Dino Buzzati - Sessanta racconti

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Sessanta racconti: краткое содержание, описание и аннотация

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Premio Strega 1958

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Ma non è vero, in tutta confidenza, quando la notte è scesa trovarsi solo nel mezzo di questi spaventosi casamenti non è raccomandabile. Quando si è fatto buio, nonostante la vivida luce dei lampioni, escono dalle porte coloro che non incontrare è meglio: personaggi lontani, cari amici con i quali si viveva dall'alba al tramonto ininterrottamente conoscendo l'uno dell'altro i minimi pensieri, o ragazzette minori dei vent'anni, quelle che arrivavano raggianti all'appuntamento della sera. Ma che hanno? Perché non salutano, non mi gettano le braccia al collo? E invece passano accanto con un impercettibile sorriso? Sono offesi? Di che cosa? Hanno dimenticato tutto?

No. Semplicemente gli anni! Semplicemente non sono più gli stessi. Col tempo – quanto! – anch'essi, senza sospettarlo, si sono trasformati fin nelle più riposte viscere, nei reconditi lobi del cervello. Di allora non è rimasto che un simulacro, il nome, ecco, e il cognome. Mi passano accanto, silenziosi, come larve. " Ciao Antonio " io dico " ciao Rita, ciao Guidobaldo, come state? " Non sentono, non voltano neanche la faccia, il ticchettio dei tacchi si allontana. " Un momento ancora, vi prego, amici, egregi signori, illustrissimi, eccellenze. Perché scappate subito? Non avete visto ancora niente. Fra poco si accenderanno i lumi e le strade assomiglieranno a certe pagine di romanzi di cui non ricordo il nome. Nel giardino dell'Ammiragliato, alle ore 21 tutte le sere un usignolo con diploma canta. Donne pallide e bellissime si appoggeranno con i gomiti alle balaustre del lungofiume e aspetteranno: probabilmente voi. Nella reggia secentesca, alla luce dei candelabri, in onore vostro il principe darà una festa, non udite i violini che cominciano? "

Ma non è vero. Nella immensa città che nessuno di voi conosce né mai conoscerà, nella città fatta dalla mia stessa vita (parchi palazzi addii gasometri ospedali primavere caserme portici Natali stazioni ferroviarie statue amori) Dio, come sono solo. I passi riecheggiano misteriosi da una casa all'altra dicendo: Che fai? Che vuoi? Non ti accorgi come tutto è inutile?

Sono partiti. I bagliori dei fari si sono dissolti nella notte in direzione del deserto. Non c'è più nessuno? Ahimè, le uniche parvenze umane che si aggirino, l'avete constatato spero, non sono che fantasmi e laggiù, nei meandri dei quartieri bassi, montagne di orribili tenebre si accumulano. Un orologio chissà da quale torre batte le ore ventitré.

No. Per grazia di Dio, non completamente solo. C'è una creatura che mi cerca. In carne ed ossa. Dal fondo del corso 18 Maggio, sotto i raggi verdastri dei lampioni, troc troc, ecco si avanza.

Un cane. Ha il pelo lungo. È nero. Ha un aspetto mite e pensieroso. Assomiglia stranamente a Spartaco, il barbone che avevo una quindicina d'anni fa. La stessa sagoma, la medesima andatura, l'identico volto rassegnato.

Assomiglia? Altro che assomigliare. È lui in persona, Spartaco, vivo simbolo di stagioni lontane che adesso sembrano felici.

Mi viene proprio incontro, mi fissa con il profondo pesante sguardo che hanno i cani, pieno di ansie e di rimproveri. Fra poco, già lo immagino, mi salterà addosso con mugolii di gioia

Invece, quando è a due metri e io allungo la mano per accarezzarlo, lui scivola via, estraneo, e si allontana. " Spartaco! " grido " Spartaco! " Ma il cane non risponde, non si ferma, non volta neanche il muso. Lo vedo, pecorella nera, rimpicciolire, dietro e fuori i successivi aloni dei fanali. " Spartaco! " chiamo ancora. Niente. Troc troc. Adesso non lo si vede più.

42. SCIOPERO DEI TELEFONI

Il giorno che ci fu lo sciopero, si lamentarono nel servizio dei telefoni irregolarità e stranezze. Fra l'altro, le singole comunicazioni non erano isolate e spesso si intrecciavano, cosicché si udivano i dialoghi degli altri e vi si poteva intervenire.

Alla sera, verso le dieci meno un quarto, cercai di telefonare a un amico. Ma prima ancora che facessi in tempo a far girare l'ultima cifra del quadrante, il mio apparecchio restò inserito nel giro di una conversazione estranea, a cui poi se ne aggiunse una quantità d'altre, in una ridda sorprendente. Ben presto fu un piccolo comizio al buio, dove la gente entrava e usciva in modo inopinato e non si sapeva chi vi intervenisse né gli altri potevano sapere chi fossimo noi, e tutti parlavano quindi senza le solite ipocrisie e ritegni, e ben presto si determinò una straordinaria allegria e collettiva leggerezza d'animo, come è pensabile avvenisse negli stupendi e pazzi carnevali dei tempi andati di cui un'eco ci tramandano le favole.

Da principio udii due donne che parlavano, caso strano, di vestiti.

" Niente affatto io dico i patti erano chiari lei la gonna me la doveva consegnare giovedì e adesso siamo a lunedì sera io dico e la gonna non è ancora pronta e io sa che cosa faccio, cara la mia signora Broggi io la gonna gliela lascio e se la metta lei se le accomoda! " Era una vocetta acuta e petulante che parlava velocissima senza interpunzioni.

" Brava! " le rispose una voce, giovane, cordiale e sorridente, un poco strascicata, con accento emiliano. " E così che cosa ci hai guadagnato? Puoi aspettare, sai, che quella lì ti rifonda della stoffa. "

" Voglio vedere voglio con la rabbia che mi ha fatto inghiottire una rabbia che non ti dico per giunta dovrei perderci dovrei tu Clara la prima volta che ci vai mi fai il santo piacere di dirle il fatto suo che non è il modo di trattare mi fai proprio il piacere anche la Comencini del resto mi ha detto che non si serve più da lei che le ha sbagliato completamente quel tre quarti rosso che la fa sembrare una sercantina è inutile da quando le è venuta la clientela fa i comodacci suoi te la ricordi due anni fa quando cominciava e signora qua e signora là non la finiva mai coi complimenti è un piacere diceva vestire un personale come lei dà soddisfazione e tante storie e adesso guardatemi e non toccatemi ha perfino cambiato il modo di parlare vero Clara? anche tu ti sei accorta, no?, che ha cambiato il modo di parlare? E intanto domani che si deve andare dalla Giulietta per il tè non ho neanche da mettermi uno straccio tu cosa dici che mi metta? "

" Ma se tu Franchina " le rispose Clara, placida " non sai neanche più dove mettere i vestiti da tanti che ne hai. "

" Oh, questo non lo devi dire è tutta roba vecchia il più fresco è dell'autunno scorso quel tailleurino sai noisette te lo ricordi no? e dopo tutto io non… "

" Io piuttosto. Tu cosa dici? Io quasi quasi mi metterei la gonna verde, quella bella larga con il pullover nero, il nero fa sempre elegante… Oppure dici che metta quello nuovo, quello grigio di maglia? Forse fa un po' più après-midi, tu cosa dici? "

A questo punto entrò, chissà da dove, un uomo dall'accento grossolano:

" E che la mi dica ben so, signora. E perché non si mette quello giallo limone, con un bel cavolo in testa? " Silenzio. Le due donne tacquero.

" E che la mi dica ben so, signora " insisté l'uomo contraffacendo la cadenza romagnola. " L'ha notizie fresche da Ferrara? E lei, signora Franchina, che la mi dica, per caso non ci sarà mica cascata a terra la lingua tutta d'un pezzo? La sarebbe una bella disgrazia, no? "

Da varie parti risposero risate. Altri, evidentemente inseriti nel giro, avevano ascoltato in silenzio, come me.

Replicò, petulante, la Franchina. " Lei, signore, che non so chi sia lei comunque è un bel villano anzi villanzone due volte prima perché non si sta a ascoltare le conversazioni altrui che questa è elementare educazione secondo perché… "

" Ih, che lezione, su su, signora, o signorina, non se la prenda… Sarà lecito scherzare, spero… Mi scusi! Se mi conoscesse di persona forse non sarebbe così cattiva!… "

" E lascialo perdere! " disse la Clara all'amica " Perché vuoi stare a discutere con dei maleducati? Metti giù la cornetta che dopo ti richiamo. "

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