Vittorio Bersezio - La plebe, parte IV
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E di Andrea intanto che cosa era avvenuto?
La lurida stanzaccia di prigione in cui fu cacciato il marito di Paolina, era piena zeppa di gente, essendo in essa stati posti molti degli arrestati la notte scorsa nella riotta all'officina Benda, e fra questi una nostra antica conoscenza, quel tristo arnese di Marcaccio. Mancava il Tanasio, perchè la spaccatura della testa ch'egli doveva al braccio robusto di Bastiano, lo aveva fatto trasportare nella infermeria. Era la prima volta, per Andrea, ch'ei si trovava in quello fisicamente e moralmente sconcio ambiente che è la prigione; e codesto non avviene di certo senza un grande sconvolgimento di tutto l'essere; aggiungetevi le condizioni in cui si trovava egli personalmente, in cui era l'animo suo per le sofferte vicende, e facilmente potrete immaginare come l'infelice non avesse quasi in quel punto la coscienza di sè e di ciò che gli accadeva dintorno.
Di quanti erano colà dentro egli non riconobbe nessuno; non vide altro che una turba di uomini, la quale gli parve assai più numerosa di quel che fosse in realtà; e rimase poco meno che spaventato nel vedere tutta questa turba serrarglisi dintorno con una curiosità che a lui parve quasi una ressa minacciosa. Dell'udirsi interpellare da varie parti, da varie voci, chiamandolo per nome, dandogli in isconci termini uno sconcio benvenuto. Erano la più parte operai suoi antichi compagni all'opificio e suoi più recenti alla bettola, i quali tutti mostravano od ostentavano per la loro condizione presente e per le minaccie della sorte che li aspettava una spensierata noncuranza od una riagente allegria, alcuni perchè già avvezzi alla cosa avevano smussato l'animo così ad ogni rispetto di sè come ad ogni vergogna, alcuni per bravata, non volendo mostrarsi da meno d'altrui nello sciagurato merito di quell'infame cinismo.
Marcaccio in quel primo istante non si fece innanzi; e invece si sottrasse agli sguardi ed all'attenzione di Andrea, che da parte sua era troppo stordito nella testa per discernere alcun che. Il marito di Paolina essendo troppo afflitto e desolato per rispondere a quell'accoglimento sciaguratamente festoso che gli fecero i suoi compagni di carcere, esso ebbe fine ben presto: Andrea fu lasciato stare non senza qualche epiteto oltraggioso; e il misero, ritrattosi in un angolo, buttatosi a sedere sopra un saccone, puntando alle ginocchia i gomiti e stringendosi colle mani la testa, rimase assorto nel caos turbinoso dei suoi vari pensieri, dolorosi e paurosi tutti.
Perchè lo avevano arrestato? Era uno dei primi e de' più precisi che gli si aggirassero nella mente confusa. Una voce segreta gli diceva in fondo del cuore: «per cagione di quelle false chiavi che tu hai fabbricate.» Se fosse così, e quando ne lo avrebbero interrogato, che cosa avrebb'egli dovuto rispondere? Negar tutto: chi poteva provare quella sua colpa? Non c'era che quell'omiciattolo presente, e poi più tardi era sopravvenuto Stracciaferro ; ma e l'uno e l'altro non avrebbero parlato mai. Sì, ma se nelle sue risposte s'imbrogliasse, egli che non aveva tanto ingegno da saper mentire? Confessare la verità? Codesto avrebbe anzi disposto a favor suo l'animo dei giudici. Ma così la colpa era chiarita assolutamente e certa la punizione. Egli non sapeva di leggi e non conosceva qual pena gli avesse da toccare, ma forse per mesi ed anco per anni l'avrebbero tenuto in carcere. A questa idea sentiva batter tumultuoso il sangue nei polsi della testa. Anni? mesi? Ma egli non poteva star lì nemmanco una settimana. Aveva sua moglie da andare a vedere; voleva e doveva non lasciarla morire. Quella sua colpa non l'aveva egli bastantemente espiata con tutto quello che aveva sofferto? Gli pareva di sì; ma poi quella medesima voce interna accresceva di forza per gridargli che a lui si doveva l'assassinio di Nariccia. Ebbene? e con ciò? diceva nel suo intimo la parte di lui che la faceva da avvocato difensore: non era egli che avesse preso parte a quel delitto. Ben gli stava a quell'avaraccio disumano e crudele. Chi lo rimpiangeva? A cui recava danno la sua morte? Era questa anzi a molti un vantaggio. Egli se l'era voluta: era di certo una giustizia di Dio; ma poi di colpo, tutto cambiavasi nell'animo d'Andrea. Sentiva più grave pesar su di lui la responsabilità di quell'omicidio, parevagli scorgere sulle sue mani medesime, le macchie di quel sangue che s'era versato.
Si ricordò in quel punto di Marcaccio. Era stato egli il suo demone tentatore; egli a cui cagione Andrea aveva fallito: oh come giustamente la pensava Paolina mettendo in guardia suo marito contro le seduzioni di quel tristo amico, volendolo da quello allontanare! Probabilmente, anzi sicuramente, a credere d'Andrea, Marcaccio era stato uno degli assassini: egli, egli onest'uomo fino allora, era dunque amico d'un ladro e d'un omicida: sentì un tale orrore di sè che tutto si riscosse, come assalito dal ribrezzo, e mandò tra le palme onde si copriva la faccia un'esclamazione soffocata che pareva un singhiozzo.
In quella una mano gli si posò leggermente sulla spalla ed una voce ben nota lo chiamò sommessamente per nome. Andrea levò la testa con un sussulto e mandò un'esclamazione di terrore. Quel Marcaccio, di cui stava pensando, gli era davanti accoccolato sul pavimento, la faccia pochi centimetri lontana dalla sua. Pareva succeduta come una evocazione. Andrea aveva pensato al suo cattivo genio, e questo eccolo presentarglisi di botto. Si trasse in là con uno sgomento che non isfuggì al suo tristo compagno, e s'affrettò soprattutto a levare la sua spalla dal contatto di quella mano che egli immaginava rea dell'omicidio.
– Tu! tu qui! esclamò egli con istupore e paura. Che mi vuoi?.. Vuoi tu ancora trascinarmi a peggiori malanni?
Marcaccio per prima cosa ruppe in un'alta risata, che coprì le ultime parole di Andrea, poi gli disse:
– Ve' che bell'accoglimento da amico e che faccia che tu mi fai!.. Poverino! Tu sei tanto sbalordito che non sai proprio più quello che ti peschi… Sì, c'è da far le meraviglie di trovarci in questo luogo, noi galantuomini che siamo innocenti come l'acqua; ma e' capita sempre così, i birboni vanno a spasso e fumano il sigaro sotto i portici, e i poveri diavoli d'onesti vengono qui ad ammuffire su questi miserabili sacconi.
Poi si fe' ancora più presso all'orecchio d'Andrea e gli disse sotto voce frettolosamente:
– Qui bisogna badar bene alle nostre parole, sai! Abbiamo da parlarci, ma conviene farlo così piano che nessuno oda pure un soffio, e forte non ci scappi un solo detto che dia appiglio a qualche supposizione. Qui dentro sono almeno tre o quattro le spie.
Andrea lo guardò colla faccia d'uomo che non capisce; Marcaccio ripigliava a più alta voce:
– Se' tu stato pescato eziandio per la gazzarra di ieri sera? Non ti ci ho visto alla fabbrica. Vedi giustizia! Io mi sono contentato di andarci a gridare che è tempo di dare un po' meglio di pane al povero popolo, togliendone ai ricchi che ne han di troppo, e sono ingabbiato come un merlo, mentre taluni che fecero il diavolo e peggio, se la sgabellarono tranquillamente. Ah! non ci ho fortuna!
Andrea volse uno sguardo invelenito contro il suo compagno e rispose che non sapeva il motivo per cui era stato arrestato, ma che supponeva esserlo per quel fatto a cui lo aveva determinato Marcaccio medesimo due sere prima. Egli parlava sommesso, non aveva pur nominato di che cosa si trattasse, e nessuno pareva fare la menoma attenzione ai loro discorsi, ma pure ciò non bastò a rassicurare il complice d'Andrea.
– Zitto! diss'egli. Queste sono quelle cose di cui t'ho detto non bisogna discorrere che con infinite precauzioni. Dà retta. Io occupo il saccone vicino al tuo: stanotte, quando tutti dormiranno, ci faremo vicini vicini e ci insinueremo pian piano nel tubo dell'orecchio quello che abbiamo da dirci a vicenda. Per ora basta, e non parliamoci più.
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