Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Ma non terrebbe testa a una spada.
No... E non oserei staccare un ramo senza prima chiederne il permesso all'albero, e non ho proprio idea di come fare per convincerla a soddisfare la mia richiesta.
Saphira inarcò il collo sinuoso e alzò lo sguardo sull'albero, poi scrollò la testa e le spalle per liberarsi dalle gocce che si erano accumulate sui bordi affilati delle sue squame sfaccettate. Eragon strillò e fece un salto indietro, schermandosi il volto con il braccio quando lo spruzzo d'acqua fredda lo investì. Se una creatura cercasse di far male all'albero di Menoa, disse Saphira, dubito che vivrebbe abbastanza da rimpiangere l'errore.
I due setacciarono la radura ancora per diverse ore. Eragon continuava a sperare che si sarebbero imbattuti in qualche cavità o fessura fra le radici contorte dove avrebbero visto spuntare lo spigolo di una cassa sepolta che custodiva una spada. Visto che Murtagh ha Zar'roc, la spada di suo padre, pensò Eragon, mi spetterebbe di diritto la spada che Rhunön forgiò per Brom.
Sarebbe anche del colore giusto, aggiunse Saphira. La sua dragonessa, la mia omonima, era blu anche lei.
Alla fine, disperato, Eragon espanse la mente verso l'albero di Menoa e cercò di attirare l'attenzione della sua coscienza sonnolenta, per spiegare cosa cercava e chiederle aiuto. Ma fu come tentare di comunicare con il vento o la pioggia, perché l'albero non si accorse di lui più di quanto lui non si sarebbe accorto di una formica che agitava le antenne vicino ai suoi stivali.
Delusi, Eragon e Saphira lasciarono l'albero di Menoa proprio mentre il disco del sole baciava l'orizzonte. Dalla radura Saphira volò fino al centro di Ellesméra, dove planò atterrando nella stanza da letto della casa sull'albero che gli elfi avevano preparato per loro. La casa era un insieme di camere rotonde appollaiate sulla corona di un albero massiccio, a centinaia di piedi dal suolo.
Un pasto di frutta, verdure, fagioli cotti e pane aspettava Eragon nella stanza da pranzo. Dopo aver mangiato, invece di gettarsi sul letto preferì accoccolarsi accanto a Saphira sulla pedana rivestita di coperte che era il suo giaciglio. Mentre Saphira piombava in un sonno profondo, lui rimase sveglio a osservare le stelle sorgere e schierarsi nel cielo sulla foresta illuminata dalla luna, e pensò a Brom e al mistero di sua madre. Più tardi, quella notte, scivolò nel suo ormai abituale sonno vigile, dove parlò con i suoi genitori. Non riuscì a sentire che cosa dicevano, perché le loro voci erano basse e indistinte, ma in qualche modo percepì l'amore e l'orgoglio che provavano per lui, e sebbene sapesse che non erano altro che fantasmi della sua mente inquieta, da allora conservò per sempre il ricordo del loro affetto.
All'alba, un'esile elfa guidò Eragon e Saphira attraverso i sentieri di Ellesméra fino alla residenza della famiglia Valtharos. Mentre passavano fra i tronchi scuri dei pini torreggianti, Eragon fu colpito da quanto fosse vuota e silenziosa la città rispetto alla loro ultima visita; scorse solo tre elfi fra gli alberi, tre figure alte e aggraziate che si allontanarono a passi felpati.
Quando gli elfi vanno in guerra, osservò Saphira, pochi restano a casa. Già.
Lord Fiolr li aspettava in una sala dal soffitto a volta, illuminata da diversi fuochi fatui fluttuanti. Aveva il viso lungo e severo e più spigoloso di quello della maggior parte degli elfi, tanto che i suoi lineamenti ricordarono a Eragon una lancia dalla punta sottile. Indossava una tunica verde e oro dal colletto alto e svasato, come la cresta piumata di un uccello esotico. Nella sinistra impugnava uno scettro di legno bianco che recava incisi i glifi della Liduen Kvaedhí. In cima allo scettro era incastonata una perla lucente.
Lord Fiolr fece un profondo inchino, ed Eragon lo imitò. Poi si scambiarono i saluti rituali degli elfi ed Eragon ringraziò il signore così generoso da permettergli d'ispezionare la spada Tàmerlein.
Lord Fiolr disse: «Da lungo tempo Tàmerlein è un trofeo prezioso della mia famiglia, e mi sta particolarmente a cuore. Conosci la sua storia, Ammazzaspettri?»
«No» rispose Eragon.
«La mia compagna era la saggia e bellissima Naudra, e suo fratello, Arva, era un Cavaliere dei Draghi al tempo della Caduta. Naudra era in visita da lui a Ilirea quando Galbatorix e i Rinnegati si abbatterono sulla città come una tempesta dal nord. Arva combatté insieme agli altri Cavalieri per difendere Ilirea, ma Kialandí dei Rinnegati gli inflisse un colpo mortale. Mentre giaceva morente sui bastioni di Ilirea, Arva consegnò la sua spada Tàmerlein a Naudra perché potesse difendersi. Con Tàmerlein, Naudra si aprì un varco fra i Rinnegati e fuggì, tornando qui accompagnata da un drago e un Cavaliere, anche se morì subito dopo a causa delle ferite riportate.»
Lord Fiolr accarezzò lo scettro e dalla perla scaturì un tenue bagliore. «Tàmerlein per me è preziosa come l'aria che respiro. Preferirei separarmi della mia vita piuttosto che separarmi da lei. Purtroppo, né io né i miei discendenti siamo degni di maneggiarla. Tàmerlein è stata forgiata per un Cavaliere, e Cavalieri noi non siamo. Te la presto volentieri, Ammazzaspettri, affinché ti aiuti a combattere Galbatorix. Però Tàmerlein resterà proprietà del Casato di Valtharos, e tu devi promettermi di restituirmi la spada se mai io o uno dei miei eredi te la chiederemo.»
Eragon diede la sua parola e Lord Fiolr condusse lui e Saphira fino al lungo, lucido tavolo che cresceva dal legno vivente del pavimento. In fondo al tavolo c'era una rastrelliera ornata dov'era esposta Tàmerlein col suo fodero.
La lama di Tàmerlein era di un verde intenso, ricco, così come il suo fodero. Un grande smeraldo ne adornava il pomolo, le decorazioni erano d'acciaio brunito e una serie di glifi correva lungo la guardia crociata. Dicevano in elfico: Io sono Tàmerlein, portatrice del sonno finale. La spada era lunga quanto Zar'roc, ma aveva la lama più larga, la punta più arrotondata e l'elsa più pesante. Era un'arma bella e letale, ma a Eragon bastò una sola occhiata per capire che Rhunön aveva forgiato Tàmerlein per una persona con uno stile di combattimento diverso dal suo, uno stile che faceva più affidamento sulla violenza dei colpi che sulle rapide ed eleganti tecniche che Brom gli aveva insegnato.
Non appena le dita di Eragon si chiusero intorno all'impugnatura di Tàmerlein, si accorse che era troppo grande per la sua mano e in quel momento seppe che non era la spada per lui: non gli dava la sensazione di essere il proseguimento del suo braccio, com'era successo con Zar'roc. Malgrado ciò, Eragon esitò, sapendo che sarebbe stato difficile trovare una spada altrettanto bella. Arvindr, l'altra spada citata da Oromis, si trovava in una città a centinaia di miglia di distanza.
Saphira disse: Non prenderla. Se devi portare una spada in battaglia, se la tua vita e la mia dipendono da essa, allora dev'essere perfetta, niente di meno. E poi non mi piacciono le condizioni che Lord Fiolr ha posto per darcela.
E così Eragon rimise Tàmerlein sulla rastrelliera e si scusò con Lord Fiolr spiegando perché non poteva accettare la spada. L'elfo dalla faccia aguzza non parve troppo deluso; al contrario, a Eragon parve di scorgere un lampo di soddisfazione nei fieri occhi di Fiolr.
Dalla dimora della famiglia Valtharos, Eragon e Saphira s'inoltrarono negli oscuri recessi della foresta fino alla galleria di alberi di sanguinella che conduceva al patio centrale della casa di Rhunön. Quando emersero dalla galleria, Eragon sentì il tintinnio di un martello su uno scalpello e vide Rhunön seduta su una panca nella fucina al centro del patio. L'elfa era impegnata a scolpire un blocco di lucido acciaio. Eragon non riuscì a capire che cosa stava realizzando, perché il pezzo era ancora grezzo e impreciso.
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