Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Oromis fece una smorfia e una ragnatela di piccole rughe gli si formò intorno agli angoli della bocca. «Nessuno, che io sappia. Dopo la caduta dei Cavalieri, Brom andò in cerca di eventuali Eldunarí sfuggiti a Galbatorix, ma senza esito. E in tutti gli anni che ho passato a perlustrare Alagaësia con la mente non ho mai colto un pensiero o un sussurro provenire da un Eldunarí. Quando Galbatorix e Morzan sferrarono il primo attacco contro di noi, gli Eldunarí erano stati tutti catalogati e nessuno di loro scomparve senza spiegazione. È inconcepibile che ci sia una grossa scorta di Eldunarí ad attenderci da qualche parte.»
Sebbene Eragon non si fosse aspettato una risposta diversa, rimase ugualmente deluso. «Un'ultima domanda; mi risulta che quando un Cavaliere o un drago morivano, il compagno superstite in genere si lasciava morire o si suicidava subito dopo. E che quelli che non lo facevano comunque impazzivano dal dolore. Dico bene?»
Sì, disse Glaedr.
«Ma che cosa succedeva invece se il drago rigettava il cuore dei cuori prima di morire?» Eragon sentì il terreno tremare attraverso le suole degli stivali mentre il drago dorato cambiava posizione.
Glaedr rispose: Se un drago sperimentava la morte del corpo, ma il suo cavaliere era ancora vivo, insieme diventavano noti come Indlvarn. La transizione non era molto piacevole per il drago, ma molti Cavalieri e draghi riuscirono ad adattarsi al cambiamento e continuarono a servire l'ordine con successo. Se però era il Cavaliere a morire, allora spesso il drago distruggeva il proprio Eldunarí o, se il suo corpo era già morto, faceva in modo che fosse un altro a infrangerlo, così si uccideva e seguiva il proprio Cavaliere nel vuoto. Ma non tutti. Alcuni draghi furono in grado di superare la perdita, così come alcuni Cavalieri, fra cui Brom, e continuarono a servire il nostro ordine per molti anni, sia attraverso la carne che attraverso il loro cuore dei cuori.
Ci avete dato molto su cui meditare, Glaedr, Oromis-elda, disse Saphira. Eragon annuì ma rimase in silenzio, troppo preso a riflettere su quanto era stato detto.
LE MANI DI UN GUERRIERO
Eragon addentò una dolce fragola matura, lo sguardo perso nelle imperscrutabili profondità del cielo. Quando ebbe finito di mangiarla, appoggiò il picciolo sul vassoio davanti a sé e lo spinse al centro con la punta dell'indice, poi fece per parlare.
Ma Oromis lo precedette e disse: «E adesso, Eragon?»
«Adesso?»
«Abbiamo parlato a lungo degli argomenti che più ti premevano. E adesso cosa volete fare tu e Saphira? Non potete trattenervi a lungo a Ellesméra, perciò mi chiedo che cos'altro sperate di ottenere con la vostra visita. O pensate di ripartire già domattina?»
«Avevamo sperato» disse Eragon «di poter continuare il nostro addestramento, ma questo ovviamente non è possibile perché non abbiamo tempo. Però c'è qualcos'altro che vorrei fare.»
«E sarebbe?»
«Maestro, non ti ho raccontato tutto quello che mi è successo quando ero a Teirm con Brom.» Così Eragon raccontò al vecchio elfo di come la curiosità lo aveva portato nella bottega di Angela, di come lei gli aveva letto il futuro e del consiglio che alla fine gli aveva dato Solembum.
Oromis si picchiettò le labbra con un dito, meditabondo. «Nel corso dell'ultimo anno ho sentito nominare questa indovina con crescente frequenza, sia da parte tua che dai rapporti sui Varden di Arya. Questa Angela sembra bravissima a comparire dove e quando stanno per verificarsi eventi importanti.»
Già, bravissima, confermò Saphira.
Oromis continuò. «Il suo comportamento mi ricorda molto quello di una maga umana che una volta visitò i palazzi di Ellesméra, anche se non si faceva chiamare Angela. È per caso una donna minuta, con una gran massa di riccioli scuri, occhi vivaci e un'intelligenza tanto acuta quanto bizzarra?»
«L'hai descritta alla perfezione» disse Eragon. «È la stessa persona?»
Oromis fece un piccolo movimento con la mano sinistra. «Se è lei, si tratta di una persona straordinaria... Quanto alle sue profezie, non starei a pensarci troppo. Che si avverino o no, e senza saperne di più, nessuno di noi può influenzarne l'esito.
«Ma quello che ha detto il gatto mannaro è degno di maggior considerazione. Purtroppo non so spiegare nessuna delle sue affermazioni. Non ho mai sentito parlare di un luogo chiamato la Volta delle Anime e, anche se la rocca di Kuthian mi suona familiare, non riesco a ricordare dove ho sentito o visto quel nome. Cercherò nelle mie pergamene, ma l'istinto mi dice che non lo troverò nelle scritture elfiche.»
«E che mi dici dell'arma sotto l'albero di Menoa?»
«Non so niente nemmeno di quella, Eragon. E io conosco ogni storia di questa foresta. In tutta la Du Weldenvarden ci sono forse soltanto due elfi la cui conoscenza della foresta supera la mia. M'informerò, ma sospetto che sarà un tentativo inutile.» Quando Eragon espresse la sua delusione, Oromis disse: «Mi pare di capire che tu abbia bisogno di un giusto rimpiazzo per Zar'roc, e in questo posso aiutarti. Oltre alla mia, Naegling, noi elfi abbiamo conservato altre due spade dei Cavalieri dei Draghi: Arvindr e Tàmerlein. Arvindr è custodita nella città di Nädindel, che tu non hai il tempo di visitare. Ma Tàmerlein si trova qui a Ellesméra. È un tesoro del Casato di Valtharos, e anche se il signore del palazzo, Lord Fiolr, non se ne separerebbe mai volentieri, credo che te la darebbe se gliela chiedessi con rispetto. Vi organizzerò un incontro per domattina.»
«E se la spada non dovesse andar bene?» chiese Eragon.
«Speriamo che non accada. Manderò anche un messaggio a Rhunön la metalliera, avvertendola che potresti passare da lei domani sul tardi.»
«Ma Rhunön ha giurato che non avrebbe più forgiato spade.»
Oromis sospirò. «Già, ma il suo parere sarà lo stesso importante. Se c'è qualcuno che può consigliarti l'arma giusta, è lei. E se dovesse piacerti Tàmerlein, sono sicuro che Rhunön vorrebbe darle comunque un'occhiata prima che te la porti via. Sono passati più di cento anni da quando Tàmerlein è stata usata per l'ultima volta in battaglia, e potrebbe aver bisogno di qualche piccola calibratura.»
«Non potrebbe essere un altro elfo a forgiarmi una lama?»
«No» disse Oromis. «Non se si tratta di eguagliare l'eccellenza di Zar'roc o di qualsiasi altra spada rubata che Galbatorix abbia scelto d'impugnare. Rhunön è uno dei membri più anziani della nostra razza, ed è stata lei a forgiare tutte le spade del nostro ordine.»
«È vecchia quanto i Cavalieri?» esclamò Eragon, stupefatto.
«Anche di più.»
Eragon tacque un momento. «Che cosa dobbiamo fare fino a domani, maestro?»
Oromis guardò Eragon e Saphira, poi disse: «Andate a visitare l'albero di Menoa. So che non sarete in pace finché non lo avrete fatto. Vedete se riuscite a trovare l'arma di cui ha parlato il gatto mannaro. Quando avrete soddisfatto la vostra curiosità, ritiratevi nella casa sull'albero che i servitori di Islanzadi tengono sempre pronta per voi. Domani faremo quel che possiamo.»
«Maestro, abbiamo così poco tempo...»
«Siete fin troppo stanchi per altre sollecitazioni quest'oggi. Fidati, Eragon, è meglio che ti riposi. Penso che le ore che ti separano da domani ti aiuteranno ad accettare le cose di cui abbiamo parlato. Anche secondo i parametri di re, regine e draghi, questa nostra conversazione non è stata una chiacchierata leggera.»
Malgrado le rassicurazioni di Oromis, Eragon si sentiva a disagio all'idea di trascorrere il resto del giorno senza far niente. Era così agitato che avrebbe voluto continuare a lavorare, anche se sapeva di dover recuperare le forze.
Si agitò sulla sedia, e quel movimento tradì la sua indecisione; Oromis sorrise e disse: «Se ti aiuta a calmarti, Eragon, ti prometto una cosa. Prima che tu e Saphira torniate dai Varden, potrai scegliere un tipo di magia, e nel breve tempo che ci resta t'insegnerò tutto quello che posso in merito.»
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