Alberto Boccardi - Il peccato di Loreta

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–Non è una donna quella lì, è un angelo! Buona, buona come il pane. Ha fatto una gran opera santa, signora mia, prendendola in casa.

–Per buona, sì, mi pare.

–E dev'essere stata così sfortunata! Guai a dirlo: è un grosso peccato! ma è proprio vero che sono i buoni quelli che hanno le maggiori disgrazie!

–Ti narrò mai qualchecosa la signorina?

–A me! si figuri! Che confidenza vuole che abbia per una povera serva come son io? Però ho indovinato ed ho anche udito…

–Udito? Che cosa?

–Eh! ma tante volte! Alla sera quando ella, signora, ed il professore son già coricati ed io passo, per andarmene a dormire, dinanzi alla camera della signorina…

–Ebbene?

–La odo di dentro a piangere sommessamente. E una volta anzi… – ho fatto male, lo so-ma, avendo visto ohe il lume era ancora acceso, presa dalla curiosità, ho anche guardato dal buco della toppa… Avesse visto! La povera signorina era inginocchiata dinanzi al suo letto e tenendo fra le mani un oggetto lucente, – che so? una croce, un medaglione… – lo baciava replicatamente, colla faccia tutta bagnata di lagrime. Certo qualche memoria de' suoi cari…

–Certo, – fe' la signora Chiara. – Queste sono cose che provano ad ogni modo un animo buono ed affettuoso…

–Altro che buono!.. Se sapesse la pietà che m'ha fatto!

E l'ottima Vige, per poco fosse stata incoraggiata, quasi quasi si lasciava intenerire al solo ricordo di questi particolari.

Ma la signora Chiara non gliene lasciò il tempo:

–Tutto va bene… tutto va bene. Ma non va bene niente affatto di spiare, come hai fatto tu, dal buco delle serrature…

La Vige chinò il capo tutta mortificata, buscandosi senza proteste quel piccolo rimprovero che sapeva bene di meritarsi.

La signora Chiara non avrebbe del resto avuto bisogno alcuno dei racconti della sentimentale servetta per essere persuasa della grande bontà della sua povera parente, il cui carattere espansivo e cordiale le si veniva rivelando ogni giorno di più colle prove che Loreta le dava del suo attaccamento e della sua gratitudine. S'erano fatte amiche. Omai per la signora Chiara la compagnia della giovane era divenuta un'abitudine gradevolissima, di cui non si sarebbe privata che a malincuore. Erano pochi mesi dall'arrivo di Loreta e la vecchia signora la considerava già com'ella fosse stata sempre nella loro famiglia.

Ora, che l'invernata scorreva rigida e che si era obbligati a starsene per intere settimane chiusi in casa, la giovane riesciva di vero conforto alla signora. Il professore Mattia, da quel rusticone che era, se ne stava adesso più che mai seppellito nel suo studio, intento a dar l'ultima mano ad una memoria Sulle antichità aquileiesi , che gli era stata richiesta dal Mommsen per una rivista tedesca. E le due donne solette nel tinello, al lume raccolto della lampada, passavano le loro serate lavorando: per lo più capi di biancheria e di vestiario, che la Sant'Angelo, secondo una sua antica abitudine, destinava ai fanciulli poveri della parrocchia. La buona signora, cogli occhiali sul naso, ferruzzava le grosse calze di cotone bigio; Loreta attendeva a qualche lavoro di cucito.

Poi, a tratti, quando le raffiche del vento venivano, giù dalle gole nevicate della Carnia, a rompersi con impeto contro la casa facendone tremare i vetri delle finestre, la signora Chiara deponeva il lavoro:

–Che brutta notte, oggi! L'inverno in queste campagne è assai triste. Per coloro poi che non ci sono avvezzi… Voi, mia cara Loreta, dovete trovarvi assai male.

–Male? Ma che dite, signora! Qui per me è il paradiso. Se Dio non mi avesse protetta mandandomi il soccorso provvidenziale che voi mi avete offerto, che cosa sarebbe di me? Si apprezza il bene solo quando si è imparato che cosa sia la sventura!

–Sì, sì, figliuola mia; ciò che dite mostra il vostro bell'animo. Ma via, siete tanto giovane ancora: la vostra mente deve volare ben lontano da queste nostre solitudini così fredde!

–Lontano! Ma dove mai? No, signora Chiara. Al di là della soglia di questa casa benedetta, dove ho trovato tanto tesoro di amorevolezza e di pietà, non c'è più nulla per me. Al di là non ho lasciato nulla: nulla al'infuori di memorie dolorose. E guai per me se non fossi riuscita a cancellarle dall'anima mia!

In quelle conversazioni Loreta aveva anche accennato più volte a suo padre, e talora aveva pure insistito nel discorso a malgrado che la signora Chiara, con gentile sentimento, nulla avesse fatto mai per indurla a confidenze ed anzi si fosse tenuta in proposito nel riserbo più delicato.

I giovani anni di Loreta erano stati infelicissimi. Sua madre, Camilla Sant'Angelo, era morta presto, trentenne appena, coll'illusione beata che alla bambina sarebbero riserbate le più dolci tenerezze dell'affetto. Prospero Lambertenghi glielo aveva promesso dandole l'ultimo bacio e fu con questo pensiero tranquillante che la poveretta si spense. Ma Prospero obbliò assai presto. Carattere volubile, dominato dalla sete de' pronti guadagni, insofferente di una vita umile e regolata, dopo breve tempo sentì il peso dell'esistenza a cui le contingenze della sua famiglia lo costringevano. Nei primi tempi il pensiero di dedicarsi tutto alla felicità di quella povera creatura, che, col suo vestitino da lutto lo attendeva sul limitare del loro quartiere, compensandolo col suo sorriso d'ogni fatica, gli era apparso bellissimo e pieno di poesia. Poi più tardi, quando nuovi arditi progetti di intraprese larghissime gli balenarono alla mente; ne' giorni nervosi, quando la cerchia ristretta delle pareti domestiche apparì, al suo spirito ansioso di voli infrenati, simile ad una prigione, quella bimba gli sembrò un ostacolo posto fra lui ed il raggiungimento de' suoi ideali. Non voleva essere lo schiavo di stupidi platonismi. Finalmente col bene proprio avrebbe fatto pur quello della bambina. Al suo cuore, che talora gli opponeva un palpito affettuoso, impose il silenzio. E si lanciò nel mare magno degli affari, delle imprese arrischiate, in que' giuochi ardimentosi, in cui il segreto del trionfo sta quasi interamente nel freddo disprezzo di ogni contrarietà della sorte.

Quale poteva essere la vita della giovanetta ognuno può immaginare. Affidata a mani mercenarie, la sua educazione fu fiacca, incerta, senza una guida severa, priva totalmente di quelle influenze benefiche che la vigilanza dell'affetto apporta ed assicura. L'istinto del bene, innato nell'anima sua, corse i maggiori pericoli di essere vinto ed attutito. Gente strana, esempî tristi e brutali, passarono intorno a lei, pericolosamente. Nella casa, nulla che valesse a inspirarle un sentimento di nobiltà od a metterle nel core un palpito di entusiasmo. Ricordava in confusione una folla di persone equivoche, che suo padre riceveva continuamente; ricordava certe notti rumorose, nelle quali giungevano fino alla sua stanza di fanciulla, voci concitate e clamori di canti. Del padre non ricordava nè baci, nè carezze. Era un uomo freddo, di poca espansione, di modi aspri. Una mattina la sua governante le annunciò ch'egli era partito: partito per un viaggio lontano, reclamato da urgenti interessi, che compromettevano ogni loro avere. Non l'aveva salutata neppure: il tempo gliene era mancato; ma stesse di buon animo: egli non l'avrebbe dimenticata un solo momento.

Questa partenza non turbò gran fatto l'animo di Loreta. Era abituata alle stranezze di suo padre. Provò invece un turbamento infinito, un'oppressione potente, quando un giorno, per puro caso, udì dalle labbra di un servo la ragione che dalla gente si attribuiva alla precipitosa partenza di lui. Era un'accusa infamante, che le chiamò il rossore al viso e l'amarezza nel cuore. Lottò per non crederci, per rompere il fatale incubo di quel sospetto, per raccogliere le prove che contro suo padre si fosse ordita dall'altrui malignità non altro che una bassa calunnia.

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