Volodyk - Paolini2-Eldest

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Eragon assentì, ripensando alla scena che aveva lasciato la sera prima: Orik che correva da re Rothgar per annunciargli la triste novella, Jòrmundur che scortava il corpo di Ajihad dove avrebbe riposato fino alle esequie, e Arya che restava da sola a osservare quanto le accadeva intorno.

Eragon si alzò e prese sia Zar'roc che l'arco, poi si chinò a raccogliere la sella di Saphira. Una fitta lancinante gli percorse la spina dorsale; crollò a terra in preda alle convulsioni, con le braccia che annaspavano cercando di toccare la schiena. Era come se lo stessero segando in due. Saphira ringhiò quando fu raggiunta dalla sensazione straziante. Cercò di alleviare il dolore del giovane con la propria mente, ma senza esito. L'istinto la portò a sollevare di scatto la coda, come pronta a combattere.

L'attacco durò alcuni minuti per poi ridursi a una serie di spasmi sempre più lievi, lasciando Eragon boccheggiante. Aveva il volto madido di sudore, i capelli incollati alla testa e gli occhi che gli bruciavano. Piegò indietro il braccio e cercò a tastoni la parte superiore della cicatrice. Era bollente, infiammata e sensibile al tatto. Saphira abbassò il muso e gli sfiorò il braccio. Oh, piccolo mio...

È stata la crisi peggiore, disse lui, rialzandosi a fatica. La dragonessa lasciò che Eragon si appoggiasse a lei, mentre si asciugava il sudore con un telo per poi avviarsi barcollante alla porta.

Ti senti abbastanza in forze per andare?

Dobbiamo. È nostro obbligo, in quanto drago e Cavaliere, rendere una dichiarazione pubblica in merito alla scelta del prossimo capo dei Varden, e forse addirittura influenzarla. Non posso ignorare l'importanza della nostra posizione; ormai esercitiamo una grande autorità sui Varden. Se non altro, non ci sono i Gemelli a rivendicare la stessa posizione. È l'unica nota positiva in questa tragedia.

D'accordo, allora, ma Durza si meriterebbe mille anni di tormenti per ciò che ti ha fatto.

Eragon borbottò un assenso. Ma tu stammi vicina.

Insieme si avviarono nel dedalo di corridoi di Tronjheim, diretti alla cucina più vicina. La gente si fermava e s'inchinava al loro passaggio, mormorando "Argetlam" o "Ammazzaspettri". Perfino i nani accennavano il gesto, anche se non così spesso. Eragon rimase colpito dalle espressioni tetre e malinconiche degli umani, e dagli abiti scuri che indossavano in segno di lutto. Molte donne erano vestite di nero da capo a piedi, con veli di merletto drappeggiati sul viso. In cucina, Eragon prese un piatto di pietra colmo di cibo e si sedette a un tavolino basso. Saphira lo osservava con attenzione, nel caso gli venisse un'altra crisi. Molte persone provarono ad avvicinarsi, ma lei le tenne a distanza sollevando un labbro e ringhiando piano, chiaro monito a non fare un altro passo. Eragon fingeva di ignorare gli intrusi e piluccava il cibo. Alla fine, nel tentativo di distogliere la mente da Murtagh, chiese: Chi credi abbia i mezzi per controllare i Varden, ora che Ajihad e i Gemelli sono morti?

Saphira esitò. È possibile che sia tu, se le ultime parole di Ajihad devono essere interpretate come una benedizione a garanzia della successione. Non credo che qualcuno oserebbe opporsi. Tuttavia, non mi pare la giusta via da percorrere. Prevedo soltanto guai da quella parte.

Sono d'accordo. Tanto più che Arya non approverebbe, e potrebbe addirittura rivelarsi un pericoloso nemico. Gli elfi non possono mentire nell'antica lingua, ma non hanno scrupoli a farlo nella nostra... Arriverebbe perfino a negare che Ajihad abbia mai pronunciato quelle parole, se dovesse servire ai suoi scopi. No, non voglio quell'incarico... Che ne dici di Jormundur?

Ajihad lo chiamava il suo braccio destro. Purtroppo non sappiamo molto di lui o degli altri capi dei Varden. È passato troppo poco tempo da quando siamo arrivati qui. Dovremo esprìmere il nostro parere basandoci sulle nostre sensazioni e impressioni, senza il beneficio della storia.

Eragon spappolò tra le dita un grumo di crema di tubero. Non dimenticare Rothgar e i clan dei nani; non se ne staranno in disparte. Salvo Arya, gli elfi non potranno interferire nella successione... sarà presa una decisione prima che una sola parola di tutto questo li raggiunga. Ma non si possono ignorare i nani. Rothgar appoggia i Varden, ma se incontra l'opposizione di un numero sufficiente di clan, potrebbe essere indotto a sostenere qualcuno inadeguato al comando. E chi potrebbe essere?

Una persona facilmente manovrabile. Eragon chiuse gli occhi e appoggiò la schiena al muro. Potrebbe essere chiunque nel Farthen Dùr. Chiunque.

Per lunghi minuti rimasero in silenzio a riflettere su quanto li aspettava. Poi Saphira disse: Eragon, c'è qualcuno che vuole vederti. Non riesco a mandarlo via.

Eh? Eragon socchiuse piano gli occhi, per abituarli alla luce. Davanti al tavolo c'era un ragazzino pallido, che scrutava di continuo Saphira come se temesse di essere divorato da un momento all'altro.

«Cosa c'è?» chiese Eragon, brusco ma non scortese.

Il ragazzino trasalì, avvampò e s'inchinò con deferenza. «Sei stato convocato, Argetlam, al cospetto del Consiglio degli Anziani.»

«Chi sono?»

La domanda confuse ancor di più il ragazzo. «Il... il Consiglio è... sono... persone che noi... voglio dire i Varden... abbiamo scelto per parlare in nostra vece davanti ad Ajihad. Erano i suoi fidati consiglieri, e adesso desiderano vederti. È un grande onore!» concluse con un fugace sorriso. «Sarai tu a condurmi da loro?»

«Sì, io.»

Saphira scoccò a Eragon un'occhiata interrogativa. facendo cenno al ragazzo di mostrargli la strada. Mentre camminavano, il ragazzo s'illuminò nell'ammirare Zar'roc, poi abbassò gli occhi, intimidito.

«Come ti chiami?» gli chiese Eragon.

«Jarsha, signore.»

«È un bel nome. Sei stato bravo a riferire il messaggio; dovresti sentirti orgoglioso.» Jarsha sorrise raggiante e affrettò il passo.

Giunsero davanti a una porta convessa di pietra, che Jarsha aprì con una spinta. La sala all'interno era circolare, con un soffitto a volta color del cielo, decorato di costellazioni. Al centro c'era una tavola rotonda di marmo, intarsiata con lo stemma del Dùrgrimst Ingietum: un martello circondato da dodici stelle. Erano presenti Jòrmundur e altri due uomini, uno alto e magro, l'altro basso e tarchiato; una donna con le labbra strette, gli occhi ravvicinati, e le guance colorate da fitti disegni; e una seconda donna con una criniera di capelli grigi che incorniciavano un florido volto dall'aria materna, smentita dall'elsa di un pugnale che spuntava dalle prospere colline del corsetto.

«Puoi andare» disse Jòrmundur a Jarsha, che abbozzò un veloce inchino e si dileguò.

Consapevole di essere al centro dell'attenzione, Eragon esaminò la sala, poi prese posto in mezzo a una serie di scranni vuoti, costringendo i membri del consiglio a voltarsi per continuare a guardarlo. Saphira si accucciò alle sue spalle; Eragon ne sentiva l'alito caldo sulla testa.

Jòrmundur accennò appena ad alzarsi per abbozzare un inchino, e si risedette. «Grazie di essere venuto, Eragon, benché anche tu abbia sofferto un grave lutto. Ti presento Umérth» l'uomo alto, «Falberd» l'uomo tarchiato, «e Sabra ed Elessari» le due donne.

Eragon chinò la testa, poi domandò: «Anche i Gemelli facevano parte di questo consiglio?»

Sabra scosse il capo con foga, tamburellando sul marmo con un'unghia affilata. «Quegli individui non avevano nulla a che fare con noi. Erano vermi... vermi della peggior specie... sanguisughe che agivano soltanto per i propri interessi. Non avevano alcuna intenzione di servire i Varden, e quindi non c'era posto per loro in questo consiglio.» Pur essendoci una grande distanza fra loro, Eragon riusciva a sentire il suo profumo, pungente e viscido, come quello di un fiore in putrefazione. Represse un sorriso al pensiero.

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