Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4
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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4: краткое содержание, описание и аннотация
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Intanto il Cancelliero, dopo aver dato il guasto al territorio di Benevento sino alle mura della città, tentò di sorprenderla: ma difesa con molto valore da' Beneventani, i quali uccisero il lor Arcivescovo per averlo scoverto amico e partegiano di Guglielmo, obbligarono il Cancelliero a cingerla di stretto assedio; il quale tuttavia durando, alcuni Baroni mal contenti del governo presente, istigati ancora dal Papa, si ribellarono da lui, ed entrarono dentro Benevento, ed altri senza tor commiato si partirono dal campo; per la qual cosa dividendosi l'esercito, si tolse l'assedio [4] . Ugo Falcan. Capecelatr. lib. 2.
. Il Conte Roberto di Bassavilla pieno d'ira e di mal talento ritornossene a dietro in Puglia, poich'essendo stato, mentr'era il Re in Salerno, per visitarlo, fu per opra di Majone sì mal veduto ed accolto, che il Re nè meno volle parlargli. Onde il Cancelliero con la gente che gli era rimasa, e con altra che assoldò nuovamente, passossene in Campagna di Roma, dove prese e brugiò Cepparano, Bacucco, Frusinone, Arce, ed altri luoghi vicini; e poscia ritornando nel Regno fece abbattere le mura d'Aquino, Pontecorvo, ed altre Castella de' Padri di Monte Cassino [5] . Anon. Cassin. in Chr. fol. 141.
partegiani del Papa, e cacciatine altresì tutti i Frati, eccetto dodici, che vi lasciò alla cura della Chiesa, fece ritorno in Capua, ove fermossi in compagnia del Conte Simone, con intenzione di star colà in guardia del Regno, così per impedire ogni movimento, che avesser potuto fare i Baroni, i quali eran da pertutto fieramente turbati dalla potenza dell'Ammiraglio, non ben discernendo se egli, o Guglielmo era Re di Sicilia; ma più ancora per impedire un nuovo turbine di guerra, che soprastavagli, poich'era precorsa voce, che l'Imperador Federico Barbarossa con grande oste di Alemagna calava in Italia.
§. I. L'Imperador Federico I , fa lega con Emanuele Comneno Imperadore d'Oriente, e move guerra col Papa al Re Guglielmo
Era Federico non altrimenti, che i suoi Predecessori inimico implacabile de' Normanni, e non meno che furono Lotario, Errico e Corrado contro Ruggiero, così egli avea drizzati i suoi pensieri per discacciar Guglielmo dalla Puglia e dalla Sicilia, riputandolo come usurpatore delle province dell'Imperio. Niun Imperadore ebbe sì alti concetti dell'Imperio restituito da Carlo Magno in Occidente, quanto costui: egli si reputava un altro Ottaviano Augusto; e che tutte le province, ch'erano prima di quel vasto Imperio, fussero pure nell'Asia, o nell'Affrica, o in qualunque altra più remota parte del Mondo, appartenessero al suo Imperio, e che perciò avesse bastante dritto di cacciarne gl'invasori; e si vide chiaro, quando avendo il Saladino occupati molti luoghi della Siria, non si ritenne, prima di movergli guerra, di minacciarlo se non restituiva que' luoghi, con una terribile lettera, che volle scrivergli, rapportata negli Annali d'Inghilterra di Ruggiero e di Matteo Paris, nella quale fra gli altri vanti e rodomontate gli scrisse: ch'egli non poteva dissimular di sapere, come ambedue l'Etiopie, la Mauritania, la Persia, la Siria, la Parzia, ove Marco Crasso (che lo chiama suo Dittatore) morì, la Giudea, la Samaria, l'Arabia, la Caldea e l'istesso Egitto, ove Antonio effeminossi con Cleopatra, l'Armenia ed innumerabili altre province, erano soggette al suo Imperio. Ma il Saladino gli rispose con non minor arroganza ed orgoglio del suo, siccome si vede dalla risposta, che vien anche rapportata da' medesimi Scrittori. Conobbesi ancora, che niun'altro Imperadore prima di lui ebbe quella fantasia di creare tanti Re onorari, come fece egli, il quale inviò la spada e la Corona regale a Pietro Re di Danimarca, attribuendogli il nome di Re, al Duca d'Austria, ed al Duca di Boemia, come abbiam narrato nel precedente libro.
E fu cotanto a lui perniziosa questa boria di credersi Signore di tutto il Mondo, anche delle città e luoghi particolari, che per aver, secondo queste idee (fomentate ancora dal lusingator Martino nostro Giureconsulto) voluto imporre leggi e condizioni molto rigorose alla Nobiltà ed alle città d'Italia, se gli ribellò contro tutta la Lombardia, onde nacque la ruina di Milano, come qui a poco vedremo.
Per queste massime egli reputava Guglielmo invasore, ed ingiusto usurpatore non meno della Puglia, che della Sicilia, proccurava perciò tutti i mezzi, ed impiegava tutti i suoi sforzi per discacciar questo inimico della sua sede; ma considerando che per se solo non poteva conseguirlo; poichè se bene per la conquista del Regno di Puglia potesse unire un conveniente esercito, e far l'impresa per terra; nulladimanco, non avendo armate di mare, era impossibile tentar l'impresa di Sicilia: perciò sin dall'anno precedente 1154, dopo aver intimata una Dieta a Ratisbona, avea mandati Ambasciadori all'Imperador Emanuele Comneno, affinchè conchiudesse con esso lui la lega contro Guglielmo [6] . Sigon. de Regn. Ital. p. 287.
. Questi non meno che Federico mal soffriva l'ingrandimento de' Re normanni, i quali non contenti d'avergli tolta la Sicilia, ponevan anche nella Grecia il lor piede; ed insino alle porte di Costantinopoli s'erano stesi. Guglielmo si vide in mezzo a due potenti inimici insieme uniti e collegati. Ed era cosa veramente da ammirare, che Federico da un canto millantava al suo Imperio d'Occidente appartenersi i Regni di Guglielmo; e dall'altra parte Emanuele minacciava, ch'egli ed i suoi Romani non si sarebbero mai astenuti di portar guerra in Italia, insino che quella e l'intera isola di Sicilia non saranno restituite al suo Imperio, donde furon divelte [7] . Jo. Cinuamus hist. Comnena, lib. 4.
. Proccurò ancora Federico collegarsi co' Pisani potenti allora in mare, che parimente contro Guglielmo si mossero; il qual implicato ancora nella guerra, che avea mossa al Papa, ed insospettito della fedeltà dei suoi Baroni, si vide in tanta costernazione e malinconia, che abborrendo chiunque veniva da lui, stava sempre solo racchiuso nel suo palazzo, trattando solamente con Majone e con l'Arcivescovo, da' quali intendeva gli affari del Reame, non come conveniva, ma come meglio a' loro disegni si confaceva. E Majone intanto vedendo non potersi aspettar miglior tempo, che quello che correa per condurre a fine i suoi lunghi divisamenti, fece credere al Re, che il Conte erasi ritirato in Puglia pien di mal talento, non per altro, se non perchè aspirava al Regno in virtù di certo testamento di Ruggiero, ove dicea che succedesse costui in caso che il figliuolo Guglielmo non fosse stato atto a governare i suoi Regni; e perciò scrisse ad Asclettino, che lo chiamasse a Capua, e giuntovi il facesse prigione, inviandolo sotto buona custodia a Palermo. Ma insospettito prima il Conte di tal chiamata, e poi avvedutosi dell'inganno, resistè al Cancelliero, che in nome del Re gli comandava, che avesse consignati tutti i suoi soldati al Conte Boemondo, dicendogli tutto cruccioso, che quel comandamento era di matto o di traditore, e non volendone far nulla, si partì di Puglia, e con tutta la sua gente n'andò in Apruzzi. Proccurò ancora Majone nell'istesso tempo, non bastandogli questo, che il Conte Simone parimente ruinasse; poichè fatta ad arte insorgere tra lui, ed il Cancelliere gara, e nato tumulto fra i soldati, tal avvenimento in Corte non com'era stato, ma come a lui piacque, descrisse, aggiungendovi, che il Conte era cagione di que' disturbi, e che ei trattava negozi di molta importanza col Conte Roberto, a cui egli mandava perciò secreti messi: queste lettere bastarono a Majone di far credere al Re che il Conte Simone insieme col Conte Roberto con molti altri congiurassero contro la sua persona per torgli il Regno; onde Guglielmo, ch'era sempre in sospetto de' suoi più stretti parenti, chiamò il Conte in Palermo, e senza dargli tempo da potere addurre cosa alcuna in difesa della sua innocenza, lo fece imprigionare con indignazione di tutti contro l'Ammiraglio, per opera di cui ogni malvagità si vedeva avvenire.
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