Giovanna Esse - Peccati Erotici Delle Italiane 2

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Peccati Erotici Delle Italiane 2: краткое содержание, описание и аннотация

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Giovanna Esse

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© - Giovanna Esse, 2017

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Nuovi peccati

Profanazione Profanazione Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi. (Pablo Neruda)

Prefazione con suor Angelica

Il momento della veritÃ

Decisa, per capire

Ricordi e timori

Senza ritorno

Intrighi

I primi calori

Paradiso e inferno

Peccato pendente

Io so; tu sai... lei, non saprà !

Un amico in più

Un approccio diretto

A un passo dal peccato

Un anno di amori

Quasi vergine

Ragazzi curiosi

Segnati da una notte

Senza freno

Fine dei giochi

Quasi vergine

In cerca di aiuti

L'appuntamento

Stare insieme

Esposta e schiava

Appagata in un motel

La proposta

Conciata per le feste

Uno

Due

Tre

Una notte pazza

Giulia e Giovanna Esse

Profanazione

Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi.

(Pablo Neruda)

Prefazione con suor Angelica

Suor Angelica versa il Te.

Lei non ama essere chiamata così: infatti, ogni volta che lo faccio, un po’ per scherzare, un po’ perché mi viene quasi spontaneo, mi corregge prontamente.

«Angelica… solo Angelica!» si affretta a dire «E poi, quand'ero suora, non era neppure questo il mio nome. Lo sapete bene.» Sorride, Angelica, e mi offre il suo Te speciale, composta da una miscela di The, scuri e saporiti, che solo lei sa dosare. «Lo chiamo “napoletano”, perché è il Te preferito dai meridionali… voi siete abituati a bere sempre quel vostro, fortissimo, cafe espresso.» Siamo sedute. Non posso fare a meno di ammirarla: non è una donna particolarmente alta ma ha una forte personalità , abilmente dissimulata sotto gli abiti pastello e la voce bassa e discreta. Il fisco è asciutto, ma gode della bellezza di chi, a cinquant'anni, ha un corpo sano, un portamento signorile e un carisma irriducibile. «Va bene di zucchero?» Chiede amabilmente, come sempre, e naturalmente le confermo che è perfetto, come i suoi pasticcini, freschissimi, che prepara ogni volta apposta per me. Sorbisce un bel sorso, poi riprende, spaziando con lo sguardo verso la veranda. Dai cristalli pulitissimi si intravede il cielo che, il tramonto, comincia ad imbrunire. «Siete pronta?» continua a darmi del voi; al tu proprio non si sa abituare… E, come accade ormai da qualche mese, “suor” Angelica, acconsente a raccontare una di quelle confessioni che ha ascoltato, di nascosto, quando era una giovane novizia. All'inizio c’è voluto il bello e il buono, per carpirle i suoi segreti e spesso si lamentava: «Accidentaccio a me e a quando vi ho confidato l’esistenza del passaggio segreto…» soleva dire, irritata, però sorrideva, come una nonna, che finge di annoiarsi a raccontare, per l’ennesima volta, la fiaba preferita ai nipotini. Poi un giorno si arrese, giustificandosi con sé e con Dio, e acconsentì a confidarmi, ogni tanto, qualcuna delle incredibili confessioni che aveva origliato. Pensava che, dopotutto, i protagonisti di quelle storie erano degli emeriti sconosciuti, e tali sarebbero rimasti per sempre… ma non il loro peccato. Magari, questi racconti, sarebbero serviti al lettore per conoscere quanti subdoli metodi il maligno conosce per tentare il corpo, con la droga più antica del mondo: il sesso, il piacere e la perversione. Ci eravamo accordate così: lei narrava e io registravo. In seguito trascrivevo e cercavo di fare mia la storia. Sempre, per telefono o da vicino, ero costretta a farle una o due interviste, per approfondire certi particolari; i punti che mi colpivano di più; le sfumature che sentivo di dover svelare… così sono nati questi racconti. Mi è piaciuto molto scriverli, spesso anche troppo: infatti non l’ho mai confessato alla cara Angelica ma, a volte, la storia era talmente intrigante, che non sono stata capace di trattenermi. Ho dovuto soddisfare l’esigenza di una rapida masturbazione, per placare i bollenti spiriti e tornare, serena, a svolgere le mie faccende.

Per questa storia, estremamente forte, non sono riuscita a trovare titolo migliore: Profanazione.

Il momento della veritÃ

Mi chiamo Rosa, ho sessant'anni… e sono piegata sul tavolo della cucina di casa mia.

Ho i gomiti e gli avambracci poggiati sul piano, per sostenermi; le mani conserte, non giunte, perché non sto pregando! Al contrario… Forse sono in procinto di compiere il più inconfessabile dei peccati della vita mia.

Non so quanto questo contribuirà alla mia perdizione, ma sono ancora una bella donna. Alla mia età non si può più mentire, o illudersi: il fisico parla chiaro della tua salute, non della tua bellezza. Basta pesarsi; basta che gli acciacchi e i dolori dell’artrite non ti facciano procedere storta, o peggio. Le carni toniche, il culo sodo, i seni consistenti… se a sessant'anni sei così: allora sei, indiscutibilmente, una bella donna… ed io, fortunatamente, sto benissimo. E poi da giovane ero molto bella… è innegabile, basta osservare le foto, che conservo tanto amorevolmente. Nonostante questo, sono quasi certa che, la bellezza, sia solo l’ultima delle attrattive che potrebbero indurmi a essere complice di un esecrando peccato… e, di conseguenza, peccatrice io stessa. La cosa che mi perderà , ne sono certa, è la cultura. L’amore, (che adesso maledico) per la lettura, la conoscenza. La passione per le arti e per i grandi artisti… poeti, pittori, scultori: amanti del bello, per forza di cose e pertanto, irrimediabilmente, lascivi, molli al peccato; promiscui, sessualmente confusi.

Maledetta! Se non avessi amato tanto la cultura, sarei stata di certo meno sensibile, meno permissiva; non mi sarei persa ogni volta in mille se e mille ma!

Probabilmente non mi sarei accorta di niente, oppure avrei gestito la cosa “a suon di ceffoni”. Come quelle belle mamme di una volta, che allevavano i figli alla maniera Spartana: o sopravvivevano, maschi e animaleschi, o restavano, per tutta la vita, imbelli, instabili, spesso froci.

Invece io, a furia di pensare, rimuginare, attendere, sperare, mi sono ridotta così. Piegata, come si suol dire, a 90 gradi, o come ancor più volgarmente si definisce, “a pecora”, sul tavolo della cucina, in una complice penombra. Per rendermi più disponibile, più comunicativa; per trasmettere il “messaggio” che la mia bocca non oserebbe mai profferire, ho cercato anche di abbigliarmi, in modo da farmi intendere. Certo, non ho più nulla della lingerie che indossavo da giovane: apparecchiata, pronta per il piacere di mio marito, né la indosserei. Al posto delle collant contenitive, però, indosso le calze nere, autoreggenti, con la riga dietro. Le avevo in casa da chissà quanti anni, ancora intatte nella loro confezione. Ma comunque non si vedono sotto la gonna, nera e stretta, che mi arriva al ginocchio… chissà , forse stando così, piegata, la gonna dietro è salita un po’ più su? Di sopra porto solo una camiciola, ma niente di comodo, niente di ciò che adopero normalmente per starmene tranquilla, a casa mia.

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