Francesco Domenico - Lo assedio di Roma

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Extra jocum , il contegno dei vari stati europei alla proposta dello Imperatore dei Francesi mi ricorda la favola del viaggio impreso di conserva tra la volpe, e il lupo, i quali giunti, che furono in parte dove la volpe prese odore di tagliola si tirò da un lato dicendo in segno di onore al lupo: passi eccellenza ! Aggiunge la favola, che il lupo passò, e rimase preso; forse non è probabile, che passi Napoleone; staremo a vedere.

Che se io fossi meno persuaso l’errore essere stato la prima fascia avvolta intorno alla vita dell’uomo quando venne al mondo penserei che lo Imperatore dei Francesi innanzi, e meglio di noi conobbe la gaglioffaggine del bandito Congresso, ma, che ciò nonostante lo volle intimato, e ci persevera per tirare senza sospetto, o almanco con pretesto plausibile in Francia non tutti, ma quei Principi co’ quali gli preme intendersi per istringere lega offensiva e difensiva; nè questo può farsi per via di scritture, o di ambasciate; e’ vi hanno cose che la bocca di cui le dice, ha da sussurrarle nelle orecchie di cui le deve intendere e tre sono troppi; qui o mai cade il taglio di affermare, che bisogna comportarci con gli amici come se domani ci avessero a diventare nemici, e ciò accadendo tanto vale il mio sì, quanto il tuo no; non importa poi che i sovrani contro i quali si ordisce la tela rispondano alla chiamata, anzi giova che non vadano, bene preme e di molto accorrano quelli, che l’hanno a tessere. – Però avvertite che se la Francia la (trama, la Inghilterra la ordisce, e dove l’una delle due manchi la tela non si fa, o si fa male.

Che, che di ciò sia avventuriamoci ad un’altra se guenza di pensamenti. Adesso per certo non avanza altro eccetto l’alternativa di riunire il Congresso o non riunirlo.

Poniamo prima, che si riunisca nel modo, che unico può succedere, vale a dire di Re consulenti al proprio interesse. I Principi sanno che ricupero di diritto di popol risponde per l’appuntino la diminuzione delle regie attribuzioni. Uomini democratici non rifinano mai di predicare, che i popoli si rimarranno contenti alla libertà esterna, che oggi si chiama indipendenza di nazione, e a modi ragionevoli di libertà interna; i Principi non ci credono; però che se quello che i democratici affermano per un periodo limitato di tempo sembra vero, tale non è del pari nello spazio dei secoli, ed i Principi non si contentano a fermare come Giosuè il sole per ore, bensì presumono inchiodarlo perpetuo nel cielo della loro potenza. Se voi rammentate loro come i Pivernati sendo rimasti vinti dai Romani mandassero oratori a Roma per negoziare la pace, i quali richiesti in qual modo intendessero comporsi in amistanza risposero: – da uomini liberi. – Al che i Romani da capo: – bene sta, ma concedendovi pace vi conserverete fedeli? – E i Pivernati di rimando: – sempre, se i patti equi, se iniqui, finchè la necessità dura. – Concessero patti generosi, li mantennero i posteri, e i Piveri co’ Romani diventarono una gente: se voi allegherete simili casi v’irrideranno esclamando: – cotesti sono fatti antichi e chi lo sa se veri. – E se, buttate in un canto le sentenze democratiche, metterete innanzi l’esempio di Teopompo re di Sparta, il quale rimproverato dalla moglie per avere ristretto la potestà regia rispose: – certo la scemai per farla più durevole, – i Re osserveranno, ch’ei non se ne intendeva; la moltitudine pari alla lupa, che dopo il pasto ha più fame di pria, e meglio vale essere mangiato a un tratto, che cincischiato in brandelli, tranne il caso, nel quale, concedendo, tu ci veda il verso di rientrare più tardi su i tuoi co’ cambi dei cambi.

Dunque la Storia è li come il morto su la bara, per insegnarci che le tratte spiccate dal popolo creditore della sua libertà sopra la reggia gli vengono saldate in moneta di ferro, o di piombo, – e sovente anco di canapa.

Pertanto i Principi convocati non possono fare altro che consultarsi ai danni d’Italia; imperciocchè se essi consentirono lo impero di Francia e il Regno italico fra noi, e’ fu perchè reputarono l’uno e l’altro capace di soffocare la rivoluzione; anzi considera bene, prima per virtù di questa paura i soscrittori ai trattati di Vienna mostrarono sopracciglio meno aggrondato allo Imperatore di Francia, poi lo imperatore insieme con gli altri col medesimo patto sostennero il Regno d’Italia; con una differenza però, che si ragguaglia al potere dei due stati; il primo gagliardissimo fu riconosciuto in fatto, e in diritto, il secondo in fatto soltanto, in certo modo come una scheggia nella mano, finchè non arrivi il cerusico co’ ferri a cavartela fuori.

Nel Congresso, e da per tutto, la Francia attenderà all’interesse proprio rigidamente, senza nè pietà nè pudore imperciocchè abbia sempre costumato così; di vero le faccende di questo mondo non si giudicano per via di fisime, bensì con la notizia dei casi, la speculazione delle conseguenze, dei costumi, e della indole dei popoli co’ quali abbiamo a trattare; e rinnuovo qui certa mia querimonia che non andrà del continuo perduta; la quale è, qualunque professione, o vogli mestiere per umile, che sia desidera tirocinio; se ne assolve, e ne assolvono colui che rizza su cattedra di politica, tra le difficili scienze umane difficilissima; conciossiachè a molto sapere delle cose accadute esiga accompagnata cognizione precisa delle cose, e delle persone presenti; nè tanto bastando voglia altresì un certo divinamento dell’avvenire. Ora, se avessero bene considerato la parte della storia di Francia, che spetta a noi, conoscerebbero a prova com’ella sempre più anco di nocerci ci straziasse: mettiamo in disparte la storia antica come quella, che poco approda alle contingenze nostre: incomincisi pure da Carlo VIII; ei si precipita giù dall’alpi a guisa di vento, che va innanzi turbinoso, buttando all’aria stati, e popoli come polvere di su la via; guerreggia senza fine, negozia senza fede, e dopo avere lusingato tutti, tutti tradisce; crudele nella facile vittoria, si mostra animoso nella fuga, e si lascia dietro a testimoni del suo passaggio soldati ladri, modi di guerra efferati, il costume di trangugiarsi prima di venire a battaglia l’oro rapito, ed il troppo più truce di cercarlo dai vincitori nelle viscere palpitanti dei vivi; all’ultimo la infermità vergognosa che quasi maledizione lanciata da lontano attinge nella sorgente della vita i nostri più tardi nipoti. – Luigi XII Re mercante vende libertà, e tirannide, cresce esca alle discordie, ed altre ne suscita; negozia come le Parche filano, per tagliare mortalmente ad ora ad ora il filato; il Regno di Napoli si spartisce con Ferdinando il Cattolico a mo’ di fanciullo che si divida una mela col compagno arrapinato; semina la Italia di ossa italiane, ma altresì di francesi. Quale amico si fosse costui sel seppero i Fiorentini, messi quasi olive nel torchio con modi da disgradarne ogni matricolato usuraio per ispremere loro di sotto pecunia; e con parole, non come adesso sanno adoperarsi pompose di amore per il genere umano tutto quanto senza pure pretermettere un cosacco, e non dimanco a volta a volta acerbe o benigne ora altalenava per Pisa libera, ed ora per Firenze padrona; risucchiato poi l’osso lasciò Pisa ai Fiorentini perchè se lo rodano. Francesco I dei peccati mortali superò i dieci non che i sette; materia affatto agitata principalmente dalla lussuria, dall’ira, e dalla superbia: anch’egli empiè la terra di morti: massime la Italia contrastando senza concetto regio all’emulo Carlo imperiale concetto per la propria immanità condannato a screpolarglisi nelle mani, ed era la conquista del mondo, o di quanto più mondo si potesse; poi rifinito patteggia la pace tradendo i collegati suoi. Qui si manifesta non meno trista, ma più aperta che altrove la perfidia di Francia, imperciocchè da un lato si aizza vano i Fiorentini, e gli altri stati italiani a intorarsi nella guerra contro Cesare, e a chiudere gli orecchi ad ogni proposta d’accordo, e ciò perchè i negoziatori imperiali non salissero in baldanza nelle trattative di pace a Cambraio facendola alla Francia pagare caro.

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