Francesco Domenico - Lo assedio di Roma
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Sovvenuti da cotanto amico si dice, che noi aderimmo al Congresso: quanto a me non ci credo; dacchè è chiaro come noi non possiamo, che scapitarci. I Sovrani, che ci riconobbero diranno: voi ci deste ad intendere, che il metallo popolano urlava infocato nella fornace, le volte ne tremavano, screpolavansi le pareti; se si commetteva a voi aprirgli la via voi lo avreste condotto a fondere una corona ; all’opposto se stiantava da se irrompeva a gettare un berretto ; in queste angustie io vi ho concesso fondere una corona: ora poi vediamo a prova, che la faccenda cammina altramente; dura la guerra ma no per la libertà, bensì per mantenere fermo un trono stabilito da Dio, e col consentimento nostro raffermato: così essendo ci piace la corona del Borbone come quella, che conosciamo fabbricata di metallo ugualissimo al nostro, e poi ci garbano meglio due corone che una, perchè quanti meno siamo a comandare tanto meglio ci torna, ed una contrapponendo all’altra rendiamo inani ambedue: la regia potestà l’è una tal cetra dove come più ci hanno corde peggiore suono manda. Poco preme a noi del Papa capo dei cattolici, moltissimo come capo di quella potestà spirituale, che interzandosi con la nostra ne fa una corda da reggere tutto il genere umano; non intendiamo, che la Italia si componga intera, anzi ripigli ognuno le sue spoglie, e torni a casa. Non ci opponete i voti dei popoli: con noi siffatti garbugli non giovano a scarrucolarci: ad ogni modo frego e da capo: fuori tutti da Napoli, fuori dalla Toscana, e dalla Emilia, e liberi allora da timore, e da lusinghe i popoli palesino la propria volontà.
In tali strette a qual santo vi voterete voi altri? Al vostro amico di Francia? Dov’egli non abbia composto i fatti suoi, fingerà di sostenervi per avvantaggiarsi; se gli avrà assettati vi rinnegherà anco fuori del pretorio, e senza, che lo abbia ravvisato la serva. Certo per voi non si rimarrà su la corda; considerate il tiro, che fece agl’Inglesi nella guerra di Crimea, e credete ch’egli voglia pigliarsi soggezione di voi? O non capite, ch’egli tenne ad arte fin qui spezzata la Italia come il mercante va al mercato con la moneta spicciola in tasca per aggiustare il prezzo della derrata?
Oggimai però torna vano spendere parole intorno a questo argomento, che il Congresso, mancata la Inghilterra, non si può fare; la vescica di Francia cadde sgonfiata al penetrare della punta di un ago inglese. Fin qui la fortuna arrise al Napoleonide, e mentre dura il vento prospero ogni uomo par pilota; adesso, che si mette alla burrasca gli spropositi fioccano, e veramente è tale questo della proposta del Congresso, dacchè avendo il fino che già accennai, bisognava scandagliare prima il terreno per non cascare dentro la fitta: ora poi fu mandato sossopra per ragioni così agevolmente pratiche, così ovviamente persuasive, che bene si acquista fama di leggerino chi prima lo promosse: donde noi giudichiamo o che non ebbe mai senno, o lo ha perduto chi si avventura a mettere in repentaglio la reputazione di prudente per cosa dove il civanzo è incerto, la perdita sicura; e comecchè ai Francesi non manchino spiriti vivacissimi, che anzi li possiedono in copia, vie più mi confermo nella opinione, che di Stato essi non intendano niente; e se questo ebbe animo di dire il Macchiavello in faccia al cardinale di Amboise ministro di Luigi XII non farà caso, che lo dica io qui dove veruno Francese ci sente.
Smorzato il Congresso sottentra un’altra sequela di considerazioni piene di ambagi; e tu odi dintorno un domandare affannoso: «avremo la guerra?»
Gli oracoli tacquero, affermano gli scrittori cristiani, dopo la venuta di Gesù Cristo, i Profeti non costumano più, o li bruciano come il Savonarola, o li buttano nel Tevere come Brandano; degli Astrologhi non rimangono neppure le ceneri: a speculare il futuro non ci avanza altro telescopio, che l’intelletto il quale quando non ha le lenti rotte quasi sempre se le trova appannate. A Torino ci hanno vecchi repubblicani con un paio di occhiali di dodicimila franchi all’anno sul naso adesso vedono tutto monarchico, ed anco assoluto.
Noi pertanto con lo intelletto nostro ragioniamo così. Lo Imperatore di Francia guerra sembra non ne abbia a volere; suo fine prima di giungere al regno fu arrivarci, arrivato mantenercisi; magari! se starebbe quieto ad esclamare: Deus nobis hæc otia fecit ; ma nè Dio si pigliò cura di lui, nè gli largiva ozi; i giorni suoi afferrò Nemesi dagli occhi senza palpebre, la Dea implacata, che veglia sempre, la quale gli contende posarsi; dov’egli si fermi le sue gambe, come quelle di Filemone, e di Bauci, barbificheranno nella terra, e ne sorgerà rigoglioso e potente l’albero della Libertà. Lo impero perchè duri bisogna, che procacci al popolo di Francia la recuperazione di quanto la Repubblica consegnò al primo Napoleone, e adempia alle necessità della Democrazia.
Ma dov’è questa Democrazia, e chi la rappresenta? Tutti e nessuno; per ora assai rassomiglia alla morte, la quale mentre non ha forma disforma tutte le cose, e come la morte è capo di vita novella: difficilmente accade e forse mai che l’uomo acconsenta in tutto e per tutto ad un’altro uomo; quindi screzi in casa, nel foro, e da ogni dove, anco tra quelli che si professano cultori di uno stesso partito; ma dai milioni dei singoli emanano a mo’ di molecole spiriti di sensi uguali sottilissimi, e tenui, i quali aggregandosi moltiplicano; cresciuti a potenza mirabile compongono quella grande cosa, ch’è la coscienza pubblica, donna e madonna del mondo. Questa s’insinua nell’aria, la bevi nell’acqua, l’odi in tutti i suoni, ti squilla in ogni canto; se la cacci in prigione ti guasta il carceriere, se la mandi al patibolo si mette a predicare su la traversa della forca, se cammini ti sta allato come ombra, se giaci ti zuffola di sotto al guanciale, se dormi ti si pone a sedere sul cuore come sopra un cuscino. Ferro, fuoco, laccio, e veleno non valgono contro lei; gli hanno provati, e conobbero, che se ne alimenta per crescere. – Gli astutissimi sfidati poterla vincere hanno cercato agguindolarla e pare, che riescano; ma ella è una proroga, che talora si concede da lei per ferire meglio,… la sosta nella cappella del condannato condotto alla giustizia.
E che vuole mai la Democrazia? Con quale sacrifizio si placa questa terribile divinità? – La Democrazia si compone di anima e di corpo, quindi abbisogna del pane quotidiano di biada, e d’idee; l’uno senza l’altro non approda; con le idee sole tu plastichi un solitario, col solo pane un gladiatore. Napoleone III attese a seppellire l’anima dentro ad un pane; ed ha sbagliato per molte ragioni, e primamente perchè le anime non si seppelliscono dentro ai pani, come non si affogano dentro l’acqua benedetta; e poi perchè veruno al mondo per quanto potentissimo egli sia può sostituirsi in luogo della Provvidenza, ed il concetto di bastare al pane di trenta e più milioni di uomini si reputa infermità da curarsi con l’elleboro; anco a un milione non lo potrai dare, che scarso, e per tempo non lungo. – Di vero la Francia con quasi due miliardi di entrata dopo lo impero patisce un manco nel bilancio di 336 milioni a ragguaglio di un’anno per l’altro; ed ora di un tratto ci palesa per soprassello un vuoto di 900 e più milioni. La Democrazia va agitata da istinti immani, che brancolano come una volta l’Erebo, e la Notte dentro il Caos prima che l’onnipotente Architetto ordinasse il mondo; dentro le odierne forme sociali la Democrazia si sente scoppiare, tutto è dolore per lei, la vita come la morte; così non va bene, bisogna che muti; ma come mutare? Qui il nodo. – I sapienti almanaccano con certi sperimenti loro, che chiamano scienza, e i derivati suoi predicano assiomi, ma poi alla prova nè manco essi ci credono; arroganza antica di empirici: frai sapienti davvero Socrate ti afferma nella sua vita avere saputo non sapere nulla, Pirrone dubitava di tutto, santo Agostino di molto, san Tommaso di Aquino distingueva: i nostri divini intelletti all’opposto non distinguono mai, di nulla dubitano, tutto sanno. La Democrazia molto si arrovellò un giorno per le forme politiche degli Stati suspicando che per colpa, o per virtù loro ei prosperassero o intristissero; adesso ricreduta alle forme politiche non bada, o poco ella più che tutto pensa a mutare l’alveo al fiume della umanità. Che giova nascondere la faccia delle cose? Nè per ambagi, nè per dinego può farsi che le cose non appariscano e non sieno. La Democrazia se dal dispotismo ricavò sempre male, non sempre ebbe bene dalla Repubblica; che monta regno, e che monta repubblica? Agide e Cleomene Re sentirono pietà pel popolo, come si commossero per lui Tiberio, e Caio Gracco tribuni, tribuni e Re rimasero dai conservatori, o aristocratici, ottimati, moderati, o con quale altro più reo nome voi li vogliate chiamare, insomma i privilegiati che intendono circondare il privilegio col terrore delle leggi, e la mannaia del carnefice. Parecchi ed io con loro confidarono potesse cosiffatta trasformazione operarsi a mano a mano, e all’avvenante che si abbatteva il vecchio costruirsi il nuovo: i conservatori, o moderati che vogliamo dire (e si faceva per loro!) non compresero, o rifiutando comprendere proruppero in calunnie; e forse quanto divisammo non poteva accadere: in questo come nella più parte dei nostri disegni abbiamo conosciuto la verità della parola del divino maestro, che toppa nuova su panno vecchio non regge ; grandissima parte di noi in premio dei travagli sofferti avrà fama nei posteri di trave in mezzo alla via, ostacolo al progresso della umanità; felice colui di cui le forze a spingere rinvenute uguali a quelle del respingere passerà senza infamia e senza lode: fie per noi desiderabile essere stimati uomini inutili . – Il moto, che agita i popoli rigettato indietro, poichè la scienza non gli trovò lo sbocco, glielo faranno trovare l’ira, e la necessità. Che aspetto presenteranno gli umani consorzi dopo gli eventi presagiti? Chi può dire che sarà della terra dopochè l’avranno solcata le lave dei vulcani? – Quello, che deve accadere accadrà ; questa iscrizione si leggeva sopra il castello di Enrico IV nel Bearnese; sia permesso a me popolano usurpare la iscrizione del Re.
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