Volodyk - Paolini1-Eragon.doc

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Ben presto si definì una confortevole serie di abitudini. Ogni mattina Eragon andava all'albero e dava da mangiare al drago; poi tornava in fretta a casa. Si dedicava con impegno ai suoi diversi compiti per finire presto e tornare dal drago. Garrow e Roran notarono il suo comportamento e gli domandarono come mai passava tanto tempo fuori. Lui si limitò a scrollare le spalle, ma da quel momento cominciò a controllare che nessuno lo seguisse.

Dopo i primi giorni, cessò di preoccuparsi che al drago potesse capitare una disgrazia. La sua crescita fu esplosiva: ancora qualche tempo e sarebbe stato al sicuro da quasi tutti i pericoli. Raddoppiò di taglia nella prima settimana. Quattro giorni dopo gli arrivava al ginocchio. Non entrava più nella piccola capanna sul sorbo, e così Eragon fu costretto a inventare un nuovo rifugio nascosto, sul terreno. Gli ci vollero tre giorni.

Quando il drago ebbe due settimane, dovette lasciarlo libero di vagare da solo, perché aveva bisogno di molto più cibo. La prima volta che lo slegò, fu solo grazie alla volontà che gli impedì di seguirlo alla fattoria. Ogni volta che la creatura tentava di farlo, lui la respingeva con la mente, finché il drago non imparò a evitare la casa e i suoi abitanti.

Eragon fece capire al drago l'importanza di cacciare soltanto sulla Grande Dorsale, dove erano minori le probabilità di essere visto. I contadini l'avrebbero certo notato, se dalla Valle Palancar cominciava a sparire la selvaggina. Quando il drago si allontanava, Eragon si sentiva più sicuro, ma anche più inquieto.

Il contatto mentale che aveva con la creatura si rafforzava giorno dopo giorno; scoprì che, sebbene il drago non comprendesse le sue parole, poteva comunicare con lui attraverso immagini o emozioni. Certo, era un metodo approssimativo, che si prestava agli equivoci. Nel frattempo, il raggio entro cui potevano toccarsi la mente a vicenda si espandeva in fretta; Eragon riusciva ormai a mettersi in contatto con il drago a una distanza di tre leghe. Lo faceva spesso e il drago, a sua volta, gli sfiorava piano la mente. Queste mute conversazioni gli riempivano le ore di lavoro; c'era sempre una piccola parte di lui connessa con il drago, ignorata a volte, però mai dimenticata. Quando parlava con altre persone, il contatto lo distraeva, come una mosca che gli ronzasse nell'orecchio. Via via che il drago maturava, i suoi squittii divennero ruggiti, e il debole mormorio di gola un cupo rombo: eppure non sputava ancora fuoco, e questo impensieriva Eragon. Lo aveva visto sbuffare fumo, quando era nervoso, ma una fiammella mai.

Alla fine del mese, la spalla del drago arrivava al gomito di Eragon. In quel breve arco di tempo, si era trasformato da una piccola e indifesa creatura in una bestia possente. Le sue squame erano dure come maglie di un'armatura, le zanne affilate come pugnali.

Eragon faceva lunghe passeggiate la sera, con il drago che gli trotterellava accanto. Quando trovavano una radura, lui si sedeva con la schiena contro un albero e osservava il drago librarsi in aria. Amava vederlo volare e si rammaricava che non fosse ancora abbastanza grande da poter essere cavalcato. Spesso si sedeva accanto al drago e gli massaggiava il collo; sentiva i nervi e i muscoli contrarsi sotto le sue dita.

Malgrado gli sforzi di Eragon, il bosco intorno alla fattoria prese a riempirsi di indizi dell'esistenza del drago. Èra impossibile cancellare tutte le enormi impronte nella neve, e il ragazzo non provò neppure a seppellire le montagne di escrementi che il drago disseminava ovunque. L'animale si grattava contro gli alberi, strappando lunghi brandelli di corteccia, e si affilava gli artigli sui tronchi abbattuti, incidendo solchi profondi. Se Garrow o Roran si fossero avventurati nella foresta ai margini della fattoria, lo avrebbero scoperto. Eragon non riusciva a immaginare modo peggiore per venire a conoscere la verità; così decise di giocare d'anticipo e spiegare tutto.

Ma prima voleva fare due cose: dare al drago un nome adeguato e imparare quante più cose possibili sui draghi, E per questo doveva parlare con Brom, maestro di epica e di leggende, gli unici luoghi dove sopravvivevano le tradizioni dei draghi.

E così, quando Roran decise di andare a Carvahàll per farsi riparare uno scalpello, Eragon si offrì di accompagnarlo.

La sera prima di partire, Eragon andò in una piccola radura nella foresta e chiamò il drago col pensiero. Dopo un istante, scorse un puntino lontano nel cielo scuro. Il drago scese in picchiata verso di lui, frenò all'improvviso e rimase sospeso sulle chiome degli alberi, Eragon udì il basso sibilo dell'aria contro le sue ali. La creatura calò in lente spirali e atterrò alla sua sinistra con un tonfo discreto, agitando le ali per recuperare l'equilibrio.

Eragon dilatò la mente, non ancora del tutto abituato a quella strana sensazione, e disse al drago che stava partendo. Il drago sbuffò, irrequieto. Il ragazzo cercò di calmarlo con un'immagine mentale rassicurante, ma il drago frustò l'aria con la coda, insoddisfatto, Eragon gli posò una mano sulla spalla, sforzandosi di emanare pace e serenità. Le squame si gonfiarono sotto le sue dita. Una sola parola risuonò nella sua mente, limpida e profonda.

Eragon.

Era solenne e triste, come se fosse stato appena suggellato un patto. Guardò il drago e si sentì formicolare il braccio.

Eragon.

Si sentì lo stomaco stretto in una morsa mentre gli occhi color zaffiro lo scrutavano, insondabili. Per la prima volta non pensò al drago come a un animale. Era qualcos'altro, qualcosa di diverso. Si alzò e tornò a casa di corsa, cercando di sfuggire al drago. Il mio drago.

Eragon.

TÉ PER DUE

R

oran ed Eragon si separarono alla periferia di Carvahall. Eragon s'incamminò lentamente verso ria casa di Brom, immerso nei propri pensieri. Giunto sulla soglia, alzò una mano per bussare.

Una voce gracchiò: «Che cosa vuoi, figliolo?»

Eragon si volse di scatto. Alle sue spalle c'era Brom, appoggiato a un lungo bastone ricurvo, adorno di strani intagli. Indossava un mantello marrone col. cappuccio, come quello di un frate. Dalla logora cintura di pelle gli pendeva una bisaccia. Il volto era dominato dal naso adunco, che ombreggiava la lunga barba bianca; gli occhi erano incassati sotto la fronte sporgente. Scrutò Eragon, in attesa di una risposta.

«Informazioni» disse Eragon. «Roran è andato a farsi riparare uno scalpello, e io ho un po' di tempo libero. Sono venuto a farti alcune domande.»

Il vecchio tese la mano destra verso la porta, borbottando qualcosa. Eragon notò un anello d'oro scintillare sulle sue dita, e la luce si riflette sullo zaffiro incastonato, mettendo in risalto lo strano simbolo che vi era inciso. «Vieni; dentro potremo parlare meglio. Le tue domande sembrano non avere mai fine.» L'interno della casa era più nero del carbone, e l'aria era satura di un odore acre. «Facciamo un po' di luce.» Eragon sentì il vecchio muoversi, poi lanciare un'imprecazione mentre qualcosa cadeva. «Ecco fatto.» Balenò una scintilla; una fiammella si accese.

Brom era in piedi accanto a un caminetto di pietra e reggeva una candela. Pile di libri circondavano uno scranno di legno intagliato con un alto schienale e le zampe a forma di artigli d'aquila. Il sedile e lo schienale erano rivestiti di pelle incisa secondo un motivo spiraleggiante di rose. C'erano altre piccole sedie sparse per la stanza, sepolte sotto cumuli di pergamene; lo scrittoio era invaso da una serie di calamai e penne sparse. «Siediti dove vuoi, ma in nome dei re perduti, stai attento . Questa roba è preziosa.»

Eragon scavalcò un mucchio di pagine ingiallite coperte di rune. Spostò con cautela alcune pergamene crepitanti da una sedia e le posò a terra. Quando si sedette, si levò una nuvola di polvere. Soffocò uno starnuto.

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