Cristina Belgioioso - Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire
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Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire: краткое содержание, описание и аннотация
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Tutte le cure del nostro governo per far progredire le popolazioni italiane verso la civiltà, non furono assorte dallo stabilimento dei nuovi mezzi di comunicazione. – Le scuole popolari sono un potente istrumento di civiltà, e queste sono ora numerosissime in tutta Italia. – Già nel 1863 ne esistevano circa 30,000; e sebbene buon numero di esse fossero di creazione anteriore al 59, nelle provincie meridionali però, ed in Sicilia particolarmente, quasi tutte le scuole elementari pei due sessi sono dovute al nostro governo; e gli sono dovute in due modi: e perchè istituite da lui, e perchè sostenute quasi per intero a spese dell'erario, mentre nelle altre provincie del regno molte scuole elementari stanno a carico dei Comuni, ed altre non poche sono sostenute da doni o da lasciti privati.
Se occorressero prove di fatto per dimostrare che tanta diffusione di luce intellettuale è cosa assai recente, basterebbe il porre a confronto di quelle 30 mila scuole il numero di analfabeti, che offuscano tanto splendore. Fra un 1,397,924 di giovinetti dai 12 ai 19 anni, cioè della età in cui dovrebbero avere terminati gli studi primarii, ed essere in grado di passare alle scuole tecniche o alle scuole secondarie, 938,637 di essi sono tuttora analfabeti, mentre 61,800 sanno leggere soltanto, e 361,725 sanno leggere e scrivere. – Speriamo che questi infelici 938,637 siano fra i nati prima del 50, ed avessero per conseguenza oltrepassata l'età in cui sogliono i fanciulli essere ammessi alle scuole primarie o comunali, quando il benefizio di codeste scuole fu largito al paese; e speriamo altresì che codesta enorme e vergognosa macchia nel nostro sole vada rapidamente impicciolendosi, e venga in breve coperta dai raggi sempre più splendidi che da esso si diffondono.
Oltre quel numero di scuole primarie, l'Italia contava già nel 63, 81 corpi scientifici ed accademie di scienze, lettere ed arti; 200 biblioteche; 10 osservatorii astronomici; 26 osservatorii meteorologici; 13 musei di archeologia; 13 società per la conservazione e l'illustrazione dei monumenti; 12 deputazioni di storia patria; 20 istituti speciali di belle arti e di musica; 5 alte scuole di perfezionamento; 19 università col corredo di 123 licei; 452 ginnasii pubblici; 177 scuole tecniche; e 65 scuole magistrali pei due sessi; tralasciando ancora di parlare delle scuole serali e delle festive, aperte recentemente in pressochè tutti i Comuni rurali di Lombardia, alle quali concorrono spontaneamente uomini di ogni età, e dove sono loro gratuitamente insegnate dagli uomini più colti del villaggio, come sarebbero il medico, il sindaco, il maestro ed il segretario comunale, le prime nozioni di storia, di geografia, di storia naturale, ecc. ecc.
Giova osservare che alcune delle cifre testè accennate non hanno tutta l'importanza che sembrano avere a primo aspetto. Quel gran numero di università non significa precisamente che il numero degli aspiranti all'insegnamento, che ivi si riceve, sia tale, che non bastino a contenerlo meno di 19 Università. – Questo numero, veramente smisurato, provviene dallo sminuzzamento che fece dell'Italia una agglomerazione di tanti piccoli Stati, gli uni degli altri gelosi e discordi; ognuno dei quali pretendeva di essere completo e perfetto nella sua picciolezza, possedendo ogni forma esterna di istituzioni scientifiche e letterarie, corpi insegnanti, ecc. Il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, la Venezia, i due Ducati, il Bolognese, l'Umbria, la Toscana, e se non m'inganno il Principato di Lucca, la Sardegna, il Napoletano, la Sicilia, e non so se la repubblica di S. Marino, avevano ciascuna non meno di una Università; ed i riguardi con che il governo nostro nazionale ha creduto di dover trattare i pregiudizii autonomici delle provincie italiane sono tali, che non si è peranco accinto a ridurre questo superfluo numero di Università. – Lo stesso può dirsi verosimilmente di alcuni degli osservatorii astronomici e delle accademie letterarie, che erano considerate come un adornamento distintivo di una capitale; ed ora non si tolgono per non far sentire agli abitanti di coteste già capitali ch'essi sono decaduti da ciò che ad essi o ad alcuno di essi può sembrare una situazione assai elevata. Ma tali riguardi eccessivi non possono essere perpetuati, ed il numero degli istituti scientifici o insegnanti sarà messo in armonia coi bisogni del paese, cioè col numero degli studenti di esso.
Certo è però che se quel prodigioso numero di Università non ha tutto il favorevole significato che gli si potrebbe attribuire, ciò non significa per nulla che debba o possa farne arrossire; e se il numero dei nostri corpi insegnanti oltrepassa i nostri bisogni, questo difetto di proporzione non è cagionato dal recente scemarsi del numero degli studenti, bensì dalle cangiate circostanze del paese, dal concentramento nazionale, dalla distruzione di pressochè tutti i confini interni d'Italia, e dal rapido accrescimento delle vie di comunicazione fra le varie Provincie. Il numero delle Università italiane sarà indubitatamente ridotto; dubito però che possa mai esserlo nella misura della Francia e dell'Inghilterra, perchè la topografia e la figura stessa della nostra Italia osta ad un sistema troppo assoluto di concentramento. Se le provincie meridionali d'Italia come le Calabrie, gli Abruzzi, Terra di Bari e di Otranto, la Sicilia, ecc. dovessero mandarci i loro studenti a Pavia o a Padova, temo che finirebbero col rinunziare ai vantaggi di una educazione universitaria.
Prima di procedere alla soppressione di alcune delle nostre Università, conviene ponderare accuratamente quali fra di esse possono essere impunemente tolte, cioè senza che si interrompano e facciano sosta i progressi della pubblica e nazionale istruzione, che è quanto dire del nazionale incivilimento.
Questo rapido esame dell'incremento, ch'ebbero negli ultimi pochissimi anni i mezzi di comunicazione e d'istruzione popolare nel nostro paese, ne presenta in vero molte sorgenti di conforto. Una considerazione però tempra la soddisfazione, che vorremmo ritrarne; ed è questa la influenza, anzi la ingerenza piuttosto accresciuta che scemata del clero negli stabilimenti della pubblica istruzione. Eravamo preparati a codesta preponderanza nelle provincie meridionali; ma i dati statistici, ai quali mi riferisco per questo lavoro, non la mostrano minore nel Piemonte, nella Liguria, nella Lombardia e nella Toscana, che nel Napoletano e nella Sicilia stessa. – Se di tale scoperta non solo mi meraviglio, ma mi rammarico, ciò non proviene da avversione al clero cattolico, e molto meno poi da dispregio per la religione, di cui è detto il ministro; ma soltanto perchè il clero può essere considerato a buon diritto, meno qualche eccezione, irremissibilmente ostile all'ordinamento oggi in vigore in Italia, e perchè tale essendo, i nostri giovanetti a lui affidati non possono ispirarsi ai sentimenti di lealtà, di gratitudine e di rispettosa fiducia verso il nazionale governo, che si richiedono dai cittadini di un paese libero. – Il clero cattolico è naturalmente avverso alle libertà civili, ch'esso confonde talora colla libertà di pensiero e di coscienza, e che in ogni caso esso tiene per indissolubilmente legate fra di loro, e non a torto. Io non discuterò quì se più felice sia il popolo soggiogato civilmente e intellettualmente, ma che non sente il peso del giogo a cui è avvezzo, ed al quale si rassegna confortato da una cieca fede in tutto ciò che gli insegna il suo clero; o il popolo liberale ed indipendente, conquistatore dei proprii diritti e di essi pienamente conscio, ma a cui fu tolto l'intimo conforto, ed il forte sostegno di quella cieca fede. – Sono queste quistioni le mille volte discusse, senza ricevere una soluzione che ponesse fine ad ulteriori dibattimenti. – Ma il nostro popolo ha risoluto il quesito col fatto della sua scelta. Il popolo schiavo ha voluto essere libero ed indipendente a qualsiasi costo; ed ha realizzato diffatti questo suo ardentissimo desiderio. Oggi non si tratta di decidere se a lui convenga di acquistare la libertà, o se sia meglio per lui di rimanere qual era nel medio evo. – Trattasi d'imparare a far buon uso dell'acquistata libertà; di preparare la vegnente generazione al pieno godimento di quei beni che i padri suoi non seppero che imperfettamente sviluppare. Trattasi di riunire, di fondere tutti gli Italiani in un pensiero concorde di gratitudine pei singolari benefizi ricevuti, e nella invariabile risoluzione di sottoporsi ai maggiori sagrifizi, piuttosto che rinunziare alle conquiste fatte, o che mostrarsene poco degni. Tale essendo la parte che spetta all'attuale e alla futura generazione di Italiani, vorrei mi si dicesse che cosa pensano e quale scopo si prefiggono i parenti che affidano la educazione dei loro figli al clero, ed al clero regolare in particolar modo, cioè al nemico delle nostre istituzioni, a quello che vorrebbe ricondurne indietro sino alla servitù materiale ed intellettuale del medio evo, e che ha missione dal suo capo spirituale e temporale, da quel capo riverito e temuto, a cui nessun membro del clero cattolico può sottrarre la menoma parte di sè stesso, ha missione, dico, di non transigere mai coll'attuale ordine di cose in Italia, ma di creargli quanti ostacoli e quanti nemici può. – Molti sono i padri che così pensano e che così parlano del clero; eppure non pochi fra questi affidano i figli loro ai Barnabiti, o a qualche altra corporazione religiosa, specialmente dedita alla istruzione dei giovani. – Di tale singolarità essi si scusano coll'asserire che i collegi tenuti dai laici sono così male diretti, e la istruzione dispensatavi così meschina, che nulla può aspettarsi da educazioni così condotte. Forse non sono senza fondamento tali critiche, e tali osservazioni: tutto il sistema che ne diresse per tanti secoli, e che era basato sul più rigido assolutismo, cadde in un'ora, e diede luogo ad una illimitata libertà ossia ad una generale rilasciatezza. – I primi effetti di così repentino cangiamento non ponno essere che tristi. – Ma se invece di condannarli come tali, e di volgersi a ciò che rimane dell'antico sistema, come se questo potesse convenire ad una nazione libera, i padri di famiglia delle classi educate si applicassero ad emendare i difetti dei collegi tenuti da laici, essi non andrebbero incontro, e non esporrebbero i figli loro ad una serie d'incalcolabili danni, col risospingerli nel passato; e ciò nel momento appunto che questo passato crollò, e che ad esso subentrava un avvenire interamente opposto a quello.
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