Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Già, anch'io vorrei sapere come» disse Arya.

Eragon cercò qualcosa da bere, ma non c'era acqua né vino nella cucina. Tossì, poi si lanciò nel racconto del loro ultimo viaggio a Ellesméra. Saphira di tanto in tanto interveniva con un commento, ma preferì che fosse lui a raccontare la storia. A partire dalla verità sui suoi genitori, Eragon ripercorse in rapida successione gli eventi del loro soggiorno, dalla scoperta dell'acciaioluce sotto l'albero di Menoa a quando avevano forgiato Brisingr fino alla visita a Sloan. Infine raccontò a Nasuada e Arya del cuore dei cuori dei draghi.

«Be'...» disse Nasuada. Si alzò e prese a misurare la cucina a lenti passi. «Tu figlio di Brom, e Galbatorix che succhia come un parassita le anime dei draghi i cui corpi ormai non esistono più. È una cosa troppo grande perché io ne riesca a comprenderne la portata...» Si massaggiò di nuovo le braccia. «Almeno ora conosciamo la vera fonte del potere di Galbatorix.»

Arya era rimasta immobile, il fiato sospeso, sbalordita. «I draghi sono ancora vivi» mormorò. Giunse le mani come in preghiera e le tenne strette al petto. «Sono ancora vivi dopo tutti questi anni. Oh, se solo potessimo dirlo al resto della mia razza. Quanto sarebbero felici! E quanto sarebbe terribile la loro rabbia se sapessero della schiavitù degli Eldunarí! Correremmo a Urû'baen e non ci daremmo pace finché non avessimo liberato tutti i cuori dalle grinfie di Galbatorix, per quanti di noi dovessero morire nell'impresa.»

Ma non possiamo dirlo, le rammentò Saphira.

«No» disse Arya, e abbassò lo sguardo. «Non possiamo. Ma lo vorrei.»

Nasuada la guardò. «Ti prego, non offenderti, ma certo sarebbe stato meglio che tua madre, la regina Islanzadi, avesse ritenuto opportuno condividere queste informazioni con noi. Avremmo potuto servircene molto tempo fa.»

«Sono d'accordo» disse Arya, aggrottando la fronte. «Sulle Pianure Ardenti Murtagh vi ha sconfitti» e indicò Eragon e Saphira «perché non sapevate che Galbatorix gli aveva dato alcuni Eldunarí, e perciò non avete agito con la giusta cautela. Se non fosse stato per la coscienza di Murtagh, ora sareste entrambi schiavi di Galbatorix. Oromis e Glaedr, e anche mia madre, avevano le loro buone ragioni per tenere segreta l'esistenza degli Eldunarí, ma la loro reticenza ci è costata quasi la disfatta. Ne discuterò con mia madre la prossima volta che la incontrerò.»

Nasuada camminava fra il davanzale e il focolare. «Mi hai dato molte cose su cui riflettere, Eragon...» Tamburellò sul pavimento con la punta dello stivale. «Per la prima volta nella storia dei Varden conosciamo un modo per uccidere Galbatorix che potrebbe funzionare. Se riusciamo a separarlo da questi cuori dei cuori, perderà la fonte della sua forza, e allora tu e gli altri stregoni sarete in grado di batterlo.»

«Sì, ma come facciamo a separarlo dai suoi cuori?» chiese Eragon.

Nasuada si strinse nelle spalle. «Non lo so ancora, ma sono convinta che è possibile. D'ora in avanti lavorerete per trovare il modo. Tutto il resto non conta.»

Eragon sentì che Arya lo studiava con insolito interesse. Turbato, le rivolse uno sguardo interrogativo.

«Mi sono sempre domandata» disse Arya «perché l'uovo di Saphira era comparso davanti a te e non in qualche campo sperduto chissà dove. Sembrava una coincidenza troppo grande per essere soltanto un caso, ma non riuscivo a trovare una spiegazione plausibile. Ora invece capisco. Avrei dovuto immaginare che eri il figlio di Brom. Non lo conoscevo bene, ma lo conoscevo, e tu gli somigli molto.»

«Davvero?»

«Dovresti andare fiero di essere suo figlio» disse Nasuada. «A quel che si dice, Brom era un uomo straordinario. Se non fosse stato per lui, i Varden non esisterebbero. Mi sembra giusto che sia proprio tu a continuare la sua missione.»

Arya disse: «Eragon, possiamo vedere l'Eldunarí di Glaedr?»

Eragon esitò, poi uscì e andò a prendere il fagotto nelle bisacce di Saphira. Attento a non toccare l'Eldunarí, sciolse lo spago in cima al sacco, facendo scivolare il tessuto intorno alla pietra dorata simile a una pepita. Rispetto all'ultima volta che l'aveva visto, il bagliore dentro il cuore dei cuori era fioco e debole, come se Glaedr fosse a malapena cosciente.

Nasuada si protese in avanti e fissò il nucleo vorticante dell'Eldunarí, gli occhi che le risplendevano di luce riflessa. «E Glaedr è davvero lì dentro?»

Sì, disse Saphira.

«Posso parlare con lui?»

«Potresti provare, ma dubito che risponderebbe. Ha appena perso il suo Cavaliere. Gli ci vorrà parecchio tempo per riprendersi dal lutto, se mai si riprenderà. Ti prego, lascialo in pace, Nasuada. Se avesse voluto parlarti, lo avrebbe già fatto.»

«Certo. Non era mia intenzione disturbarlo nel suo dolore. Aspetterò che si riprenda per conoscerlo.»

Arya si accostò a Eragon e avvicinò le mani all'Eldunarí, le dita tremanti sospese sulla sua superficie. Fissò la pietra con profondo rispetto, come smarrita nei suoi abissi, poi mormorò qualcosa nell'antica lingua. La coscienza di Glaedr lampeggiò debolmente come in risposta.

Arya abbassò le mani. «Eragon, Saphira, vi è stata affidata la più solenne delle responsabilità: la custodia di un'altra vita. Qualunque cosa accada, dovrete proteggere Glaedr. Ora che Oromis è morto, avremo bisogno della sua forza e della sua saggezza più che mai.»

Non preoccuparti, Arya, non permetteremo che gli accada nulla di male, promise Saphira.

Eragon ricoprì l'Eldunarí con la tela del sacco e, le dita intorpidite dalla stanchezza, armeggiò qualche istante prima di riuscire a riannodare lo spago. I Varden avevano riportato un'importante vittoria e gli elfi avevano conquistato Gil'ead, ma i due successi non gli davano alcuna gioia. Guardò Nasuada e chiese: «E adesso?»

Nasuada alzò il mento. «Adesso» disse «marceremo verso nord su Belatona, e quando l'avremo conquistata procederemo fino a Dras-Leona ed espugneremo anche quella. E poi a Urû'baen, da Galbatorix, dove sarà vittoria o morte. Ecco che cosa faremo adesso, Eragon.»

Dopo essersi separati da Nasuada, Eragon e Saphira acconsentirono a lasciare Feinster per andare nell'accampamento dei Varden, dove avrebbero potuto riposare indisturbati, lontani dai rumori della città. Circondati da Blödhgarm e dal resto delle guardie, si avviarono verso il cancello principale di Feinster senza scambiarsi una parola.

Eragon, stringendo ancora fra le braccia il cuore dei cuori di Glaedr, teneva lo sguardo fisso a terra. Non badava agli uomini che gli passavano accanto correndo o marciando; il suo ruolo nella battaglia era concluso, e non desiderava altro che coricarsi e dimenticare i luttuosi eventi di quel giorno. Le ultime sensazioni ricevute da Glaedr gli riverberavano ancora nella mente: Era solo. Era solo e al buio... Solo! Gli si mozzò il respiro e si sentì salire un conato di vomito. Dunque è questo che si prova quando perdi il tuo Cavaliere o il tuo drago. Non c'è da stupirsi se Galbatorix è impazzito.

Siamo gli ultimi, disse Saphira.

Eragon aggrottò la fronte, senza capire.

L'ultimo drago libero e il suo Cavaliere, spiegò lei. Siamo gli unici rimasti. Siamo...

Soli.

Sì.

Eragon inciampò in un sasso che non aveva notato. Col cuore gonfio di

dolore, chiuse gli occhi per un attimo. Non possiamo farcela da soli, pensò. Non possiamo! Non siamo pronti. Saphira annuì, e il suo dolore e la sua angoscia, sommati a quelli di lui, divennero quasi insopportabili.

Quando arrivarono ai cancelli della città, Eragon si fermò, riluttante a farsi strada fra l'enorme folla che gremiva l'uscita per fuggire da Feinster. Si guardò intorno in cerca di un'altra strada. Quando il suo sguardo passò sulle imponenti mura di cinta, fu preso dall'improvviso desiderio di vedere la città alla luce del giorno.

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