– I fiorentini tentavano intanto riordinar lor repubblica sgombra di Medici; ma eran divisi in parti, non piú nazionale o straniera, né per il papa o l’imperatore, per l’aristocrazia o la democrazia, per la repubblica o la signoria, ma pro e contro un frate domenicano, Gerolamo Savonarola. Costui, zelante, costumato, austero a sé, aspro ad altrui, in tempi corrotti, avea colle prediche politiche tratti molti a sé, vivente ancora Lorenzo. Era stato chiamato al letto di questo morente, e dicesi non l’avesse voluto assolvere, perché Lorenzo non voleva restituire la repubblica, a modo di lui il frate. Avea profetato malanni, castighi di Dio, francesi; ed or pendeva a questi che avean adempiute sue profezie. I suoi partigiani chiamaronsi «piagnoni»; i contrari, gente di mondo, gentiluomini i pií, «arrabbiati»; i medii, piú o men desiderosi de’ Medici, «bigi,» e poi «palleschi»; nomi e parti del paro ignobili. I particolari del tempo son vere commedie; il fine, tragedia barbarissima, da medio evo che ancor fiorisse. Contrario al frate riformator di costumi e disciplina ecclesiastica era Alessandro VI, naturalmente. Gli proibí di predicare. Il frate obbedí per poco; poi ricominciò, e contro al papa. Allora uscirono da sé, o fecersi uscire contra lui altri frati; prima un agostiniano, poi un francescano, Francesco di Puglia, il quale propose una di quelle stoltezze od empietá parecchie volte condannate dalla Chiesa, un giudicio di Dio: che passassero egli fra Francesco e il Savonarola tra una catasta ardente; e chi passasse illeso, quegli vincesse. Savonarola non volle, ma s’offri per lui fra Domenico suo confratello. Appuntossi il dí 7 aprile 1498; grande aspettativa, grand’apparecchio, gran concorso. Ma venuti al duello i due frati, fecero come chi vuole e disvuole, attaccaron disputa sul modo: cioè (quasi profanazione al dirne), sul Sacramento, che il domenicano volea portar con sé tra le fiamme, e il francescano non voleva. Non se ne fece altro. Il popolaccio beffato infuriò, gli «arrabbiati» si sollevarono; e al dí appresso diedero l’assalto al convento di San Marco, e fecer prigioni fra Gerolamo, fra Domenico, e un terzo, fra Silvestro. I quali poi furono in pochi dí interrogati, torturati, condannati, ed arsi in piazza [23 maggio]. – Di Savonarola chi fa un santo, chi un eresiarca precursor di Lutero, chi un eroe di libertá. Ma son sogni: i veri santi non si servon del tempio a negozi umani; i veri eretici non muoiono nel seno della Chiesa, come morí, benché perseguitato, Savonarola; e i veri eroi di libertá sono un po’ piú sodi, non si perdono in chiasso come lui. Fu un entusiasta di buon conto; e che sarebbe stato forse di buon pro, se si fosse ecclesiasticamente contentato di predicare contro alle crescenti corruttele della spensierata Italia. – Alla quale, come tale, ripullulavano le occasioni di perdizioni. Al dí appunto della festa fallita in Firenze, era morto Carlo VIII, era salito al trono di Francia Luigi XII, quel duca di Orléans che giá dicemmo pretender a Milano come discendente d’una Visconti, e che or pretese a Napoli come re di Francia, successore ai diritti degli ultimi Angioini. Se gli fosse riuscito il tutto, incominciava fin d’allora, e a pro di Francia, quella unione dei due grandi Stati italiani di settentrione e mezzodí, la quale sessant’anni dopo die’ l’Italia legata in mano a Spagna. Luigi XII non era avventato come Carlo VIII; era anzi principe prudente, destro, politico, e in Francia cosí buono che n’ebbe nome di «padre del popolo». Eppure, anch’egli ebbe le maledizioni d’Italia; tanto i migliori a casa son cattivi fuori! Non attese dapprima se non a Milano; e que’ veneziani che s’eran sollevati contro Carlo VIII, si collegaron ora con Luigi XII per il misero acquisto di Cremona e Ghiara d’Adda [trattato di Blois, 15 aprile 1499]. Chiaro è: que’ vantatissimi politici non ebber forse mai, non aveano certo piú niuna politica vera, lunga, propriamente detta, ma solamente abilitá alla giornata; quella vantata aristocrazia non aveva piú l’aristocratica virtú della costanza, ma solamente l’aristocratico istinto della propria conservazione. E legossi pure con Luigi XII Alessandro VI, per far suo infame figliuolo Cesare Borgia duca di Valenza in Francia e di Romagna in Italia. E lasciaron fare, Massimiliano distratto in Germania, e Federigo III di Napoli mal fermo nel nuovo regno. Cosí da Asti, giá sua, Luigi XII assalí il ducato; ed alle prime fazioni sbandaronsi le truppe del Moro, che fuggí in Germania; e Luigi entrò in Milano [2 ottobre 1499], e tutto il ducato con Genova furono di lui. Ma tornato esso in Francia, e riposando i francesi lasciati nella conquista, ritorna il Moro con un esercito di svizzeri e fuorusciti, e riprende Como, Milano, Parma, Pavia, Novara. Arriva La Tremoglia con un nuovo esercito di francesi e svizzeri. Svizzeri di qua, svizzeri di lá, dicesi ricevessero da lor paese ordine di non combattersi. Ad ogni modo quelli dello Sforza lasciano in mano agli altri e a La Tremoglia i lor compagni italiani, i Sanseverino lor capitani, e finalmente lo Sforza; e poi risalgono a lor monti saccheggiando per via. Cosí il Moro, traditore tradito, fu preso, tratto a Francia e tenuto poi dieci anni al castello di Loches, finché vi morí disprezzato, dimenticato. E Milano e il ducato ridiventarono francesi tranquillamente per parecchi anni. – Intanto Luigi XII aveva giá apparecchiato l’acquisto di Napoli in questo modo. Addí 11 novembre 1500, in Granata erasi firmato un trattato tra lui e Ferdinando il cattolico, parente e protettore di Federigo III, re di Napoli; ed eravisi concertato che i francesi assalirebbono il Regno, che gli spagnuoli accorrerebbero a difenderlo, e che prima d’incontrarsi, lo spartirebbono. Certo costoro eran contemporanei non del tutto indegni del Moro, di Alessandro VI e di Cesare Borgia. Effettuossi l’accordo. Nella state del 1501, entrarono per la frontiera settentrionale del Regno il duca di Nemours co’ francesi, e per le Calabrie Gonzalvo il Gran capitano, che macchiò sue glorie in quest’infamie. Federigo il misero re, tradito e ridotto agli ultimi, scelse capitolar co’ nemici vecchi anziché con gli amici traditori, e diessi in mano a’ francesi che il trassero a Torsi dove morí nel 1504. Cosí finí il primo regno indipendente di Napoli; e andò a riunirsi a Sicilia, nella servitú straniera, per due secoli e mezzo. – Intanto, e naturalmente, disputaronsi i ladroni per le spoglie. Corso appena un anno [1502], ruppesi guerra tra francesi e spagnuoli. Combattutosi variamente dapprima, furono sconfitti i francesi a Seminara e Cerignola [aprile 1503]. E sceso un altro esercito francese, fu vinto pur esso al Garigliano al fine del medesimo anno dal Gran capitano; e tutto il Regno rimase fin d’allora spagnuolo. – Nell’agosto era morto papa Borgia. La brevitá cosí sovente tormentante di questo sunto ci serve qui, dispensandoci dal dire le dissolutezze, le rapine, i tradimenti, i veleni, le crudeltá di tutta quella famiglia. Tanto piú che tutto ciò fu bensí il sommo della perversitá di quei tempi perversi, ma non ne fu mutato essenzialmente né durevolmente quasi nulla in Italia. Fu progetto di Alessandro e del figlio distrurre i signorotti, i vicari pontefici che signoreggiavano nelle cittá della Chiesa, i Colonna ed Orsini intorno a Roma, i Varani in Camerino, i Freducci in Fermo, i Trinci in Foligno, i La Rovere in Sinigaglia ed Urbino, i Baglioni in Perugia, i Vitelli in Cittá di Castello, gli Sforza in Pesaro, i Malatesta in Rimini, i Riario in Imola, gli Ordelaffi in Forlí, i Manfredi in Faenza, i Bentivoglio in Bologna e gli Estensi in Ferrara. Cesare Borgia doveva rimanerne duca di Romagna. Ma con tutte le loro male arti sofferte od aiutate dalle potenze italiane e straniere, a che riuscirono? Assassinarono signorotti, riunirono poche signorie, e non durò il ducato. E meraviglia che Machiavello ed altri di que’ tempi ammirasser costoro. Se non che, la Dio mercé, e che che si dica, anche la scienza politica è progredita d’allora in poi: il Machiavello de’ nostri tempi ha professato che le scelleratezze sogliono essere non solamente delitti, ma errori. Cosí fosse ben imparato e tenuto fermo in Italia. Dicesi che Alessandro VI istituisse la censura ecclesiastica de’ libri [1 giugno 1502]; ma ei non fece che applicarla a’ libri stampati. E il fatto sta che ella esistette sempre, ed esiste in qualunque chiesa, anche acattolica, voglia mantenere i suoi dommi. La cattiva imitazione, poi, delle censure politiche nacque molto piú tardi. Dicesi morisse Alessandro di un veleno apparecchiato a’ suoi nemici, e preso da lui e dal figliuolo che ne rimase infermo, e incapace di provvedere ai fatti suoi durante la vacanza della Sede. – La sola buona opera italiana di questo tempo, fu la guerra sostenuta da Venezia contro a’ turchi nel Friuli, in Grecia, in mare, dal 1499 al 1503, in che fecesi pace. S’allega a scusa dell’aver cosí mal provveduto Venezia in quegli anni all’indipendenza d’Italia; non serve ad ogni modo per gli anni addietro. Tutti gli italiani furono colpevoli, in somma, che la penisola libera di stranieri (e si può dir degli imperatori stessi) dieci anni addietro, fosse ora tutta occupata da essi, salvo Venezia, Toscana, e gli Stati del papa.
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