Giannotto Bastianelli - Pietro Mascagni
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E il dramma comincia.
Un motivo tortuoso e cupo, il motivo della gelosia di Santa, apre il recitativo di questa con mamma Lucia. Fermiamoci un istante su questo tipo di recitativo. Esso non è il vecchio recitativo monotono dell'opera buffa, o il recitativo eroico e starei per dire marmoreo delle opere wagneriane della prima e seconda maniera. Neppur si riattacca al melanconico e sentimentale recitativo del 500-600. Deriva, se mai, dal recitativo bizettiano (da quello per es., dell'ultima scena della Carmen , chè i veri recitativi secchi di quest'opera non furono scritti dal Bizet, come ognun sa, ma dal suo amico Guiraud), recitativo drammatico, duttile, pieghevole a esprimere con naturalezza i più diversi sentimenti. Ma, in realtà, è una specie di recitativo nuovo, anzi più un canto libero ogni tanto solcato da esclamazioni liriche dell'orchestra, che un vero e proprio recitativo. In opere posteriori il Mascagni ha pur troppo tentato di abbandonare questo suo bel tipo di recitativo per riprendere anch'egli il recitativo svenevole e civettuolo della scuola massenettiana. Ma non avendo il Mascagni le pessime doti di leggerezza melliflua che ci vogliono per parlar musicalmente con tale leziosaggine melensa, ne è venuto fuori un linguaggio ibrido, che non contenta nessuno con la sua goffaggine provinciale, che vuol sembrare disinvoltura da viveur .
La canzone di Alfio, che segue l'incontro delle due donne, è uno dei pezzi più scadenti dell'opera. In esso appare, la prima volta in Mascagni, il vizio dell'enfatica eloquenza inutile, vizio inoculato nella musica moderna dal dittatore a vita di essa musica: Riccardo Wagner. Lo spunto della canzone, un triviale motivuccio da operetta, è scelto arbitrariamente dall'autore a reggere un grandioso edificio corale e strumentale di nessun valore musicale, salvo che musica non diventi sinonimo di fragore. L'origine di questo vizio va ricercata, come ho detto, nello smodato fervore con cui finora è stato studiato il sistema d'orchestrazione wagneriano. Il Wagner, scopritore di meravigliosi e impreveduti impasti strumentali, lasciò pur troppo una specie di ricetta, usando la quale i musicisti sono pressochè sicuri di ottenere un frenetico applauso. Comunque questo pezzo, che sembra descriva il fragore di rotolanti carri guerreschi e non l'umile treppichio dei poveri barrocci siciliani, ha pur nel disegno errato qualcosa di fresco e di giovanile che fa pensare a certi selvaggi e un po' triviali ritmi tschaikowskyani. Quasi a fare il pendant a questo coro segue l'inno popolare della resurrezione. Anche questo pezzo è condotto con un po' di tronfiezza ed esagerazione. Ma la spontaneità della melodia, l'impeto delle modulazioni, alcuni effetti irresistibili di sonorità, vibranti quasi d'un empito di gioventù e di passione, finiscono per far perdonare il fragore, pur questa volta sproporzionato a un'azione che esigerebbe maggior semplicità e forse un tono tra l'agreste e il pastorale; insomma un canto più umile e meno meyerbeeriano nella condotta.
Ma ecco due scene in cui il Mascagni può abbandonarsi tutto al suo frenetico lirismo erotico. Il racconto che Santuzza fa del tradimento di Turiddu, e il duetto tra questi e Santuzza, interrotto per un istante da una breve entrata di Lola, un po' curiosa a dire il vero. Giacchè donne che vadano alla messa per una piazza pubblica cantando a squarciagola stornelli d'amore, sono, anche sul teatro melodrammatico, e con buona pace dei librettisti, inverosimili. Infatti i librettisti italiani sembrano un po' troppo convinti che l'arte, sia lirica, sia drammatica, è immagine, sì del reale, ma del reale trasformazione fantastica. In fondo in fondo, sotto la libertà dell'arte, si trova – la schiavitù della scena. E questo mi si conceda che è alquanto ridicolo trattandosi specialmente di un dramma… veristico. O la bella e schietta verisimiglianza della novella del Verga! Ad ogni modo queste due scene sono tra le parti più belle dell'opera; onde occupiamoci sopratutto del carattere personalissimo di questa musica. Ho già detto altrove che il Mascagni sente più di ogni altro sentimento l'amor sensuale e un po' brutale del popolo; questi due pezzi ne sono una conferma lampante. Il primo di essi, la romanza di Santuzza, narra il dolore della giovinetta tradita, il ribrezzo della sua carne martoriata dalle immagini del desiderio e della gelosia, sempre rinascenti come un incubo infaticabile. La musica si colora mirabilmente delle immagini poetiche espresse dalle parole, anzi sembra essere di queste immagini narrative-verbali quella confusa frangia di nuove immagini e sentimenti che suole circondare come un alone sfumato e inafferrabile l'immagine centrale di una poesia. Già l'introduzione orchestrale simile alle iniziali miniate, con cui, nei libri antichi, si preludiava pittoricamente alla narrazione di poi scritta, ci fa entrare nella pienezza della situazione. Il pudore e lo spasimo carnale, che impediscono alla giovinetta di parlare; la rassegnazione al destino, sotto la quale però cova l'odio mortale alla donna che ha sedotto Turiddu, per invidia a lei, Santuzza, non per vero amore a Turiddu; tutte queste fluttuazioni di passioni tra di loro intrecciate e contrastanti, e di cui la potenza sta per prorompere nella povera fanciulla con un'intensità tutta propria dell'anime popolari più istintive che riflessive; sono bene espresse in quei due versi
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Del resto certe selezioni si fanno talora senza aiuto della critica, ma quasi per una spontanea critica insita negli esecutori. Infatti dei molti melodrammi che in Italia sono stati composti da che la camerata del Conte de' Bardi ideò il genere dell'opera, che cosa è rimasto, se non qualche aria, staccata, senza danno reciproco, dall'opera a cui apparteneva, per esser cantata nei concerti?
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Avverto una volta per tutte che il popolo di cui parlo qui non è il popolo delle campagne e delle montagne, spesso puro e a suo modo profondo; ma parlo del popolo delle città e dei grossi borghi, al quale si attagliano benissimo le mie osservazioni.
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Se gli increduli volessero per prova di ciò che affermo un'analogia nella storia della musica, pensino alle costruzioni architettonico-contrappuntistiche dei sec. XIII e XIV, dalle cui aberrazioni armoniche doveva nascere la moderna armonia.
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Non è accennato in questo mio rapido quadro delle condizioni della musica europea disegnato a scopo di inquadrarvi Mascagni, alla musica russa. Giacchè essa nella sua forma più genuina (cioè non nelle sue imitazioni italiane del 700 e tedesche dell'800) ha un cammino e uno spirito assolutamente diversi dallo spirito e dal cammino della musica europea. Oserei quasi dire che essa è quasi una musica asiatica. Lo stesso Chopin non è fratello ai nostri compositori.
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Sebbene il recitativo debussysta non sia più maestoso come quello wagneriano, nè di Wagner il presente dittatore della musica francese accetti il sistema polifonico, Debussy è forse più wagneriano dello stesso Strauss. Il perchè della mia affermazione non potrei dire in due parole. Su ciò vedi, nel giornale La Voce di Firenze, i miei tre articoli: Claude Debussy , Impressionismo musicale , Ciò che ci può insegnar Beethoven .
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