Volodyk - Paolini2-Eldest
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A dire il vero, Murtagh deplora i misfatti del padre e racconta di essere sfuggito al patrocinio di Galbatorix per seguire il proprio destino.
Mostra a Eragon una lunga cicatrice che gli deturpa la schiena, affermando che gli era stata inflitta dallo stesso Morzan, che gli aveva scagliato contro la propria spada, Zar'roc. Eragon viene così a sapere che la sua spada un tempo apparteneva al padre di Murtagh, che aveva tradito i Cavalieri per consegnarli nelle mani di Galbatorix, e che aveva ucciso tanti dei suoi excompagni.
Proprio mentre stanno per essere sopraffatti dagli Urgali, Eragon e i suoi amici vengono salvati dai Varden, che sembrano materializzarsi dalla roccia stessa. I ribelli si nascondono nel Farthen Dùr, una montagna cava alta dieci miglia, e altrettanto larga, dove si trova la capitale dei nani, Tronjheim. Una volta all'interno, Eragon viene condotto al cospetto di Ajihad, il capo dei Varden, mentre Murtagh viene imprigionato a causa dei suoi natali. Ajihad spiega molte cose a Eragon, e gli rivela che Varden, elfi e nani hanno stretto un accordo secondo cui, alla comparsa di un nuovo Cavaliere, il giovane o la giovane sarebbe stato istruito all'inizio da Brom, per poi essere mandato dagli elfi a completare l'addestramento. Eragon deve quindi scegliere se aderire all'accordo.
Eragon conosce il re dei nani, Rothgar, e la figlia di Ajihad, Nasuada; viene messo alla prova dai Gemelli, due perfidi stregoni calvi al servizio di Ajihad; si esercita nella scherma con Arya, dopo che l'elfa si è ripresa; e incontra di nuovo Angela e Solembum, che si sono uniti ai Varden. Eragon e Saphira impartiscono anche una benedizione a una piccola orfana dei Varden.
All'improvviso giunge la notizia che un esercito di Urgali si sta avvicinando attraverso le gallerie scavate nei monti dai nani. Nella battaglia che segue, Eragon viene separato da Saphira e si trova ad affrontare Durza da solo. Molto più forte di qualsiasi essere umano, in pochi istanti lo Spettro ha la meglio su Eragon, infliggendogli una profonda ferita che gli solca la schiena dalla spalla fino al fianco. Ma in quel momento, Saphira e Arya irrompono nella sala dall'alto mandando in frantumi il grande Zaffiro Stellato che copriva la volta - ed Eragon approfitta dell'attimo di distrazione di Durza per colpirlo dritto al cuore. Privati dei sortilegi dello Spettro, gli Urgali si disperdono e vengono ricacciati nei tunnel.
Nello stato d'incoscienza in cui versa dopo la battaglia, Eragon viene contattato per via telepatica da Togira Ikonoka, lo Storpio Che è Sano, che si offre di dare una risposta a tutte le sue domande. Eragon dovrà cercarlo a Ellesméra, dove vivono gli elfi.
Quando Eragon riprende i sensi, scopre che, malgrado tutti gli sforzi e le cure di Angela, gli è rimasta una terribile cicatrice, analoga a quella di
Murtagh. Sgomento, si rende conto di aver sconfitto Durza soltanto per un colpo di fortuna, e di avere un assoluto bisogno di approfondire il proprio addestramento.
Alla fine del Libro Primo, Eragon decide di partire per andare in cerca di Togira Ikonoka e completare la sua istruzione. Poiché il fosco Destino ha accelerato il passo, le prime note di guerra riecheggiano in Alagaésia, e si avvicina in fretta il momento in cui Eragon dovrà affrontare il suo unico, vero nemico: il re Galbatorix.
Una duplice sventura
Il canto dei morti è il pianto dei vivi. Questo pensò Eragon nello scavalcare il cadavere mutilato di un Urgali, mentre si levavano le lamentazioni funebri delle donne che portavano via le salme dei loro cari dalla piana intrisa di sangue del Farthen Dùr. Alle sue spalle, Saphira aggirò la carcassa ondeggiando sinuosa; le sue squame blu zaffiro erano l'unica nota di colore nell'oscurità che dominava la montagna cava.
Erano passati tre giorni da quando i Varden e i nani si erano battuti contro gli Urgali per difendere Tronjheim, la città-montagna alta un miglio nel cuore del Farthen Dùr, ma il campo di battaglia era ancora disseminato di cadaveri. L'enorme numero di caduti aveva rallentato le operazioni di sepoltura. In lontananza, una pira imponente rosseggiava ai piedi di un costone del Farthen Dùr: erano le carcasse degli Urgali che bruciavano. Nessun funerale e nessuna degna sepoltura per loro.
Da quando si era svegliato e aveva scoperto che Angela gli aveva guarito la ferita, per ben tre volte Eragon aveva tentato di dare il proprio contributo alla ricostruzione, ma era stato trafitto da dolori indicibili alla spina dorsale. I guaritori gli avevano somministrato varie pozioni da bere. Arya e Angela sostenevano che era perfettamente guarito. Eppure il dolore continuava a tormentarlo. Nemmeno Saphira era in grado di aiutarlo, se non condividendo la sofferenza trasfusa dal loro legame mentale.
Eragon si passò una mano sul viso e alzò lo sguardo alle stelle che si affacciavano dalla sommità aperta del Farthen Dùr, offuscate dal denso fumo nero della pira. Tre giorni. Erano trascorsi tre giorni da quando aveva ucciso Durza; tre giorni da quando la gente aveva preso a chiamarlo Ammazzaspettri; tre giorni da quando i residui di coscienza dello stregone gli avevano devastato la mente, ed era stato salvato dal misterioso Togira Ikonoka, lo Storpio Che è Sano. Non aveva fatto parola con nessuno della sua visione, tranne che con Saphira. La lotta contro Durza e gli spiriti oscuri che lo controllavano lo aveva trasformato; se in meglio o in peggio, era ancora presto per dirlo. Eragon si sentiva fragile, come se un colpo improvviso potesse mandargli in frantumi il corpo e la mente che ancora dovevano ristabilirsi. E adesso era tornato sul campo di battaglia, spinto dal desiderio morboso di vedere le conseguenze dei combattimenti. Non trovò altro che l'inquietante presenza della morte e della decomposizione; nessuna traccia della gloria di cui narravano le antiche ballate eroiche.
Prima che suo zio Garrow venisse ucciso dai crudeli Ra'zac, mesi addietro, la brutalità a cui Eragon aveva assistito fra umani, nani e Urgali lo avrebbe annientato. Ora lo rendeva quasi insensibile. Si era reso conto, con l'aiuto di Saphira, che l'unico modo per conservare la propria razionalità davanti a quel dolore straziante era fare qualcosa. Inoltre non credeva più che la vita avesse un significato intrinseco, non dopo aver visto uomini fatti a pezzi dai Kull, una tribù di Urgali giganteschi, e il terreno disseminato di membra mozzate, così zuppo di sangue da trasformarsi in un orrido pantano che gli risucchiava le suole degli stivali. Se mai esisteva un qualche tipo di onore in guerra, aveva concluso, era soltanto questo: combattere per difendere gli inermi.
Si chinò a raccogliere un molare da terra. Facendosi rimbalzare il dente sul palmo della mano, continuò a percorrere lentamente con Saphira il perimetro della piana devastata. A un tratto si fermarono nel vedere Jòrmundur, il vicecomandante di Ajihad, che usciva da Tronjheim di gran carriera, diretto verso di loro. Quando fu a breve distanza, s'inchinò: un gesto che, Eragon lo sapeva, non avrebbe mai compiuto fino a qualche giorno prima. «Sono lieto di averti trovato in tempo, Eragon.» Nel pugno stringeva un rotolo di pergamena. «Ajihad sta tornando, e vuole che tu sia presente al suo arrivo. Gli altri lo stanno già aspettando davanti al cancello ovest di Tronjheim. Dobbiamo affrettarci, se vogliamo arrivare in tempo.»
Eragon annuì e si diresse verso il cancello, con una mano appoggiata sul fianco di Saphira. Ajihad mancava ormai da tre giorni, impegnato a inseguire gli Urgali che erano riusciti a fuggire nel labirinto di tunnel scavati dai nani nella roccia dei Monti Beor. L'unica volta che Eragon lo aveva scorto, fra una spedizione e l'altra, Ajihad era in preda a un attacco di collera per aver scoperto che sua figlia Nasuada gli aveva disobbedito: non aveva abbandonato la città insieme alle altre donne e ai bambini, come le era stato ordinato, ma aveva combattuto in segreto fra le schiere di arcieri Varden. Murtagh e i Gemelli avevano accompagnato Ajihad. I Gemelli perché era una missione pericolosa, e il capo dei Varden aveva bisogno di essere protetto dalle loro arti magiche, e Murtagh perché voleva continuare a dimostrare ai Varden che potevano fidarsi di lui. Eragon era rimasto sorpreso nel vedere quanto era cambiato l'atteggiamento del popolo nei riguardi di Murtagh, pur sapendo che suo padre, Morzan, era stato il Cavaliere dei Draghi che aveva tradito i suoi compagni per consegnarli a Galbatorix. Anche se Murtagh aveva dichiarato di odiare il padre e di essere leale a Eragon, i Varden non gli avevano creduto. Ma nessuno aveva voglia di sprecare energie per covare un antico rancore, quando c'era ancora tanto lavoro da fare. Eragon sentiva la mancanza delle loro chiacchierate, e non vedeva l'ora che tornasse per discutere con lui degli eventi appena accaduti.
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