Blake Pierce - Una Ragione per Temere

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Una trama dinamica che ti afferra dal primo capitolo e non ti lascia più andare. Midwest Book Review, Diane Donovan (su Il killer della rosa) Dall’autore #1 di gialli best seller Blake Pierce arriva un nuovo capolavoro di tensione psicologica: UNA RAGIONE PER TEMERE (Un mistero di Avery Black – Libro 4) Quando un corpo sale a galla dal ghiacciato fiume Charles, la polizia di Boston si rivolge alla sua detective della squadra Omicidi più geniale e controversa, Avery Black, per risolvere il caso. Ad Avery però non serve molto per capire che non è un omicidio isolato, ma l’opera di un serial killer. Altri corpi iniziano ad affiorare, e tutti hanno qualcosa in comune: sono stati tutti intrappolati nel ghiaccio. È solo una coincidenza, o la firma di un assassino particolarmente pervero? Mentre la stampa e i capi le fanno pressione, Avery lotta per risolvere questo caso inesplicabile, troppo bizzarro persino per la sua mente brillante. Allo stesso tempo la detective cerca di sconfiggere la sua depressione, e la sua vita personale sprofonda in un nuovo baratro. In queste circostanze estreme prova a immedesimarsi nella mente di un killer psicotico e sfuggente. Ciò che scoprirà turberà persino lei, e le farà capire che niente è come sembra – che l’oscurità peggiore spesso può essere più vicina di quanto non crediamo. Un oscuro thriller psicologico di una suspense mozzafiato, UNA RAGIONE PER TEMERE è il #4 libro di un’appassionante nuova serie, con un’amata nuova protagonista, che vi costringerà leggere fino a notte inoltrata. Presto sarà disponibile il #5 libro della serie di Avery Black. Un capolavoro del mistero e del giallo. Pierce ha fatto un lavoro magnifico sviluppando personaggi con un lato psicologico, descritti tanto bene che ci sembra di essere nelle loro teste, a provare le loro paure e applaudendo i loro successi. La trama è intelligente e vi terrà con il fiato sospeso per tutto il libro. Pieno di svolte inaspettate, questo libro vi terrà svegli fino a quando non avrete girato l’ultima pagina. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il killer della rosa)

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CAPITOLO UNO

Avery non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva fatto uno shopping tanto scatenato. Non era certa di quanti soldi avesse speso perché aveva smesso di prestarci attenzione alla seconda tappa. A dir il vero quasi non aveva guardato gli scontrini. Rose era con lei e quello, di per sé, non aveva prezzo. Quando le fosse arrivato il conto forse l’avrebbe pensata diversamente, ma fino a quel momento ne valeva la pena.

Con le prove di quel lusso dentro piccole buste alla moda vicino ai suoi piedi, Avery guardò Rose dall’altra parte del tavolo. Erano sedute in un locale trendy nel Leather District di Boston, un posto scelto da Rose chiamato Caffe Nero. Il caffè aveva un prezzo scandaloso ma era il migliore che Avery avesse assaggiato da tempo.

Rose era a telefono, intenta a mandare un messaggio a qualcuno. Di solito Avery si sarebbe irritata, ma stava imparando a lasciar correre. Se lei e Rose volevano aggiustare il loro rapporto, dovevano fare dei compromessi. Doveva ricordare a se stessa che c’erano ventidue anni tra di loro e che Rose stava diventando una donna in un mondo molto diverso rispetto a quello in cui era cresciuta lei.

Quando Rose ebbe finito con il messaggio, appoggiò il telefono sul tavolo e lanciò uno sguardo di scuse ad Avery.

“Scusa,” disse.

“Non c’è problema,” rispose Avery. “Posso chiederti chi era?”

Rose sembrò rifletterci per un momento. Avery era consapevole che anche lei si stava impegnando per trovare una via di mezzo nel loro rapporto. Ancora non aveva deciso quanta parte della sua vita personale voleva lasciar conoscere alla madre.

“Marcus,” disse piano.

“Oh. Non sapevo che foste ancora insieme.”

“Non lo siamo. Non esattamente. Beh… non lo so. Forse sì.”

Avery sorrise a quella spiegazione, ricordandosi come era quando gli uomini sembravano complicati ma intriganti allo stesso tempo. “Beh, uscite insieme?”

“Credo che potrei dire così,” disse Rose. Non le stava concedendo molto a parole ma Avery vedeva il rossore che saliva sulle guance della figlia.

“Ti tratta bene?” chiese la detective.

“La maggior parte delle volte, sì. È solo che vogliamo cose diverse. Lui non è il tipo di uomo che ha degli obiettivi precisi. È più uno che prende la vita come viene.”

“Beh, lo sai che non mi dispiace se vuoi parlarmene,” disse Avery. “Sono sempre disposta ad ascoltarti. O a parlare. O a darti una mano a mandare a quel paese chi ti sta dando fastidio. Con il mio lavoro… sei praticamente l’unica amica che ho.” Dentro di sé sussultò per quanto sembrasse patetico ma ormai era troppo tardi per ritirarlo.

“Questo lo so, mamma,” rispose Rose. Poi con un sogghigno aggiunse: “E non riesco a dirti quanto sia triste.”

Scoppiarono insieme a ridere ma segretamente, Avery era meravigliata da quanto la figlia somigliasse a lei in quel momento. Non appena la conversazione si faceva troppo intima o personale, Rose tendeva a interromperla con il silenzio o una battuta. In altre parole, tale madre tale figlia.

Nel mezzo della loro risata, una cameriera minuta e carina si avvicinò, la stessa che aveva preso i loro ordini e aveva portato i caffè. “Un altro giro?” chiese.

“Per me no,” rispose Avery.

“Neanche per me,” aggiunse Rose. Poi si alzò mentre la cameriera si allontanava. “In realtà devo cominciare ad andare,” spiegò. “Ho quell’incontro con il consigliere scolastico tra un’ora.”

Quella era un’altra faccenda su cui Avery aveva paura di dire la cosa sbagliata. Era emozionata che Rose avesse finalmente deciso di andare al college. A diciannove anni, si era preparata e aveva preso appuntamento con i consiglieri del community college di Boston. Da quello che ne capiva Avery, significava che era pronta a fare qualcosa della sua vita ma non era del tutto disposta ad abbandonare certe cose familiari, tra cui, potenzialmente, un rapporto teso ma che poteva essere aggiustato con la madre.

“Poi chiamami per farmi sapere come è andata,” disse Avery.

“Lo farò. Grazie ancora, mamma. È stato incredibilmente divertente. Dovremo rifarlo, una volta o l’altra.”

Avery fece un cenno mentre la guardava allontanarsi. Mandò giù l’ultimo sorso di caffè e si alzò, radunando le quattro borse della spesa vicine alla sedia. Dopo essersele infilate tutte in spalla, uscì dal locale e si diresse verso l’auto.

Quando il telefono squillò, fu decisamente complicato riuscire a rispondere con tutte le borse addosso. In realtà si sentiva sciocca con quelle cose. Non era mai stata una di quelle donne a cui piaceva fare shopping. Ma era stato un ottimo modo per legare con Rose, ed era quello che contava.

Dopo aver spostato le borse su una spalla, riuscì finalmente a raggiungere il cellulare nella tasca all’interno del cappotto.

“Avery Black,” disse.

“Black,” rispose la voce secca e sempre burbera del supervisore della squadra Omicidi dell’A1, Dylan Connelly. “Dove sei in questo momento?”

“Nel Leather District,” disse. “Che succede?”

“Ho bisogno di te al Charles River, appena fuori città vicino a Watertown, il più rapidamente possibile.”

Lei sentì il tono della sua voce, l’urgenza, e il cuore le perse un colpo.

“Che cosa è?” chiese, quasi avendo paura a chiederglielo.

Ci fu una lunga pausa, seguita da un sospiro.

“Abbiamo trovato un corpo sotto il ghiaccio,” spiegò Connelly. “E questo devi vederlo per crederci.”

CAPITOLO DUE

Avery arrivò sulla scena esattamente trentasette minuti più tardi. Watertown, Massachusetts, a circa trenta chilometri dai confini cittadini di Boston, era solo una delle numerose città che condividevano il Charles River con la capitale. La Watertown Dam era a monte rispetto al Watertown Bridge. La zona intorno alla diga era per lo più rurale, proprio come la scena del crimine davanti a cui stava parcheggiando in quel momento. Secondo le sue stime la diga era a una ventina di chilometri di distanza, dato che ne mancavano ancora sei per la città di Watertown.

Arrivata lungo il fiume, Avery passò sotto una lunga striscia di nastro che segnalava la scena del crimine. La zona era piuttosto ampia e il nastro formava un enorme rettangolo a partire da due alberi lungo la riva fino a due pali di metallo che la polizia aveva infilato nel ghiaccio solido del fiume. Connelly era sulla riva e parlava con altri due agenti. Sul fiume, una squadra di tre persone era chinata sulla lastra gelata e vi guardava all’interno.

Oltrepassò Connelly e lo salutò con un cenno della mano. Lui lanciò un’occhiata all’orologio, fece uno sguardo colpito e le segnalò di andare avanti con un gesto.

“La Scientifica ti aggiornerà,” disse.

A lei andava bene. Anche se stava imparando ad apprezzare sempre di più Connelly con ogni caso, era comunque meglio preso in piccole dosi. Avery si avviò sul ghiaccio, chiedendosi se quelle poche volte in pista durante la sua infanzia le sarebbero tornate utili. A quanto pareva però, le sue abilità erano ormai svanite. Camminò lentamente, stando attenta a non scivolare. Odiava sentirsi vulnerabile e non del tutto in controllo, ma quel maledetto ghiaccio era troppo scivoloso.

“Va tutto bene,” disse uno dei tre membri della Scientifica, notandola avvicinarsi a loro. “Hatch è cascato sul culo ben tre volte per arrivare in qui.”

“Chiudi il becco,” replicò un altro membro della squadra, probabilmente Hatch.

Alla fine Avery arrivò al punto dove gli uomini della Scientifica erano riuniti. Erano chinati in avanti, a guardare dentro un’area del ghiaccio tagliata di netto. Al di sotto, vide il corpo nudo di una donna. Sembrava sulla ventina. Pallore e pelle parzialmente congelata a parte, era decisamente attraente. Bellissima, addirittura.

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