Mackenzie si accorse che Caleb stava per cedere e, anche se non le sembrava la cosa giusta da fare, c’era un’ultima domanda che voleva porgli prima che crollasse.
“Fermata dell’autobus?” chiese.
“Sì, tutti i giorni si recava in ufficio in autobus; prendeva quello delle otto e venti per arrivare in orario. La macchina ci ha lasciati a piedi due mesi fa.”
“Dove si trova la fermata?” volle sapere Bryers.
“A due isolati da qui” rispose Caleb. “È una fermata con la capannina.” Guardò Mackenzie e Bryers con un’improvvisa speranza che si affacciava nello sguardo, sotto il dolore e la rabbia.
“Perché? Credete che sia importante?”
“Non possiamo esserne certi” spiegò Mackenzie. “Ma le faremo sapere se impariamo qualcosa. Grazie del suo tempo.”
“Di niente” disse Caleb. “Ehi, ragazzi...?”
“Sì?” disse Mackenzie.
“Sono passati più di tre giorni ormai, vero? Tre giorni dall’ultima volta che l’ho vista e quasi due giorni da quando è stato scoperto il suo corpo.”
“Esatto” disse piano Bryers.
“Allora è troppo tardi? Quel bastardo la farà franca?”
“No” disse Mackenzie. Le era uscito di bocca prima che riuscisse a fermarlo e capì subito di aver commesso il suo primo errore con Bryers.
“Faremo tutto ciò che possiamo” disse Bryers, posando gentilmente una mano sulla spalla di Mackenzie per guidarla verso l’uscita. “La preghiamo di contattarci se le venisse in mente qualcosa di utile.”
Detto ciò, se ne andarono. Mackenzie provò un brivido quando udì Caleb non riuscire più a trattenersi e singhiozzare prima che si fossero chiusi la porta alle spalle.
Quel suono le fece provare qualcosa... qualcosa che le ricordava casa sua. L’ultima volta che aveva provato quella sensazione era stato quando cercava disperatamente di fermare il Killer dello Spaventapasseri, in Nebraska. Anche adesso, scendendo gli scalini d’ingresso di Caleb Kellerman, avvertì quel bisogno incontrollabile e comprese che non si sarebbe fermata davanti a niente pur di catturare l’assassino.
“Non puoi fare così” disse Bryers nell’istante in cui furono di nuovo in auto e si mise al volante.
“Così come?”
Sospirò e fece del suo meglio per sembrare più sincero che severo. “Mi rendo conto che probabilmente non ti sei mai trovata in una situazione esattamente come questa prima, ma non puoi dire alla famiglia della vittima che no, l’assassino non la farà franca. Non puoi dare false speranze se non ce ne sono. Accidenti, anche se ci sono non puoi dire una cosa del genere.”
“Lo so” disse lei dispiaciuta. “L’ho capito nell’istante in cui mi è uscita la parola di bocca. Mi dispiace.”
“Non c’è bisogno che ti scusi. Cerca solo di fare attenzione d’ora in poi. Ok?”
“Ok.”
Dato che Bryers conosceva la città meglio di Mackenzie, fu lui a guidare fino al Dipartimento dei Trasporti Pubblici. Andava piuttosto veloce e chiese a Mackenzie di telefonare prima che arrivassero, per fare in modo che potessero immediatamente parlare con qualcuno che fosse a conoscenza delle informazioni che servivano. Era un espediente davvero semplice, ma Mackenzie rimase colpita dalla sua efficienza. Era decisamente tutt’altra cosa rispetto a quello a cui era abituata in Nebraska.
Bryers fece conversazione durante tutta la mezz’ora del tragitto. Volle sapere tutto di quando era nelle forze dell’ordine del Nebraska, in particolare a proposito del caso del Killer dello Spaventapasseri. Le chiese dell’università e dei suoi interessi. Lei gli parlò con piacere degli aspetti più superficiali della sua vita, senza scendere troppo nei particolari, anche perché lui stesso non ne aveva forniti molti su di sé.
In effetti, Bryers pareva riservato. Quando Mackenzie gli aveva chiesto della sua famiglia, lui aveva dato meno dettagli che gli riuscisse senza apparire maleducato. “Una moglie, due figli al college e un cane con una zampa nella fossa.”
Be’, pensò Mackenzie, è soltanto il nostro primo giorno di lavoro insieme e lui non mi conosce; sa solo quello che hanno detto di me i giornali sei mesi fa e i dati nel fascicolo che tiene l’Accademia su di me. Non lo biasimo se non si apre molto.
Quando giunsero al Dipartimento dei Trasporti Pubblici, Mackenzie aveva ancora una buona opinione sull’agente più anziano, però c’era tra loro una tensione che non comprendeva del tutto. Forse lui non ci aveva fatto caso ed era soltanto lei ad avvertirla. Il fatto che avesse praticamente eluso ogni domanda che lei gli aveva fatto sul suo lavoro la faceva sentire a disagio. Inoltre le rammentò che quello non era ancora il suo lavoro, non ufficialmente. Stava semplicemente facendo un favore ad Ellington, una specie di giro di prova, per così dire.
Non solo, aveva potuto partecipare alle indagini grazie a sotterfugi che i superiori avevano accettato perché avevano scommesso su di lei. Questo aumentava il rischio non soltanto per lei, ma anche per le persone con cui lavorava, inclusi Ellington e Bryers.
Il Dipartimento dei Trasporti era situato in un edificio che ospitava un’altra decina di dipartimenti. Mackenzie fece del suo meglio per stare dietro all’Agente Bryers mentre percorreva i corridoi. Camminava svelto, facendo dei cenni del capo alle persone che incrociavano come se conoscesse già quel posto. Qualcuno lo riconobbe e lo salutò sorridente con la mano. La giornata stava per concludersi, quindi tutti sembravano aver fretta che arrivassero le cinque.
Arrivati nella sezione dell’edificio di loro interesse, Mackenzie si concesse un momento per apprezzare la sua situazione. Soltanto quattro ore prima stava uscendo da una lezione di McClarren, mentre adesso era dentro fino al collo in un caso di omicidio, in collaborazione con un agente che sembrava ben addestrato e dannatamente bravo nel suo lavoro.
Si avvicinarono ad un bancone e Bryers si sporse leggermente, rivolgendosi alla giovane donna che sedeva all’altro capo di esso. “Abbiamo chiesto per telefono di parlare con qualcuno degli orari degli autobus” spiegò alla donna. “Agenti White e Bryers.”
“Ah, sì” disse la segretaria. “Sarà la signora Percell a parlare con voi. È sul retro, nel deposito di autobus. Andate in fondo al corridoio, scendete le scale e uscite sul retro.”
Seguendo le indicazioni della segretaria, andarono sul retro dell’edificio, dove Mackenzie poteva già udire il rombo dei motori. L’edificio era progettato in modo che il rumore non fosse affatto percepibile nelle altre parti, mentre lì sul retro sembrava di trovarsi in un’officina.
“Quando incontreremo questa signora Percell” disse Bryers, “voglio che sia tu a parlarle.”
“D’accordo” disse Mackenzie, provando di nuovo la sensazione di dover superare un esame.
Scesero le scale seguendo un cartello con scritto Garage/ Deposito Autobus. Una volta scesi, uno stretto corridoio li portò in un piccolo ufficio. Un uomo che indossava una divisa da meccanico sedeva dietro a un vecchio computer. Attraverso un finestrone, Mackenzie riuscì a dare un’occhiata al vasto garage. C’erano parcheggiati molti autobus che erano in fase di manutenzione. Mentre guardava, una porta sul retro dell’ufficio si aprì e una donna sovrappeso e dall’aspetto sorridente entrò dal garage.
“Siete voi quelli dell’FBI?”
“Siamo noi” confermò Mackenzie. Al suo fianco, Bryers mostrò il distintivo – probabilmente perché lei non ne aveva uno da mostrare. La Percell parve convinta e iniziò subito a parlare.
“A quanto ho capito, vi servono informazioni sugli orari degli autobus e sui turni degli autisti” disse.
“Esattamente” rispose Mackenzie. “Speriamo di riuscire a risalire alle fermate che ha fatto un autobus tre mattine fa e, se possibile, vorremmo scambiare due parole con l’autista.”
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