Cesare Balbo - Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, sommario. v. 2

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4. Pio III, Giulio II [1503-1513]. – Succeduti al pontificato Pio III (Piccolomini) per pochi giorni, e poi Giulio II per dieci anni, non so s’io dica che peggiorassero o migliorassero le condizioni nostre. Giulio II era quel Giuliano della Rovere, che egli pure aveva chiamati, condotti i francesi a Napoli. Fatto papa, chiamò francesi e tedeschi contra Venezia. Poi, avutone quel che voleva, si ravvide, bandí una guerra che chiamò «santa» contra francesi, bandí la cacciata de’ barbari; e per aver esso, ultimo de’ papi, fatto udir questo gran grido, il nome di lui riman glorioso e caro nelle memorie italiane. E noi siamo stanchi di severitá, noi rispettiamo le tradizioni nazionali, e cerchiam le occasioni di lodare. – Alla morte d’Alessandro molte delle cittá tenute dal Borgia si sollevarono. Giulio II, appena salito al trono, gli domandò le rimanenti; e rifiutato, lo fece prendere, gli fece firmare per forza la consegna, e lo rilasciò poi. Ed egli se n’andò a Napoli, vi fu di nuovo imprigionato da Gonsalvo e mandato a Spagna; dove fuggito di prigione, fu a Navarra, e finí poi piú degnamente che non meritava, coll’armi in mano [1507]. – Nel 1506 venne il re cattolico al regno di Napoli, e ne ritrasse il Gran capitano che l’avea conquistato, che sopravvisse poi in Ispagna in ozio e disfavore. Giulio II continuò ciò che era buono de’ disegni de’ Borgia, la riduzione de’ signorotti; e vi riuscí meglio, ridusseli quasi tutti, gli stessi Baglioni di Perugia, e i Bentivoglio di Bologna [1506]. Ma per compiere la riunione dello Stato rimanevano a riprendersi a Venezia Ravenna e Cervia usurpate fin dal secolo scorso, Faenza, Rimini e Forlimpopoli ultimamente tra il rovinar di Cesare Borgia. A ciò si volse tutto papa Giulio; aveva ogni ragione, ma proseguilla in mal modo, aggiugnendosi all’ire o piuttosto alle ambizioni di Luigi XII e di Massimiliano. Fin dal 1504 avean costoro firmato un’alleanza per dividersi gli Stati continentali di Venezia, ma non n’avean fatto nulla, finché non vi s’aggiunsero papa Giulio per riaver quelle cittá, e il re cattolico, gli Estensi e i Gonzaga per simili contese od ambizioni di vicinato. Fu firmata la famosa e brutta lega a Cambrai [10 dicembre 1508]. Primi ad assalire furono i francesi coll’armi dal Milanese; seguí il papa coll’armi e con le scomuniche. Contro ai primi stavano a capo d’un esercito di quaranta e piú mila uomini l’Alviano ed il Pitigliano, due de’ piú abili condottieri o piuttosto (perché giá non erano piú cosí indipendenti come gli antichi) capitani d’Italia. Furono vinti da Luigi XII e trenta mila francesi ad Agnadello [14 maggio 1509]; Luigi XII prese in pochi dí tutta la parte sua convenuta. Accorsero quindi tutti gli altri, e presero facilmente le loro. E allora Venezia ridotta all’estremo fu veramente magnanima, prese uno di quei partiti semplici che sono non solamente piú gloriosi sempre, ma sovente piú felici che non le destrezze. Sciolse dall’obbedienza tutti i suoi sudditi di terraferma; ed essi si difesero meglio, e, quando occupati, si sollevarono secondo le occorrenze per se stessi. E Giulio II, satisfatto di riavere sue cittá, si staccò primo dalla lega, fece sua pace addí 24 febbraio 1510; e si rivolse contra i francesi, nascostamente prima, apertamente tra breve. Per ciò chiamò nuovi stranieri, gli svizzeri; i quali, capitanati da un cardinale guerriero e vescovo di Sion, piombarono sul Milanese a mezzo quell’anno, mentre si avanzavano i papalini da Modena, e riavanzavano i veneziani da Verona. Ma i francesi stavano sulle guardie; e poco mancò non prendessero papa Giulio, che, guerriero anch’esso, stava lí vicino a Bologna, e che per la breccia entrò poco appresso alla Mirandola. E qui pure v’ha chi ammira, e vorrebbe imitazioni; non io, che credo un papa debba restar papa, ed abbia altri modi di cacciar barbari dal suo paese. Furono rotti i pontifici a Casalecchio [21 maggio 1511]; ma Giulio perdurò, s’inaspri, fece [5 ottobre] un’altra lega santa con Venezia, svizzeri, Spagna e fino Inghilterra contra Francia. Massimiliano solo rimaneva con questa, ma inutile. In tali strettezze usarono i due l’arme antica contro ai papi, convocarono un concilio a Pisa. Ma un forte esercito spagnuolo sotto al Cardona veniva in aiuto a Giulio II, ed assediava Bologna tornata nuovamente a’ Bentivogli [21 maggio 1511]; e i veneziani riprendean Brescia. Allora apparí per poco una vera meraviglia di arte e virtú militare, un predecessore de’ grandi capitani moderni, Gastone di Foix, nipote del re di Francia, giovane di ventidue anni. Il quale, appena ebbe preso il comando, che ficcatosi in mezzo ai due eserciti nemici, e piombando or sull’uno or sull’altro, addí 7 febbraio respinse gli spagnuoli da Bologna, addí 19 ruppe i veneziani e riprese Brescia, e ritornò quindi sull’esercito spagnuolo e papalino, e li sconfisse a Ravenna [11 aprile]. Ma ivi morí, immortalatosi in pochi mesi. E allora precipitarono i francesi. Massimiliano lasciò passare ventimila svizzeri che scendean alleati a’ veneziani; Spagna e Inghilterra assaliron Francia; Luigi XII richiamò il suo esercito dal Milanese; Massimiliano Sforza, figlio del Moro, fu fatto duca a Milano; in giugno si sollevò Genova e cacciò i francesi. Cosí, toltene alcune castella, furon questi cacciati di tutt’Italia. Ma eran tutt’altro che cacciati tutti i barbari. Abbondavano spagnuoli, tedeschi e svizzeri, e tiranneggiavan cosí, che, per dar loro una ricompensa delle vittorie procacciate alla lega, fu loro abbandonata una delle piu nobili cittá e potenze italiane, Firenze. – Questa fin da poco dopo la vittoria degli «arrabbiati» contro al Savonarola s’era riordinata e posata sotto l’autoritá d’un solo; e (tanto era impossibile oramai un governo piú repubblicano) sotto un Soderini, gonfaloniero a vita [1502], che avea poi retto con bontá, semplicitá, mediocritá. Machiavello era uno de’ due segretari o ministri principali di lui. Tra tutti ed a forza di trattare, barcheggiare, scivolare, eran riusciti ad ottenere che si lasciasse lor riprendere la desiderata Pisa, e l’avean presa [1509]. Ma, se non esclusivamente, eran pur sempre rimasti stretti con Francia; ed ora i vittoriosi di Francia le posero una multa per quella fedeltá. Que’ mercatanti repubblicani che aveano avute velleitá ma non volontá di ordinar armi proprie, secondo il consiglio di Machiavello, e che eran poi gretti e stretti in fatto di danari, ricusarono, indugiarono. Vengono i Medici, cioè (morto giá Piero da parecchi anni) Giuliano e il cardinal Giovanni, ed offrono pagar la multa se fosser fatti signori della cittá. Cardona accetta, varca Appennino, prende, saccheggia Prato; e i fiorentini, spaventati, si sollevano, cacciano Soderini, e accettan i Medici [settembre 1512]. Governarono insieme Giuliano e il cardinal Giovanni. Ma questi per poco; ché, morto papa Giulio addí 21 febbraio 1513, gli successe esso il cardinal Giovanni [11 marzo] con quel nome di Leone X, che, a torto od a ragione, è forse il piú noto, il piú popolare fra quelli di quanti papi furon mai.

5. Leone X [1513-1521]. – Le nature facili, liete, pompose, leggiere, trascurate od anche un po’ spensierate, sogliono piú che l’altre trovar fortuna in vita, e gloria dopo morte. Tal fu, tal sorte ebbe Leone X, del resto non gran principe politico ed ancor meno gran papa. Nato nel 1475, cresciuto tra l’eleganze, le colture, le magnificenze del palazzo Medici e della villa di Careggi; tra Ficino, Poliziano, Pico della Mirandola, Michelangelo, e una turba di minori, ma simili; cardinale a tredici anni; fuoruscitosi in sui diciannove, ma nella porpora, ed ora a Roma, ora alle corti dentro e fuori d’Italia; in colti ozi durante Alessandro VI; poi negli affari, nelle legazioni sotto Giulio II; prigione alla battaglia di Ravenna, ma in breve liberato, ed autor principale della restaurazione di sua casa in sua bella cittá; l’elezione, l’assunzione, l’incoronazione di lui furono veri trionfi. Dopo Alessandro VI, troppo scellerato per essere nemmeno stato protettor d’arti o di lettere, dopo Giulio II, fiero, iroso in queste stesse protezioni, pensi ognuno qual gioia dovesse or sorgere in quella turba di letterati ed artisti che, quasi ballerine tra guerrieri, si frammettevano allora ai feroci invasori, ai cupi politici, ed ai dolenti popoli d’Italia. Quella lieta turba non si vuol perder di memoria mai da chiunque voglia farsi un’idea adeguata di questi tempi singolarissimi. Certo in quelli di PericIe, d’Augusto, né di Ludovico XIV, non fu, o almeno non durò, niun siffatto contrasto di feste e di dolori. Qui la patria era in mano a stranieri; e il principe successor d’Alessandro III e di Giulio II pensava ai nepoti, ai Medici, a far loro Stati in Firenze ed Urbino. Qui sorgeva il sommo degli eresiarchi stati mai dopo Ario; e il pontefice pensava che fosse un frataccio peggio che il Savonarola, e che finirebbe come lui; e proseguiva in quell’abbellir Roma, in quell’edificare, e scolpire, e dipingere, e fare scrivere e rappresentare commedie che avevano scandalezzata la rozza Germania. Insomma, moralmente, politicamente e religiosamente parlando, non sarebbe troppo il dire che fu un vero baccanale di tutte le colture; e se scendessimo ai particolari di sua incoronazione, o, peggio, di ciò che fu allora scritto, rappresentato, dipinto o scolpito in Vaticano, ei parrebbe forse dimostrato a ciascuno. Ma, non avendone luogo, lasceremo che ognuno giudichi secondo le proprie informazioni della severitá del nostro giudicio. – Pochi giorni dopo l’assunzione di Leon X, Luigi XII firmò sua pace con Venezia [24 marzo 1513]; e, cosí assicurato, mandò La Tremoglia e Triulzi a riconquistare Milano contro allo Sforza. Ma vinti i francesi dagli svizzeri presso a Novara [6 giugno], ripassaron l’Alpi; e allora Leon X e gli spagnuoli si rivolsero di nuovo per lo Sforza contra Venezia, e rioccuparono quasi tutto lo Stato di terraferma. Guerreggiossi e trattossi variamente tutto l’anno appresso. Ma morto in gennaio 1514 Luigi XII, e succedutogli Francesco I, principe buono, leggero, facile, gran protettor di lettere ed arti ancor egli, non gran capitano ma gran cavaliero e guerriero, rinnovò l’alleanza con Venezia; e (guardatogli contro dagli svizzeri il passo di Susa) scese per l’Argentiera e Sestriera con un forte esercito a quel Piemonte cosí sovente attraversato, a quella Lombardia cosí sovente riconquistata. Due giorni [13 e 14 settembre] si combatté in Marignano tra’ francesi e gli svizzeri dello Sforza; vinse Francesco I; ventimila cadaveri vi giacquero; il Triulzi, stato a diciotto battaglie, disse, che l’altre eran giuochi da fanciulli, questa battaglia di giganti. Ondeché qui cessa la meraviglia che i venturieri italiani, avvezzi a non ammazzarsi, fosser vinti da tutti questi stranieri che s’ammazzavano cosí davvero. Quindi ritrassersi finalmente gli svizzeri a lor montagne, e noi fummo liberati almen di questi, che fecero l’anno appresso una pace perpetua con Francia. Intanto, ritrattisi anche gli spagnuoli, Lombardia fu di nuovo di Francia, Terraferma di Venezia, e Massimiliano Sforza lasciò il ducato per sempre, e fu a vivere pensionato in Francia, dov’era vivuto e morto prigione il Moro suo padre. E Leon X fece pace col vincitore; ed abboccatosi con lui a Bologna, v’aggiunse poi un concordato, che per secoli regolò le cose di religione di Francia. E il medesimo di che firmò quest’accordo [18 agosto 1516], investi suo nipote Lorenzo di Pier de’ Medici del ducato d’Urbino, tolto pochi mesi addietro a Francesco della Rovere, che aveva pur data l’ospitalitá a’ Medici esiliati. Morto poc’anzi [17 marzo 1516] Giuliano ultimo fratello di Leone, questo Lorenzo era oramai il piú prossimo parente di lui, e governò poi colla solita potenza indeterminata la cittá di Firenze, e come principe il ducato d’Urbino, ritoltogli dal La Rovere e restituitogli l’anno appresso. – Intanto, morto Ferdinando il cattolico re di Spagna ed Indie e Sicilia e Napoli [15 gennaio 1516], e succedutogli Carlo figlio di sua figlia, che fu primo in Ispagna e quinto in Germania e nell’imperio, questi firmava [13 agosto] in Noyon un trattato di pace con Francesco I, al quale aderí in breve pure [4 dicembre] Massimiliano. E cosí finalmente, dopo sette anni, finirono gli scompigli politici e guerrieri sollevati dalla lega di Cambrai. Salvo le cittá di Romagna e del Regno, ripresele fin da principio di quella guerra, Venezia riebbe tutti gli Stati suoi di terraferma; esausti sí, ma che dovetter rifarsi prontamente, ondeché non mi sembra valere tale scusa per quella neutralitá od indifferenza in cui ricominciò a poltrire rispetto agli affari d’Italia. Non furono le forze, furono gli spiriti di lei che si trovarono abbattuti dopo quella guerra, o piuttosto che giá erano quando ella rimase neutrale ed infingarda alla discesa di Carlo VIII, o piuttosto giá dall’antico, tante altre volte che si racchiuse in sua sicurezza delle lagune, tra’ pericoli e i guai dell’indipendenza nazionale. La repubblica di Venezia, indipendente essa, non si curò della indipendenza nazionale, non fu guari italiana mai, se non al tempo della lega lombarda; del resto, sempre strettamente, grettamente veneziana; e se le si voglia cercare una scusa od anche una gloria italiana, non le si può trovar guari a questi tempi se non quella d’averci difesi da’ turchi. Prima di questi, quella politica di lei, che tanti dicono profonda, non può non tacciarsi di leggerissima, per non aver pensato mai a nessuna impresa d’indipendenza, a cui ella sola forse poteva esser capo o centro, che ella piú che l’altre potenze italiane doveva prevedere necessaria. Cosí il languire poi, e decadere, e cadere ultimo di lei, servan d’esempio salutare a qualunque potenza italiana voglia mai isolarsi dagli interessi comuni di tutta insieme la nazione. Ad ogni modo, da quel princi pio del 1517 fino al 152l, i quattro ultimi anni di Leon X furono, relativamente, un tempo di respiro all’Italia, alla cristianitá. – Ma questo fu pure il tempo che sorse di piccoli principi quello che fu poi cosí gran danno alla Chiesa, alla cristianitá, e, politicamente parlando, all’Italia forse piú che a nessuno. Leon X bandí nel 1516 alcune indulgenze da predicarsi, e pur troppo, diciam la parola, da vendersi, o farsi o lasciarsi pagare in Germania, e il cui prodotto doveva servir all’edificazione di San Pietro. N’ebber carico i frati predicatori. Lutero, uno degli agostiniani soliti averlo, si sollevò poi contro a quelle, contro a tutte le indulgenze [3l ottobre 1517], poi contro alla curia romana, contro al papa, e finalmente contro all’infallibilitá, all’unitá, contro a questo e a quel domma, andamento solito di tutti i capi di setta. Denunciato a Roma, condannato, si sottomise; poi ritrattò la sommessione, disputò co’ legati, scrisse, riscrisse, fece discepoli, e fu ricondannato solennemente [15 giugno 1520]; ed ei solennemente bruciò la bolla [10 dicembre], assistente e gia aiutante il popolo di Wittemberga. Era incominciata quella Riforma, quella divisione della Chiesa, che non è vero (né a noi italiani può esser dubbio) introducesse nella cristianitá né la libertá politica né la filosofica, le quali avevamo noi da secoli; che non introdusse se non quella libertá del credere, la quale non può essere in una religione vera rivelata; che, del resto, preoccupò per un secolo e piú quasi esclusivamente la cristianitá, che la distrasse dalle opere migliori, che ritardò i progressi di lei in Germania, in Francia e in quel popolo britannico, dov’oggi ancora ella ritarda l’unione dell’imperio. All’Italia poi ella fu origine d’un male nuovo allora, e forse non cessato. Dalla Riforma, dal bisogno, e diciam pure dal dover de’ papi di rivolgersi contro essa in Germania, incominciò quel loro accostarsi agli imperatori, che fu cosí contrario a tutte le tradizioni, che senza tale scusa sarebbe stato contrario alla natura stessa del papato. – E ciò si vide forse fin da questi primi anni della Riforma, ultimi di Leone X. Perciocché, morto Massimiliano [19 gennaio 1519] ed elettogli a successore Carlo figlio di suo figlio, giá re di Castiglia e delle Indie, d’Aragona e delle Due Sicilie, signor di Borgogna e de’ Paesi bassi, sorse in breve gelosia, contesa e guerra tra lui e Francesco I di Francia, competitore di lui per l’imperio. Era naturale, era tradizionale, che il papa s’opponesse alla potenza imperiale, risalente col possesso unito delle Due Sicilie a ciò che era stata sotto ai due Federighi Svevi, e minacciante salire, come salí, piú su. Né Leon X o la coltissima curia romana erano uomini da ignorare o trascurare tali memorie; e si accostarono dapprima a Francesco I. Ma tra breve, fosse giá quella nuova necessità spirituale della politica pontificia, fosse ambizione di Leone, che volesse avere (per sé o per casa Medici) Parma e Piacenza tenute un tempo da Giulio II ed or da Carlo V, il fatto sta che ei s’alleò con questo [8 maggio 1521]. Da quel dí, e salvo pochissime eccezioni furono sempre imperiali, austriaci i papi, abbandonarono quella causa nazionale che avea fatti grandi come principi e come pontefici Gregorio VII, Alessandro III, i due Innocenzi III e IV principalmente, e tanti altri tra essi. E molti buoni papi furono d’allora in poi certamente; ma 1 1 Nella edizione di novembre 1846 era qui quest’aggiunta, quest’eccezione: «(fino al giugno 1846)». Così ora nel 1850 la potess’io lasciare! Così poi ripentirmi, e riporla a luogo suo! nessuno che sia potuto dirsi grande politico, nemmeno dagli scrittori tutto ecclesiastici. E Leon X incominciò subito la impolitica guerra. Riuniti gli eserciti pontificio e spagnuolo sotto Prospero Colonna e il marchese di Pescara, entrarono addí 19 novembre in Milano, ove fu posto duca Francesco Sforza ultimo figliuolo del Moro. Leon X n’udì la nuova, e morí subitamente il I dicembre seguente 1521. – Mortogli nel 1519 il nipote Lorenzo, avea riunito agli Stati della Chiesa il ducato d’Urbino. Leone era l’ultimo o penultimo discendente legittimo di Cosimo padre della patria; disputandosi se fosse legittimo o no il figliuolo dell’antico Giuliano ucciso nella congiura de’ Pazzi, Giulio or cardinale posto a governo di Firenze dopo la morte di Lorenzo, e che fu in breve papa Clemente VII. Di Leone resterebbero a narrare e disputare alcune crudeltà e perfidie contro a cardinali e signorotti. Ad ogni modo, furon poche rispetto al tempo.

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