«Puoi fare con calma un altro giorno, perché credo che oggi siamo un po’ in ritardo» commenta serio, ma nascondendo un sorriso.
«Possiamo arrivare in tempo» lo sfido.
«Ah, sì? Come?»
«Propongo una corsa, a partire da adesso!» parto sparata mentre lui impiega un paio di secondi per capire cosa ho appena fatto.
Da bambini lo facevamo sempre quando eravamo in ritardo o quando semplicemente ci annoiavamo. Mi sento così viva di nuovo, ho di nuovo nove anni e la mia unica preoccupazione è prendere buoni voti a scuola e avere tempo per stare con il mio migliore amico.
Sento le sue lunghe gambe dietro di me, le sue scarpe contro il marciapiede quando mi raggiunge e alla fine mi sorpassa.
«Mi dispiace … forse un altro giorno ti lascerò vincere» ripete le parole che diceva sempre da bambino.
Per niente seccata di avere perso, voglio solo lanciarmi su di lui e abbracciarlo affinché tutto torni a essere come prima. Entrambi sorridiamo mentre riprendiamo fiato, quando vediamo avvicinarsi l’autobus giallo. Cerchiamo di respirare normalmente, ma ogni volta che ci guardiamo, sorridiamo come stupidi e in quel momento mi rendo conto di quanto mi è mancato tutto questo. Non so se lui prova le stesse cose, finché mi lascia salire per prima sul bus e quando gli passo accanto, mi sussurra: mi sei mancata molto.
«Se sapessi, quanto tu sei mancato a me» penso, e prego che il mio sorriso per lui rifletta meglio ciò che sento in questo momento.
CAPITOLO 3
«Vuoi stare un po’ a casa mia?» mi chiede appena scendiamo dall’autobus nel viaggio di ritorno.
È l’idea migliore che potesse venirgli in mente, ma sicuramente Elena spettegolerà con mio padre. Ma penso, dopotutto non ha detto che sono in castigo, quindi perché no.
«Va bene» rispondo timidamente. «Possiamo fermarci un attimo a casa mia? Lascio giù solo lo zaino e vedo se tutto è a posto.»
«Sì, certo.»
Posso andarmene senza dire nulla, ma so che mio padre ne farebbe un nuovo scandalo. Arriviamo a casa mia, o meglio, alla mia ex casa, e lo faccio entrare.
«Vado con Jake a casa sua, tornerò prima di cena» grido a Elena e mi sto dirigendo al piano di sopra per mettere giù il mio zaino quando lei m'interrompe.
«Jocelyn, non credo che tuo padre sia d’accordo, inoltre lui non so chi è.»
«Ah, scusa!» mi do un finto colpo in testa «Elena, lui è Jake, un mio compagno di scuola, inoltre è il nostro vicino. Jake, lei è Elena. Non preoccuparti per mio padre, lui conosce Jake da quando è nato.»
Non le do altre spiegazioni.
«Sì, mi sembra di averti visto da qualche parte» dice la mia matrigna.
«Piacere di conoscerla, signora» saluta Jake ed io sbuffo per la parola “signora”. «Sì, vivo a due isolati da qui, non si preoccupi per Jocelyn, io la riaccompagnerò a casa.»
La vedo dubbiosa e quando si rende conto che non può vincere, perché in ogni caso me ne andrò, desiste.
«Va bene, ma torna prima che arrivi tuo padre, per favore.»
Quasi mi scappa un “grazie”, ma poi ricordo che non ho nulla di cui ringraziarla e semplicemente la ignoro.
Mi affretto a lasciare giù le mie cose e prendo un’altra giacca dal mio armadio se per caso fa più freddo, che ovviamente lo farà, prendo il mio cellulare ed esco.
«Adesso possiamo andare» mi rivolgo solo a Jake mentre passo a fianco di Elena.
«Arrivederci?» lei vuole farsi notare, ma la guardo soltanto e proseguo per la mia strada.
«A presto» sento lui che la saluta.
Percorriamo un paio di metri in silenzio, mentre tento di tornare al buonumore che avevo prima. Davvero non abbiamo avuto un momento da soli, per poter parlare di tutto quello che abbiamo taciuto in questi anni e per questo sento una nervosa anticipazione impossessarsi del mio stomaco.
«Non ti avevo mai visto così maleducata» commenta Jake quasi divertito, «è … interessante.»
«Vuoi vederlo di nuovo?» lo sfido.
«Se è con me, no, per favore.»
«Sta zitto» lo provoco.
Passiamo oltre un altro paio di case, mentre io confronto i miei ricordi con la realtà davanti ai miei occhi. Alcune case hanno cambiato colore, altre sono semplicemente diverse. Forse ho idealizzato troppo questo luogo.
Jake cammina con le mani in tasca e lo sguardo a terra, mi ricorda me il primo giorno di scuola.
«Tua mamma è in casa?» chiedo solo per essere sicura. Se la mia non c’è, in questi anni potrebbe essere successa qualunque cosa.
«Deve essere da mia nonna, ma non tarderà ad arrivare.»
«E tuo padre continua a lavorare all’università?»
«Sì … e mio fratello ha iniziato l’università quest’anno, alla Columbia, quindi sono a casa da solo.»
«Questo è ottimo per Scott. Cosa ha deciso di studiare? E perché la Columbia?»
«Economia. Solo per sfidare mio padre. Suppongo che gli andrà bene, sai che non è solo intelligente, è anche popolare.»
«Sì, mi ricordo … E la casa sull’albero? È ancora in piedi?»
«In realtà era molto rovinata, ma Scott ed io l’abbiamo sistemata prima che andasse all’università, la vedrai.»
Arriviamo alla casa di mattoni rossi che vedevo nei miei sogni, così come la ricordavo. Potevo quasi vederci entrare per quella porta, da bambini e sederci nel piccolo giardino sul retro quando c’era il sole o fare pupazzi di neve sul marciapiede quando nevicava. Il tempo poteva quasi tornare indietro. Quasi, ma forse no.
Jake estrae la chiave dalla tasca destra mentre terminiamo di salire i pochi gradini fino al portico davanti.
«Benvenuta di nuovo in casa Johnson» recita prima di aprire la porta con aria drammatica.
«Grazie» entro e una sensazione calda s'impadronisce di tutto il mio corpo.
«Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?» chiede mentre io osservo in giro con curiosità.
«No, sto bene così, grazie» rispondo mentre lo immagino crescere in questi anni tra queste pareti. «Posso vedere la casa sull’albero?»
«Certo» annuisce come se fosse ovvio.
Passiamo per la cucina ed eccola lì, a prendersi gioco del passare del tempo. La ricordavo molto più grande o forse è solo il fatto che io sono cresciuta. Ci avviciniamo alla piccola scala appesa che ci porta proprio all’ingresso.
«Prima le signore» dice reggendo un’estremità della scala e cedendomi il passo.
«Che cavaliere!» esclamo in tono giocoso e inizio a salire con le mani che mi sudano, rendendolo più difficile.
Raggiungo l’ingresso e mi sposto all’interno, ricordo perfettamente l’ultima volta che sono stata qui e no, l’ultima volta non fu quella del bacio, anche se la ricordo molto bene.
«Mamma cosa succede?!» chiesi appena entrai in casa, da fuori avevo sentito i miei genitori discutere.
«Figlia mia, fai le valigie, ce ne andiamo subito» rispose mia madre in fretta mentre mio padre ardeva di una furia silenziosa.
«Cosa?!!!» esclamai fuori di me «Dove? Papà, che succede?» mi rivolsi a mio padre che si passava le mani sulla faccia senza dire niente.
«Sì, Charles, dì a tua figlia cosa sta succedendo.»
Non capivo niente. Guardavo entrambi e nessuno dei due riusciva a darmi una spiegazione chiara per questo disastro.
«Jane, per favore … Non farlo» e iniziarono a ignorarmi, mentre io restavo nell’occhio del ciclone preparandomi al peggio.
«Non devo farlo?! Sei stato tu a farlo!» recriminò mia madre «Jocelyn, finisci di fare le valigie, ho già raccolto i tuoi vestiti, porta solo le cose assolutamente necessarie.»
«Ma mamma!» protestai.
«Ma niente … fai solo quello che ti dico» disse in un tono aspro che non avevo mai sentito nella sua voce, così obbedii.
Entrai, per quella che pensavo sarebbe stata l’ultima volta, nella mia camera da letto e mi buttai sul letto tra i singhiozzi, mentre elaboravo l’idea di andarmene e abbandonare tutto quello che conoscevo fino a quel momento. E all’improvviso mi venne in mente un nome. Jake.
Читать дальше