa raddrizzare i capelli ai più vecchi e ai più audaci marinai, che fa impallidire i capitani e gli ufficiali e quasi morire di paura i passeggeri che si avventurano sull’oceano.

– Chi di noi non ha tremato di spavento all’avvicinarsi di quelle colonne d’acqua turbinose, che sconvolgono il mare, che abbattono quanto incontrano sul loro passo, che travolgono le navi più gigantesche, sollevandole come semplici pagliuzze, per poi cacciarle rotte capovolte in fondo agli abissi? Chi non…

– Olà! papà Catrame, – disse il capitano interrompendolo. – Cosa c’entrano le trombe colla croce di Salomone, il tuo regno e il tuo spiedo?

– Un po’ di pazienza, signore.

– Lascia le trombe marine e tira avanti, dunque. Tutti le conosciamo, perbacco!

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